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Cronarmerina - Ottobre 2016

Cavalieri Ospedalieri di Santo Spirito

L'Ordine degli Ospedalieri di Santo Spirito fu fondato dal francese Guy de Montpellier (1160-1208) nel 1178 e successivamente approvato da papa Innocenzo III nel 1198. L'idea era quella di creare un'altra Milizia del Tempio ma impegnata in altre battaglie: la carità, l'ospitalità, la cura di tutte le miserie. Agli inizi del Duecento l'Ordine si era diffuso in tutti i paesi cristiani, ma la sua sede centrale era a Roma, presso Santo Spirito in Saxia. Questo era un complesso di edifici che era sorto nell'VIII secolo come centro di accoglienza dei pellegrini della comunità anglo-sassone e nel 1200 circa fu trasformato in ospedale, per il ricovero di ammalati e bambini abbandonati, affidato al suddetto Ordine, che così iniziò a svolgere la sua attività principale: erigere e gestire ospedali. Lo stemma o sigillo dell'Ordine era la croce di Lorena, a due bracci trasversali (un simbolo araldico che si faceva risalire a Giovanna d'Arco), che era collocato sopra il portone d'ingresso degli immobili, dove segnalava l'appartenenza di questi agli Ospedalieri di Santo Spirito. Il suo massimo splendore lo raggiunse nel XV secolo con migliaia di ospedali in tutta Europa, poi scomparve quasi completamente nel XVIII secolo. Oggi rimane qualche traccia in Spagna e in Polonia. Era un Ordine economicamente molto potente, come si desume dall'alto numero di case possedute, soprattutto nei dintorni degli ospedali. L'Ordine religioso era soggetto alla regola di Sant'Agostino ed ebbe carattere anche militare solo dal XIII secolo sino al 1459. Era composto sia da religiosi che da laici. Tra i religiosi c'erano i fratelli o canonici regolari, le sorelle, i sacerdoti e le oblate. Il fratello che governava un ospedale portava il titolo di "Comandante". I laici erano delle persone che facevano dei semplici voti per la cura dei poveri e degli ammalati come i religiosi. Anche nella nostra Città quest'Ordine fece la sua comparsa quando ebbe in gestione l'ospedale che si era stabilito nella sede definitiva del Monte¹ nel 1603, prendendo il posto dell'Ordine di S. Giacomo d'Altopascio. Infatti, il nuovo Ordine diede il nome sia al nostro ospedale che si chiamò "Ospedale di Santo Spirito", sia alla chiesetta di S. Maria degli Angeli che si chiamò "dello Spirito Santo". Anche l'antico Monte di Pietà aggiunse in quel periodo la dizione "sotto titolo dello Spirito Santo" quando la gestione passò al Sodalizio della Compagnia dei Nobili detta dei Bianchi.

¹ Nel 1771 chiamato "Ospedale Chiello" e dal 2015 sede dell'Episcopio e della Curia Vescovile.

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Ricordi inediti su P. Carmelo Capizzi/13 e ultimo

Cattedrale di Belluno, 3 ottobre 1965

Ricordi e fatti inediti/13 e ultimo

Salvatore tra i tanti bei ricordi che ha di suo fratello Carmelo, ne possiede uno al quale tiene in modo particolare. Si tratta della lettera battuta a macchina, che Carmelo gli dona nell'Ottobre del 1965 in occasione del suo matrimonio con la moglie Agnese Mondin, che trascrivo integralmente.

Belluno, 3/10/1965 - In occasione delle nozze di Salvatore con Agnese.

1. Questo momento corona il vostro sogno d'amore, maturato nell'ardua esperienza del fidanzamento. Vi siete un giorno conosciuti ed amati, poi avete affrontato insieme vari sacrifici per giungere a questo giorno, in questo luogo sacro dove il vostro amore, fra pochi minuti, sarà benedetto in nome di Dio ed innalzato al piano misterioso dei Sacramenti: sarà reso simile a quello che regna fra Cristo e la sua Chiesa. 2. Di tutto quello che voi avete fatto in preparazione di quest'opera decisiva, nulla è stato casuale e fortuito, anche se le apparenze possano far pensare così. Tutto, al contrario, è stato diretto dalla Provvidenza paterna di Dio, che ha agito anche mediante la legislazione severa della Chiesa e dello Stato. I vari documenti, ad esempio, che avete dovuto farvi rilasciare dalle autorità religiose e civili, sono stati anch'essi necessari per fondare e completare la bellezza di quest'ora. Adesso voi siete certi, sia pure nei limiti della fragilità umana, di pronunziare un "sì" che sgorga sotto la spinta di un amore che è, certo, umano, ma non puramente istintivo, non cieco. Ciò significa che voi ormai siete in grado di attuate fra qualche istante non un'unione passeggera, puramente passionale, ma un'unione cristiana, un'unione che corrisponda ai piani provvidenziali di Dio che si identificano con le aspirazioni più nobili e profonde del cuore umano. In breve: voi state per contrarre matrimonio secondo le leggi della Chiesa cattolica. Questo vuol dire che voi state per fondare una società coniugale il cui scopo è lo sviluppo totale della vostra personalità mediante la generazione dei figli, che Dio vorrà concedervi. Questi futuri frutti del vostro amore non solo dovranno essere "figli dell'uomo" destinati alla terra, alla società civile, alla patria; ma dovranno essere pure, anzi soprattutto, "figli di Dio" destinati al cielo, giusti e santi che devono popolare la Chiesa e poi, il Paradiso. Da ciò potete desumere la solennità di quest'ora nella vostra vita, l'altezza della missione che il Signore vi affiderà fra pochi minuti: Egli vi vuole suoi collaboratori nella propagazione della vita umana sia naturale che soprannaturale. 3. Ma potete anche dedurre il peso delle responsabilità che state per assumere. Tali responsabilità vertono sui nostri rapporti vicendevoli (unità e indissolubilità del matrimonio, donde deriva la necessità della fedeltà coniugale); vertono anche sui vostri rapporti coi figli che Dio vorrà concedervi (generazione, allevamento, educazione cristiana). Tali responsabilità sono gravi, come sappiamo per esperienza quotidiana. Ma per mantenervi sempre alla loro altezza, voi non dovete far altro che continuare a ripetere il dono vicendevole totale che state per compiere alla presenza di Dio e della Chiesa - in altre parole, non dovete far altro che perseverare nell'amore autentico, anche nei giorni e nelle ore in cui tale amore sarà soltanto sinonimo di sacrificio. In ogni caso, non dimenticate mai che il vostro sforzo di attuare tale impegno sarà benedetto e premiato da Dio, che oggi benedice e santifica il vostro amore. Egli non ci assegna mai una méta senza offrirci nel contempo i mezzi e le forze per la raggiungerla. Non dubitate dunque della sua assistenza nel portare la vostra croce di coniugi cristiani. 4. Nelle parole che vi ho rivolto finora, non ho esposto soltanto qualche elemento della dottrina della Chiesa, ma ho abbozzato pure un ideale: quello della vita coniugale cristiana, la cui attuazione è la via più sicura di quella felicità matrimoniale, di cui tanto si parla e si scrive, spesso poco seriamente e in modo irresponsabile. Io vi auguro tale felicità e, affinché voi possiate raggiungerla, fate di tutto per mantenervi in contatto con Dio, non solo attraverso la preghiera e la frequenza dei Sacramenti, ma anche mediante la lettura continua della Parola di Dio scritta, cioè della Bibbia [a questo punto consegnare a uno degli sposi la copia della Bibbia]. Dalla lettura attenta e intelligente di questo LIBRO e non da certa stampa paganeggiante o anticristiana ricaverete i principi e la forza per risolvere i problemi che, presto o tardi, si affacceranno all'orizzonte della vostra vita coniugale. In questi giorni voi avete ricevuto molti regali. Ma quello che sto per farvi io in questo momento, malgrado la sua modesta apparenza, è il più prezioso di tutti quelli che avete ricevuto o che ancora possiate ricevere. Infatti gli altri regali possono esservi utili per qualche aspetto particolare della vostra vita; la Bibbia invece, questo LIBRO nel quale soltanto ci è stata tramandata la Parola di Dio scritta, è utile, anche indispensabile, a tutti gli aspetti e a tutti i momenti della vostra vita sia nell'intimità famigliare che nel contesto della società. Perché di tante cose noi possiamo fare a meno; ma della Parola di Dio, della Luce e Forza emananti da essa, della Vita che sgorga dalle Pagine Sacre e ci innalza fino a Dio, noi abbiamo bisogno sempre. Aff.mo Carmelo S.J. (firma autografa)

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Edicola n. 43

L'Edicola Votiva n. 43 nella foto si trova a metà Discesa Itria. Ricavata forse da una ex finestra, è la tipica Edicola Votiva con una piccola e semplice grata in ferro (con due vasi e tre fiori ciascuno in lamiera) che la protegge. In primo piano c'è una statuetta dell'Immacolata Concezione (particolarmente venerata in questo sito, come abbiamo visto nell'Edicola n. 41 ) dietro di questa un quadro grande quanto l'Edicola dove è rappresentata la Madonna con in braccio Gesù Bambino, oltre ai soliti vasetti con fiori di plastica. Ero passato diverse volte dalla Discesa Itria ma non l'avevo notata scenendo a dx, se non fosse stato per la segnalazione di un amico abitante nei pressi. Così è stato per un'altra edicola poco vicina ma difficile da individuare se non si è del posto e di cui vi parlerò la prossima volta.

Nel mese di dicembre 2018, un fedele (Sig. A.) mi ha fatto notare che la Madonna con in braccio Gesù Bambino è la Madonna del Carmine. Infatti, nella parte inferiore del quadro sono rappresentate le anime sante del Purgatorio. La Madonna del Carmine è venerata anche come particolare protettrice delle anime sante del Purgatorio, infatti a livello iconografico spesso è raffigurata mentre trae dalle fiamme dell’espiazione del Purgatorio le anime purificate e anche per questo è invocata come “Madonna del Suffragio”. La Madonna, in una delle rivelazioni a santa Brigida, affermò: “Io sono la Madre di tutte le anime che si trovano in purgatorio ed intervengo continuamente con le mie preghiere per mitigare le pene che meritano per le colpe commesse durante la loro vita”. Tra le altre cose, il sig. A. mi ha fatto notare che sul quadro esistono dei buchi dove erano stati inseriti, dai devoti, degli ornamenti "preziosi" (aureola al Bambino Gesù, orecchini alla Madonna) sottratti ormai da tempo, ed è rimasta solo una collana di scarso valore annerita.  

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Peccato!

U zzù P'nùzzu

E' bastato averlo incontrato una sera di quest'estate alla villetta Cascino di Piazza Armerina, per far venire a galla i ricordi d'una vita. Sedersi sulla panchina uno accanto all'altra, raccontarsi e fermare il casuale incontro in uno scatto fotografico, è stato piacevole pu zzù P'nùzzu e per l'autrice, che ancora lo ringrazia scrivendo di lui.

Damàgg!

U truvàva s’tàit sövra u bastiöngh da Cummènna,
facciafrönt a crèsgia d Sant Stef’nu.
Cam’sgèdda a r’ghetti celèst e biànchi
g’lècch grìsgett, càuzzi blù tantìcchia rànni.
Ntâ so fàcci bedda tunnià,
br’llàv’nu döi òggi sèmpr allègri e fùrbi.
Purtàva cavègghi curti tagghiàit a spàzzula,
èr’nu nèri ma a ogn ann ch’passàva
d’v’ntàv’nu tantìcchia ciù biànchi.
N’tèrra, v’sgingh a ièu, st’nncchiàda na mapìna
unna ggh’era ogn’ béngh d Dèu.
Aöi, mazzètti d’ c’curiöngh appèna cugghiù,
nàutr giörn putév’nu ess ravanàstri,
sanacciöli, amàreddi, ompùru f’nuggétti.
Quànn pöi era a vòta du righ’n
u sciör d cö bèi mazzétti
s’ s’ntèva p’ tutt’ Sant Stef’nu.
E chi b’ddézza èr’nu i munz’ddètti di babaluccèddi
ch’ cèrti vòti jé truvàva sövra a mapìna,
pàrev’nu prònti p’ess v’nnù pròpiu a mì.  
Sc’nènn da Cummènna (ddöh stöi jè d’ casa n’l’està)
era obl’gatòri f’rmè ’m no zzù P’nùzzu
p’ cattèggh’ ‘ncòch còsa
‘mpùru s’ jé nan avéa d b’sògn.
Niàuti nan fùmu mai l’ungh ch’ v’nnea e l’autra ch’cattàva
p’rchì oramài, cu passè d’l’anni,
fra mi e u zzù P’nùzzu aveà na’sciùit
‘na s’mpatìa e n’am’cìzia s’nzèra
ch’ sulu u to paìs pò fè nàsc accuscì fòrt.
Er’mu döi paisài ch’ s’ saluev’nu a fìngh d’l’està
e s’ r’vdèv’nu a fìngh ottövr,
quànn jè e mi marì turnöma a Ciàzza
pa fèsta d’Ognissanti.
‘Mpùru iéddu però ogn tant s’ fasgèva ‘n viaggètt
e cianàva ntê mi bànni, a Torino,
p’ v’nì a truvé so figgh.
Turnàit a Ciàzza, truvàva u zzù P’nùzzu
s’tàit ddà, o sòl’t post.
A v’rdùredda cangiàva securnànn i stasgiöi
ma a d’l’catèzza e a s’mpatìa du zzù P’nuzzu
era sèmpr a stìssa.
Ma pöi venn dda giurnàda
e tant’autri ancöra
ch’u zzù P’nùzzu nan s’v’nèa a s’tè ciù sövra u bastiöngh.
U p’rchì mu cuntà iéu stìss
ddu giörn ch’ sc’nènn da Cummènna
u vìtti s’tàit arréra còm na vòta o sòl’t post.
O so sciànch però nan ggh’avèa a mapìna
ca v’rdùredda, né righ’n, né babalucèddi.
Ntê so oggi, no méntr ch’ n’ dèv’mu a màngh p’ saluer’n
vìtti lucc’ché na ddàrma
intànt ch’d’sgèva:
<<Sign cuntènt d r’ved’la s’gnù,
ma ggh’hòi ‘ncudògn zza...
Sign d’spiasgiù ch’ nan ggh pozz purtè ciù
ddi bèddi còsi ch’ ggh piasgév’nu!
Còm pozz anné a pè ‘n campàgna
a cöggh v’rdùra e a z’rchè babaluccèddi
öra ch’ ‘ncòch m’saràbu bastàs
m’ha rubàit a bedda lapa?
Damàgg!>>.

Rosalba Termini, settembre 2016
                                                                           
Traduzione

Peccato!
Lo trovavo seduto sopra il muretto della Commenda,
di fronte alla chiesa di Santo Stefano.
Camicetta a righe celesti e bianche
gilè grigetto, pantaloni blu un tantino larghi.
Nella sua faccia bella rotonda,
brillavano due occhi sempre allegri e furbi.
Portava capelli corti tagliati a spazzola,
erano neri ma ad ogni anno che passava
diventavano un po’ più bianchi.
A terra, vicino a lui, distesa una tovaglietta
dove c’era ogni ben di Dio.
Oggi, mazzetti di cicorione appena raccolto,
un altro giorno potevano essere “ravanastri”,
“sanaccioli”, ”amareddi”, oppure finocchietti.
Quando poi era la volta dell’origano
il profumo di quei bei mazzetti
si sentiva per tutto Santo Stefano.
E che bellezza erano i mucchietti di lumachine
che certe volte trovavo sulla tovaglietta,
sembravano pronte per essere vendute proprio a me.
Scendendo dalla Commenda (abito lì in estate)
era obbligatorio fermarmi dallo zio Giuseppe
per comprare qualcosa, a
anche se non ne avevo bisogno.
Noi non eravamo mai l’uno che vendeva e l’altra che comprava
perché ormai, col passare degli anni,
fra me e zio Giuseppe era nata
una simpatia e un’amicizia sincera
che solo il tuo paese può far nascere così forte.
Eravamo due paesani che si salutavano alla fine dell’estate
e si rivedevano a fine ottobre,
quando io e mio marito torniamo a Piazza
per la festa dei defunti.
Pure lui però ogni tanto faceva un viaggetto
e veniva su dalle mie parti, a Torino,
per venire a trovare suo figlio.
Tornata a Piazza, trovavo lo zio Giuseppe
seduto là, al solito posto.
La verdura cambiava col susseguirsi delle stagioni
ma la delicatezza e la simpatia di zio Giuseppe
era sempre la stessa.
Ma poi venne un giorno
e tanti altri ancora
che zio Giuseppe non veniva a sedersi più sul muretto.
Il perché me lo raccontò lui stesso
quel giorno che scendendo dalla Commenda
lo vidi seduto di nuovo
come una volta al solito posto.
Al suo fianco però non aveva la tovaglietta
con la verdura, nè origano, nè lumachine.
Nei suoi occhi, mentre ci davamo la mano per salutarci,
vidi luccicare una lacrima
mentre diceva:
<<Sono contento di rivederla signora
ma ho un nodo alla gola...
Sono dispiaciuto che non le posso portare più
quelle belle cose che le piacevano!
Come posso andare a piedi in campagna
a raccogliere verdura e a cercare lumachine
ora che qualche miserabile
mi ha rubato la bella Ape?
Peccato!>>.
Rosalba Termini

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