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Cronarmerina - Giugno 2016

Ricordi inediti su P. Carmelo Capizzi/4

Ricordi e fatti inediti/4

Salvataggio di una ragazza tedesca
Un giorno Carmelo, di ritorno dalla Germania negli anni Sessanta, sul treno incontrò due malfattori napoletani che ritornavano in Italia col foglio di via, perché persone indesiderate. Fin qui niente di strano, però con loro c'era pure una ragazza tedesca che i due cercavano di circuire per portarla con loro a Napoli e metterla sulla strada della prostituzione. Uno dei due gli si rivolgeva dicendogli: “Padre, lei che parla bene il tedesco, dica a questa ragazza che io la voglio bene e che la voglio sposare”. Carmelo gli rispose di stare tranquillo che ci avrebbe pensato lui. Così dicendo, fece un cenno alla ragazza per seguirlo fuori dallo scompartimento. Si appartarono un po' ed egli spiegò alla ragazza con chiarezza qual era la situazione alla quale lei rischiava di andare incontro, e concluse con una raccomandazione: <<Se vuoi seguirli fallo pure, però ricordati che sei destinata a fare la donna di strada ed essi saranno i tuoi sfruttatori. Quindi, pensaci bene, io intanto avviso la polizia>>. La ragazza tornò al suo posto e cambiò atteggiamento rispetto a prima. I due malviventi compresero l’intromissione e iniziarono a minacciare il sacerdote che, imperterrito, se ne stava appoggiato alla parete con le mani in tasca mentre essi l'affrontavano. Allora, senza perdersi d’animo, pensò di spaventarli intimando loro così: <<State attenti, io sono siciliano e il coltello lo tengo sempre in tasca>>. Da lì a poco fortunatamente arrivò la polizia. Per concludere: i due furono arrestati e consegnati alla polizia italiana, mentre la ragazza venne rispedita in Germania mentre ringraziava tanto il suo salvatore.

Il nostro cervello? Una cassettiera
Quando l'accompagnavo su per le montagne per andare a visitare Cortina o altre località rinomate delle Dolomiti frequentatissime da turisti, spesso incontravamo Americani, Inglesi, Tedeschi, Francesi. Bene, mio fratello parlava speditamente con tutti, a ognuno nella propria lingua. Io, nella mia ignoranza, molto sorpreso, gli chiedevo come facesse a parlare con tutti, senza fare confusione. Egli pazientemente mi rispondeva che: <<Il nostro cervello è simile a una cassettiera dalla quale al momento opportuno puoi aprire un cassetto dal quale prendere quello ti fa comodo>>. Secondo me questo ragionamento lo può fare tranquillamente soltanto chi ha studiato e conosce bene le lingue.

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Inaspettatamente

Quando meno te l’aspetti, tra le cianfrusaglie lì da anni, puoi trovare anche…  

DDA CARÉZZA NTȂ GNUNÀDA
Tutti o quàs tutti ggh l’avöma
U mi s’ ciama Pòzz d San Patrìzi
Fu mi fìggh ‘Ndrìa a dèggh cö nom
Quànn jéu era carusétt
E ggh’ l’höi ‘n càm’ra du ddétt

Stöi parrànn du casc’iòlu dî r’gòrdi
Ch’ pa v’rtà u mi è pròpiu ‘n candaràngh
Unna ggh s’ g’cca a roba a r’nfösa ma pöi
Còm disg u pruvèrbi cö ch’ z’rchi trövi

Dìntra ognedùngh ggh sàuva ungh d tutt
Ch’ ggh pò fé r’gurdè ‘n fàtt
D cunt’ntèzza ompùru d d’spiasgèr
P non scurdès’lu màngh a màngh ch’u témp scörr
Cödda cusétta inùtu ch’ d’ bòtta non n’hai ch’ fénn
Però ‘n dumàngh macàri...

Dd dd’brètt unna ggh scrìvisti a data
Ch’ t r’gòrda cödda vòta ch’...
Cö r’tràtt antìch d quànn non ggh’er’nu i céllulari
E avanti ô méggh

Jè d tant ‘n tant vai z’rchànn
Ntȏ mi Pòzz d San Patrìzi
‘Ncòch còsa ch’ non ggh’höi sötta màngh
E ognvòta ggh’ tröv dìntra u mönn, u mi mönn

Accuscì cap’tà l’àutr mattìngh gìra svòta e f’rrìa
Na gnunàda du casciarìzz scarìu na cartulìna
E sötta i salùi ggh’era scri’vùit
“Ti mando una carezza”

Er’nu paròddi tröpp s’nt’méntàu
O macàri sègn ch’ jè na’ v’gghiàia
Höi d’v’ntàit ciù romànt’cha
Còm sìa sìa appi d’ bòtt u sfìu
D’ non bannunè  
Dda carézza ntâ gnunàda

E fòrs fu p’ cöss ch’ tutt’a’na vòta
S’ fès’nu ddàrgh na mi mént pròpri a r’nghèra
Cèrti rìmi ch’ i mèi carusétti
D quànn jè fasgèa a maìstra d l’elementàri
Aveànu scr’vùit p fè na puisìa ca paròdda “carèzza”

Scutè però còm i stëssi rìmi
Scr’vùit ca nòstra bedda parràda ciaccësa
Cang’nu songh, ànu n’àutra mùs’ca

A rugiàda sövra l’èrba o mattìngh
I nìvuli ch’ passìanu ntô cèlu ‘n poch s’ddiàt’
A ddùna ch’ sp’cchialìa na nuttàda s’rèna
Dda ràia d sö ch’ scàrfa na giurnàda fr’ddùlusa
A név ch’cum’gghia i tètti di càsi
L’ègua ch’s’ r’pòsa ntô lèttu du sciùm
A màngh d na màtri ch’ sciùa i ddàrmi o so f’ghiètt
Döi màngh ch’ s’ strënz’nu p’ pac’f’chè

Tutt cöst è carézza e ‘mpùr d ciù.

Rosalba Termini, Maggio 2016

Traduzione “Quella carezza in un angolo”
Tutti o quasi tutti ce l’abbiamo
Il mio si chiama Pozzo di S. Patrizio
Fu mio figlio Andrea a dargli questo nome
Quando lui era ragazzo
E ce l’ho in camera da letto

Sto parlando del cassetto dei ricordi
Che per la verità il mio è proprio un comò
Dove vi si getta la roba alla rinfusa ma poi
Come dice il proverbio quello che cerchi trovi

Dentro ognuno ci conserva uno di tutto
Che gli può fare ricordare un fatto
Di contentezza oppure di dispiacere
Per non scordarselo mano a mano che il tempo scorre
Quella cosetta inutile di cui in quel momento non hai che farne
Però un domani magari…

Quel libretto dove hai scritto la data
Che ti ricorda quella volta che…
Quella foto antica di quando non c’erano i cellulari
E così via

Io di tanto in tanto vado cercando
Nel mio Pozzo di S. Patrizio
Qualcosa che non ho sottomano
E ogni volta ci trovo dentro il mondo, il mio mondo

Così capitò l’altro mattino gira volta e rigira
In un angolo del cassettone scorsi una cartolina
E sotto i saluti c’era scritto
“Ti mando una carezza”

Erano parole troppo sentimentali
O magari segno che io nella vecchiaia
Sono diventata più romantica
Comunque sia ebbi subito il desiderio
Di non abbandonare
Quella carezza in un angolo

E forse per questo che tutt’a un tratto
Si fecero largo nella mia mente proprio una dietro l’altra
Certe rime che i miei alunni
Di quando facevo la maestra elementare
Avevano scritto per comporre una poesia con la parola “carezza”

Ascoltate però come le stesse rime
Scritte nella nostra bella parlata piazzese
Cambiano suono, hanno un’altra musica

La rugiada sull’erba al mattino
Le nuvole che passeggiano nel cielo un po’ imbronciato
La luna che risplende nella notte serena
Quel raggio di sole che riscalda una giornata freddosa
La neve che ricopre i tetti delle case
L’acqua che si riposa nel letto del fiume
La mano di una madre che asciuga le lacrime al suo figlioletto
Due mani che si stringono per rappacificare

Tutto questo è carezza e anche di più
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1600 Frate piazzese seguace di fra Umile/2

Fra Stefano da Piazza (Armerina), sec. XVII, part. Crocifisso ligneo, Subiaco (Roma), Chiesa dei Francescani

Fra Stefano da Piazza (Armerina), sec. XVII, part. Crocifisso ligneo, Sacrestia Chiesa e Convento delle Cappuccinelle, Cosenza¹

2

Contemporaneo a Fra Umile fu un altro scultore francescano, Fra Innocenzo da Petralia. Dell’anno di nascita (1592), di quello di morte (1648), del luogo dove morì (Palermo), del suo vero nome al secolo e se sia stato solo un frate o sacerdote, non si è sicuri. Sono certe però alcune cose, a cominciare dal luogo di nascita, Petralia Soprana (PA) e dalla sua indiscutibile capacità artistica e, poi, che operava in Sicilia da solo o con Fra Umile nel Convento di Sant’Antonino di Palermo dove era sorta una vera e propria scuola di scultura fondata da entrambi e frequentata anche da laici. Altra cosa di cui si è certi è l’enorme prolificità che avevano i due confratelli, perché molti cronisti del tempo ci riferiscono che erano capaci di realizzare, scolpendo e decorando, un crocifisso a grandezza naturale in pochissimi giorni (6/8). Fra Innocenzo oltre che in Sicilia operò in numerose regioni d’Italia e forse anche a Mdina (Malta) realizzando almeno 18 crocifissi, e poi Ecce Homo, statue e reliquiari. Anche ad Aidone il frate realizzò un grande armadio a palchetti per la sagrestia della chiesa di Sant’Anna. Tra i non pochi seguaci di Fra Umile, e forse anche di Fra Innocenzo, ci fu anche un piazzese, Fra Stefano da Piazza (Armerina), che si può definire uno dei più interessanti seguaci dell’arte di frate Umile e di Frate Innocenzo da Petralia. Del frate piazzese, di cui non si conosce né l’anno di nascita e né quello di morte (per essere un seguace dei due confratelli di Petralia secondo me doveva essere nato non più tardi del 1615 e morto almeno dopo il 1685, se è vero che alcune sue opere furono eseguite intorno a quell’anno), operò nella seconda parte del Seicento nel Lazio: Crocifisso nella chiesa di S. Francesco di Subiaco (nella foto in alto, 1685?), quello assieme alla Madonna dei Sette Dolori nella chiesa di S. Pietro Apostolo annessa al Convento dei PP. Minori Riformati a Carpineto Romano (RM, 1685?) e, forse, il Crocifisso sull’altare maggiore nella Chiesa e Convento di S. Cosimato di Vicovaro (RM); in Calabria: Crocifisso nella sagrestia della Chiesa e Convento delle Cappuccinelle a Cosenza (nella foto in basso). Queste opere rappresentano alcune delle tante testimonianze artistiche documentate di questo straordinario scultore francescano siciliano che fu anche un abilissimo disegnatore. P. Damiano Neri nel volume Scultori francescani del Seicento in Italia, PISTOIA 1952, così si esprime nel trattare questo straordinario artista siciliano e piazzese <<… Egli non si abbandona all’estro inventivo della fantasia, né agli attraenti fantasmi, che gli siano halenati durante la preghiera; prende come spunto di partenza lo studio oggettivo del vero, disegna e ritrae con meticolosa esattezza le membra come gliele presenta il modello che ha sott’occhio e quando è sicuro del fatto suo, passa scolpire con tocco sicuro ed energico la statua>>. Per concludere non si può fare a meno di ricordare un importante allievo di Fra Stefano da Piazza, Frate Angelo da Pietrafitta (CS) detto anche d’Aprigliano (CS) , di cui le opere si trovano sparse nei conventi del Lazio, della Puglia e della Basilicata. (tratto da Rosolino LA MATTINA, Frate Innocenzo da Petralia, Scultore siciliano del XVII secolo fra leggenda e realtà, Ed. Lussografica, CALTANISSETTA 2002, volume gentilmente e opportunamente segnatalomi dall'amico Vittoriano M.)

¹ La foto mi è stata segnalata e inviata l'8 giugno 2019 dall'amico Antonio Barbera.

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1600 Frate piazzese seguace di fra Umile/1

Fra Umile da Petralia, sec. XVII, Crocifisso con reliquiario, Piazza Armerina, Chiesa S. Pietro

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La crocifissione, pena capitale che gli antichi romani infliggevano agli schiavi fuggitivi, ai peggiori criminali e a tutti i non cittadini di Roma, veniva applicata in maniera assai diversa da quella in cui l’arte ci ha abituati. Il condannato era condotto al supplizio carico della sola traversa alla quale gli si legavano le mani. Nel luogo dell’esecuzione gli si inchiodavano le mani alla traversa che veniva issata sul palo verticale dove gli si inchiodavano i piedi e, quasi sempre, il corpo era totalmente nudo. I primi cristiani la rappresentarono soltanto simbolicamente con l’Agnello Mistico e la Croce, ciò accadde anche dopo l’editto di Costantino nel 313 d.C. quando fu possibile praticare liberamente il culto. La figura di Gesù Crocifisso compare per la prima volta ai tempi di Sisto III (432-440 d.C.) scolpita sulla porta lignea della chiesa di S. Sabina di Roma dove il Cristo è rappresentato nudo avente soltanto ai fianchi un subligaculum¹, le braccia distese come in croce, ma senza la croce dietro, con ai lati i due ladroni. L’immagine del Crocifisso come lo conosciamo noi cominciò a diffondersi solo intorno al VI secolo e nel 691 il Concilio Trullano a Costantinopoli proibì di raffigurare la Croce su un pavimento e di rappresentare il Cristo sotto la forma di un Agnello. In epoca Carolingia si diffonde l’immagine di Nostro Signore in Croce in avori intagliati, nell’oreficeria e nelle miniature dei manoscritti. In altri luoghi d’Europa si scolpiscono grandi croci di pietra e nel periodo bizantino il Cristo è rappresentato vivo, trionfante con gli occhi aperti, vestito e con la corona regale sul capo. Nel X e nell’XI secolo Cristo in croce compare emaciato, doloroso, col capo reclinato sulla spalla e incoronato di spine. Dal XIII sec. i chiodi che prima erano quattro, due alle mani e due ai piedi, divennero tre, perché prevalse l’uso di sovrapporre i piedi per avere maggiori effetti plastici/pittorici e si incominciò a diffondere la corona di spine sul capo di Gesù, per effetto della sacra reliquia portata da Luigi IX re di Francia al ritorno da una crociata. La ferita del costato, quasi sempre nella parte destra, risale agli scritti di Sant’Agostino. L’epoca in cui il tema della crocifissione di Cristo ebbe un momento particolare fu nel periodo della Controriforma, dopo il Concilio di Trento conclusosi nel 1563, soprattutto per merito di alcuni ordini religiosi e particolarmente dei francescani che seguirono le direttive di papa urbano VIII: le opere d’arte dovevano illustrare la fede e i dogmi cattolici chiaramente e facilmente per incrementare la devozione popolare con la creazione di nuovi simulacri da venerare con particolare riferimento al Cristo Crocifisso. Nel XVII secolo i crocifissi sprigionano una fortissima carica psicologica ed una travolgente passionalità tale da coinvolgere lo spettatore al drammatico tema e in Sicilia numerosi sono gli artisti scultori siciliani che arricchiscono sia l'Isola che la Penisola di pregevoli Crocifissi lignei policromi dalla possente drammaticità ma anche dalla sovrumana dolcezza. Tra questi scultori troviamo Frate Umile da Petralia, al secolo Giovanni Francesco Pintorno. Nato a Petralia Soprana (PA) tra la fine del 1600 e gli inizi del 1601, dal 1623 fece parte dell’Ordine dei Frati Minori Riformati dell’Osservanza. Nello stesso anno inizia ufficialmente anche la sua attività artistica che si concluderà 16 anni dopo con la sua morte avvenuta a Palermo nel Convento di Sant’Antonino nel 1639. Tra i suoi numerosissimi Crocifissi lignei (almeno 30, alcuni dei quali presenti anche in Calabria, Campania, Basilicata e Malta) c’è pure quello che si trova unitamente a un reliquiario nella I cappella a dx (della famiglia Boccadifuoco) nella chiesa di San Pietro a Piazza Armerina². Da ciò si deduce che la realizzazione di quest’ultimo Crocifisso è da collocare tra il 1623 e il 1639, non nel 1653 come riportato in alcuni testi. (tratto da Rosolino LA MATTINA, Frate Innocenzo da Petralia - Scultore siciliano del XVII secolo fra leggenda e realtà, Ed. Lussografica, CALTANISSETTA 2002, volume gentilmente e opportunamente segnatalomi dall'amico Vittoriano M.) (continua)

¹ Da subligo (legare sotto) e culum (che indica genericamente gli "attributi"), uno degli indumenti intimi più comunemente indossati dagli antichi Romani ereditato dai vicini Etruschi.

² Un prezioso crocifisso di fra Umile datato 1635 si trova presso la Chiesa di Sant'Anna ad Aidone.

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Il Borgo Rurale/Villaggio Pergusa-2

La piazza del Villaggio Pergusa oggi, al centro la chiesa del SS. Crocifisso

L'obelisco con i fasci littori e le lapidi commemorative oggi

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(dalla Parte 1) All’inaugurazione delle case, e alla posa della prima pietra degli edifici di servizio, intervenne tuttavia soltanto il sottosegretario al Ministero dell’Agricoltura e Foreste Giuseppe Tassinari, il 21 aprile successivo. Altre diciannove costruzioni si sarebbero dovute iniziare alla fine del 1936, mentre la realizzazione dei servizi terminò quando già le prime case erano state ultimate, quindi tra il 1936 ed il 1937. Intorno alla piazza sorsero la chiesa, la scuola e la Casa del Fascio con la caserma dei carabinieri (foto in alto) mentre un alto obelisco (foto in basso), con due fasci littori, si ergeva al centro della piazza. L’obelisco, che sembra essere stato il primo elemento del nuovo centro ad essere realizzato, ospitava la lapide commemorativa alla base e una seconda è ancora visibile sul lato opposto. Mussolini visitò il villaggio ultimato il 15 agosto del 1937, ma il Prefetto Manca non poté presenziare all’evento, essendo improvvisamente deceduto sei mesi prima. L’anno successivo venne realizzata, ad Ovest della piazza, la stazione antimalarica ed ulteriori case coloniche si aggiunsero alle preesistenti. Nel 1949 iniziarono i lavori per la realizzazione di un autodromo. L’opera, progettata da Roberto Calandra, l’architetto che aveva progettato uno dei Borghi Fantasmi (il Borgo Rurale Burrainiti-AG), venne inaugurata nel 1958. Pergusa è adesso una località turistica nota sia per l’autodromo sia per la riserva naturale intorno al lago. Il nucleo originario esiste quasi interamente, ma le case coloniche sono divenute normali abitazioni e molte sono difficilmente riconoscibili a causa delle modifiche apportate negli anni. L’unica che conserva ancora il portico originale si trova lungo la SS561 (via Nazionale) ed è divenuta parte integrante di una costruzione adibita a locale per ristorazione. Diciassette delle diciotto casette costruite nel 1936 restano comunque identificabili, anche se poche conservano un aspetto simile a quello originario. Per qualche motivo, forse connesso alla tecnica costruttiva, le abitazioni che hanno subito le maggiori modifiche sono quelle realizzate nel 1938, mentre la stazione antimalarica, ove si eccettuino le modifiche delle aperture, è rimasta praticamente uguale all’originale. La Casa del Fascio è stata interamente destinata a caserma dei Carabinieri che originariamente pare occupasse solo la parte posteriore dell’edificio, mentre scuola e chiesa funzionano ancora come tali. La stazione antimalarica è stata utilizzata come sede della Guardia Medica fino al 2010, quando è stata eliminata nell’ambito del riassetto del Sistema Sanitario Regionale conseguente al piano di rientro. L’obelisco con le sue lapidi è ancora in sede, solo le lame d’ascia dei fasci littori sono state asportate. Su una di queste c’è scritto: <<QUEST’ABITATO È SORTO NELL’ANNO/ DELLA FONDAZIONE DELL’IMPERO/ REGNANDO VITTORIO EMANUELE III/ DUCE BENITO MUSSOLINI>>. Sull’altra: <<IL DUCE/ QUESTA PLAGA VOLLE RISANATA/ PER RASSERENARE IL LAVORO/ PER RIDARE IL SORRISO/ AI BIMBI E AL MITO CHE LANGUIVA/ TRA LE ALGHE DEL PANTANO>>. (tratto da VoxHumana, La Via dei Borghi, 31)

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2^ Giornata di Tennis Femminile

Da sx M. Lo Bartolo, C. Minincleri, V. Chaykovska, E. Catalano, P. Costa e L. Bondor

Ieri sui Campi della Bellia si è svolta la II Giornata del Campionato Federale di Tennis Femminile Categoria D3, tra il T. C. Piazza Armerina e il T. C. Adrano. I due incontri di singolare e uno di doppio previsti sono iniziati con leggero titardo e si sono protratti fin oltre le 20,00. I primi due singolari hanno visto prevalere le ragazze più esperienti del T. C. di Adrano, Catalano - Lo Bartolo per 6/3 6/3 e Bondor - Minincleri per 5/7 6/0 6/3, mentre nel doppio le ragazze di Piazza Armerina Minincleri e Lo Bartolo hanno battuto quelle di Adrano, Costa e Chaykovka, in un lungo ed equilibrato incontro per 7/5 6/2. Tutte le gare sono state caratterizzate oltre che da un'intensa carica agonistica anche dall'estrema correttezza mostrata dalle giocatrici, fattori questi che rendono lo sport del tennis bello sia da praticare che da guardare. Auguri a tutte per le prossime gare.  

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