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Gaetano Masuzzo

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Carnevale a Piazza

Quando si ballava nelle case
 
"Giovani" mascaràdi anni 50
 
Prima dell'avvento delle discoteche o dei locali più o meno privati, i giovani di belle speranze non stavano con le mani in mano. Mentre nel periodo di carnevale ci si organizzava nelle case (foto in alto), con la gente seduta a giro, che vedeva ballare i più o meno giovani, in attesa dei mascaràti e tentare di riconoscerli, durante gli altri mesi si poteva frequentare qualche sala da ballo. A Piazza negli anni 40, di sale da ballo, molto spoglie e con l'arredamento al minimo, ridotto a poche sedie (tanto si doveva ballare!), ce n'erano due. Qui l'impianto musicale e di amplificazione (come si chiama ora) era affidato a pianoforti a rullo e a manovella. Le sale da ballo si trovavano una a metà della via Umberto, dove il gestore-deejay era un certo signor Giuffrida che, per il possesso di un carretto siciliano trainato da un cavallo super addobbato, era chiamato "Sètt p'nnàcchi". L'altra sala era in via Mazzini, dove oggi c'è un negozio di abbigliamento per bambini, ed era gestita da un certo Prestifilippo, col primo pianoforte a rullo visto a Piazza. Successivamente in via Umberto, di fronte al palazzo Trigona, ve ne fu un'altra ma con ballerini e ballerine, diciamo, più "selezionati". Nelle case i ritmi più in voga erano i màzùrchi e i contradànzi, raramente i peccaminosi tanghi, e per finire le sfiancanti tarantelle, al suono o dei grammofoni o, poi, delle radio coi dischi a 78 giri. Per rendere le serate più confortevoli si offrivano favi bùgghiuti, lupini, passuluni, scàcc e vìng. Dopodiché i mascàrati o si toglievano le maschere, facendosi riconoscere, o se ne andavano per continuare il giro. I benestanti si riunivano nei circoli al suono delle orchestrine, mentre le sfilate delle maschere avvenivano o al teatro Garibaldi (anche mio nonno Tatano ne organizzò qualcuna, indimenticabili i sacchi enormi pieni di coriandoli) o in piazza Garibaldi, sopra il grande marciapiede centrale costruito da poco e chiamato tabarè, per la forma che ricordava un vassoio. Ma un carnevale lo si ricorda per un fatto increscioso. Nel 1904, durante il passaggio di un carro dei sostenitori dell'avv. Calogero Cascino (1864-1932) rappresentante un treno in cartapesta, dove si giocava a carte barando e alludendo così all'opera negativa del deputato Luigi Marescalchi (1857-1936) che ostacolava la costruzione della ferrovia, il clima scherzoso degenerò a tal punto da causare tre morti, sei feriti e numerosi arresti. In questo caso, purtroppo, non valse il detto "Carnevale ogni scherzo vale!".
Gaetano Masuzzo/cronarmerina.it

Porte della Città/di S. Martino

Chiesa di S. Martino I Chiesa Madre
Via Gesù Maria ingresso Porta S. Martino, con la chiesa in fondo
La Porta di S. Martino doveva essere tra le prime, se non la prima, della Città ricostruita dopo la distruzione del 1161. Era la porta che nei decenni successivi servirà a controllare il lato Est della Città Vecchia che comprenderà anche quello sottostante il Castello (Castrum Reginae), la Castellina. Questa Porta immetteva direttamente in quella che doveva essere la prima Piazza Maggiore davanti la chiesa del Patrono dei Normanni. La piazza era in collegamento diretto, tramite l'odierna via Misericordia, che rispetta precisamente l'andamento delle antiche mura sulla valle Rocca, col vecchio Castello di Placea, 200 metri ca. più in alto. Pertanto la via Misericordia doveva essere la prima Stràta Mastra del nuovo abitato (dopo saranno le vie Crocifisso e Monte, a secondo l'espansione abitativa). Anticamente la via Misericordia era intesa anche come "stata di li chiappi", probabilmente perchè erano tanti gli abitanti che erano soliti mettere al sole a seccare i fichi, che poi, diventando secchi, assumevano "quella" forma tipica, e che servivano tantissimo a integrare la dieta povera dei nostri antenati. La porta era distante dall'ultima, quella Catalana, almeno 500 m., ma successivamente, e una pianta del 1689 ce lo conferma, si riscontra la presenza di un'altra porta tra le due, quella che immetteva nella via Vallone di Riso, da non confondere con via Costa Vallone di Riso che era fuori le mura. Dalla via Vallone di Riso, attraverso la successiva via Tudisco si percorreva la parallela della via Monte, via Antonio Crescimanno, una volta chiamata via Madonna della Stella e, prima ancora, via Madonna della Facciranna, arrivando quasi al cuore della Città, nella piazza delle scuole della Trinità, a pochi metri dalla piazza della Chiesa Madre dal 1308 di S. Maria Maggiore (oggi Piazza Duomo).
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1781 Turisti di due secoli fa

Dieudonné de Dolomieu, 1750-1801

Vi riporto l’intera impressione che nel 1781 il geologo francese Dieudonné (o Dèodat) de Dolomieu (1750-1801) in visita in Sicilia, ebbe della nostra Città: <<A Piazza… su una piccola piazza all’interno della città c’era una cavità da cui usciva un vapore bituminoso e sulfureo… allaricostruzione di Piazza e vi si ricostruì sopra un basamento in muratura che porta una croce… Accanto al convento di S. Maria di Gesù c’è una cavità perpendicolare dalla quale uscivano, fino a poco tempo fa, vapori solforosi. Ci sono molti altri luoghi del territorio dove i vapori si sono aperti una uscita, e molte sorgive d’acqua, anche fredde, hanno un movimento violento d’ebollizione… C’è a Piazza, sopra la città un olivo notevole… così è stato constatato che quell’albero ha più di cinquecento anni… Vi ho trovato la massima abbondanza di frutti d’ogni specie>>. Probabilmente si tratta della piazza antistante la chiesa di S. Lorenzo detta anche dei Teatini. Infatti, nel grande dipinto restaurato, raffigurante il teatino S. Andrea Avellino e Maria SS. Delle Vittorie, nella mappa della città di allora si distingue una croce in pietra in mezzo allo spiazzo antistante la chiesa, attorniata da una processione ecclesiastica.  
Gaetano Masuzzo/cronarmerina.it

Oggi, San Biagio

S. Biagio nella Chiesa di S. Stefano
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Oggi si festeggia San Biagio, Vescovo del III secolo, di cui a Piazza c'è l'unica statua nella chiesa di S. Stefano, sopra il I altare entrando sulla dx, e non a caso. Infatti, tra la fine del '500 e l'inizio del '600 a Piazza si manifesta il culto verso Santo Stefano nell'adiacente Porta di San Giovanni Battista. All'inizio si tratta solamente di un oratorio, poco fuori le mura, con un solo altare dedicato al Santo, per pregare affinché fossero tenute lontane dalla città, le epidemie introducibili dagli stranieri e dagli abitanti dei paesi viciniori, attraverso la porta sucitata. Si racconta che per il miracoloso intervento di S. Biagio, e qui arriviamo al perché della presenza della statua nella chiesa di S. Stefano, non era entrata in Città una grave malattia dell'apparato respiratorio e, in ringraziamento di tale evento, fu attribuito un particolare culto a questo Santo presso questa chiesa. Nella seconda metà del '600 la chiesa viene ingrandita e abbellita e forse fu in questo periodo che vi si colloca l'altare maggiore in marmo che era stato smontato dalla chiesa di S. Anna. (Notizie tratte dal volumetto di Mons. Carmelo Messina, Parrocchia S. Stefano, 2004). 
Colgo l'occasione per fare gli auguri di buon onomastico a tutti i Biagio, Biagino, Gino, Bràsi e Bràsg, e quindi a mio padre Gino. 
(Nella foto: nella mano dx il Santo tiene un pettine - sembra una molla - per cardare la lana con il quale fu straziato prima di essere decapitato)
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