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Gaetano Masuzzo

Gaetano Masuzzo

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1820 Turista Auguste de Sayve

Tra i visitatori più importanti della nostra Città nel XIX secolo, troviamo il francese Auguste de Sayve (1790-1854) e ci fa sapere che nel 1820 ca. <<…essa era situata a qualche distanza dalla città moderna. Se ne vedono dei resti insignificanti, che consistono in basi di mura ed in alcuni mattoni, in una località chiamata Casali, presso la montagna Filosofiana, a una lega da Piazza. La città attuale, che ha circa 12.000 anime di popolazione, è molto graziosa… I suoi dintorni sono molto gradevoli… così la fertilità di queste campagne ha fatto dare alla città il soprannome di Opulentissima>>. A proposito di questo viaggio in Sicilia, ho pescato questo articolo della giornalista Leda Melluso <<Auguste de Sayve ritornò a Parigi con una pulce in testa: perché neppure una parola, una sola? Ciao, riverisco, sabbinirìca. Niente. Mentre cavalcava alla volta di Castelvetrano, in una di quelle giornate afose che più non si può, il francese osservò un uomo seduto sul bordo della strada. Bastò quello sguardo forestiero per fare alzare di scatto il siciliano che con una mano indicò al viaggiatore il sole che, alto nel ciel, ruggiva più che mai, e con l'altra gli offrì un orcio di vino. "Ma che caldo fa in Sicilia! Ma che giornata di scirocco! Dalle nostre parti succede spesso. A quest'ora è meglio non mettersi in cammino. Si beva un po' di vino che si rinfresca. Questo vino è buono e lo faccio io...". Tutte queste cose le avrebbero dette un ligure o un lombardo. Ma un siciliano no! Il siciliano era muto come un pesce. Che fa a questo punto lo straniero? Ammutolisce pure lui ed è logico perché uno si sente un cretino a parlare con chi è tanto sicuro di sé che disprezza anche la parola. Non restò altro da fare a De Sayve che prendere alcune arance che teneva dentro un sacco sul davanti della sella e darle a quell'uomo che se ne andò tutto contento. E in silenzio>>.

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Porte della Città/Vallone di Riso

Sotto la scalinata si intravede una porta murata
Angolo via Costa Vallone di Riso - Via Campagna S. Martino
Questa è la VII e ultima porta della Città, che ho individuato grazie sia a una delle due antiche piante della città del 1689 e sia al sito che vedete nelle foto. Si tratta della Porta Vallone di Riso che immette, salendo la scalinata, direttamente nella via omonima, o meglio, è la via Vallone di Riso che mi ha fatto chiamare la porta in questo modo, non avendo altri riferimenti. Oltrepassando questa porta ci si trovava direttamente sulla via che portava in quella che era chiamata via Madonna della Facciranna e, dal 1510, quando arrivarono i Padri Agostiniani, via Madonna della Stella, oggi Antonio Crescimanno (l'antico nome si legge appena sul cantone con la via Mandrascate). La strada, parallela alla principale via Monte, conduce nella piazza delle Scuole Elementari della "Trinità", a un passo dal Castello Aragonese (poi carcere) e da Piazza Duomo. Questa doveva essere la porta di accesso più prossima alla valle sottostante dal versante Sud-Ovest dell'abitato e si trovava a ca. 150 metri dalla Porta Catalana e a ca. 350 metri da quella di S. Martino. Anche se vicina alla valle piena di Orti, doveva essere tra le più difficili da oltrepassare dai nemici in caso di attacco, infatti in quel tratto le pendici sono abbastanza alte e scoscese. Nelle foto si intravede in maniera molto chiara la forma di una apertura, ma non è sicuro che si tratti dell'antica porta. Ma è certo che dalla grandezza, doveva trattarsi di un varco di una certa importanza, forse per il passaggio delle acque più o meno reflue o, come mi piace credere, della VII porta della nostra Città, Porta Vallone di Riso.    
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Oggi W Sant'Àita

Quadro di S. Agata rubato dalla chiesa di S. Pietro
Statua di S. Agata proveniente dall'ex chiesa, in Pinacoteca Comunale
Il culto di Sant'Agata a Piazza, come in tutta la Sicilia risale al III secolo, sin da quando la giovane nobile siciliana rifiutandosi di ripudiare pubblicamente la propria fede cristiana, fu processata, fustigata, torturata con lo strappo delle mammelle con le tenaglie e, infine, sottoposta al supplizio dei carboni ardenti, che la portarono alla morte il 5 febbraio 251. Al tempo dei Bizantini, 540 d. C., già nel nostro territorio si hanno cappelle o piccole chiese dedicate alla Santa, per esempio in una contrada nei pressi di Mirabella Imbaccari ne esiste una che poi le darà il nome "Gatta". Nel 1334, Bonadonna e la figlia Graziana Sparavayra, nobili piazzesi, fanno costruire la chiesa di S. Agata a poche decine di metri dalla chiesa di S. Maria Maggiore al Monte. Due secoli dopo, nel 1530, la baronessa Costanza Colomba del Polino decide di trasformare il suo palazzo confinante con la chiesa di S. Agata in Casa di Ritiro spirituale per pie signore sotto il titolo della Santa. Nove anni dopo si trasforma in Monastero sotto la regola di S. Benedetto (il III della Città). Dopo più di tre secoli, nel 1879, le suore del Monastero sono costrette a trasferirsi presso l'altro di S. Giovanni Evangelista, per la pericolosità delle fabbriche del loro edificio che passa in custodia del Comune. Nel 1885 il sindaco Antonino Crescimanno, fa approvare una delibera con la quale essa viene destinata a pinacoteca e museo comunale. Restituita al Vescovo, molte delle opere d'arte in essa contenute, sono trasferite in Cattedrale e finalmente, nel dicembre del 2011, con l'apertura della Pinacoteca Comunale in via Monte, nell'ex Monastero della Trinità, possono essere nuovamente ammirate. La chiesa e il monastero, invece, sono demoliti nel 1930, per dar luogo al "chianu Balilla" destinato dalle autorità fasciste a piccola piazza d'armi per l'istruzione paramilitare dei Balilla e Avanguardisti. Tutti sappiamo che S. Agata è la patrona di Catania, ma è anche una delle quattro Sante patrone di Palermo, in particolare di uno dei quattro quartieri storici della città, la Kalsa, Mandamento Tribunale (dove c'è il Palazzo Steri sede del "Tribunale dell'Inquisizione", oggi Università).
 
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Carnevale di Tanino

Carnevale anni '60

Ho ricevuto da Tanino Platania questa poesia tratta dal suo libro “Pènz e di” che parla del Carnevale a Piazza: “U Carr'vèr a Ciàzza”.

Il Carnevale a Piazza Armerina prima del 1904 aveva la sua valenza carnascialesca poi, quando i fatti politici tra “casciniani e marescalchiani” degenerarono durante il carnevale di quell’anno, al punto da registrare dei morti tra i dimostranti mascherati, il carnevale a Piazza non ha trovato più quello spirito di una volta, anzi nel freddo febbraio le scuse sono belle e pronte: non abbiamo tradizioni, non muvöma né testa e né panza e, se qualcuno si dovesse adoperare nel tentativo di riportarlo in auge…
 
U CARR’VÈR A CIÀZZA
 
Tra i fèsti ciù beddi d’ l’ann,
u carr’vèr s’ r’campa zzà, frédd ognadann.
 
Còm sèmpr, non ggh’è r’zètt:
s’  fa o nan s’  fa  u sch’tt’cchiètt?
 
 cu vò cum’nzè,
ggh tagghianu i pè:
 
non avöma né stùdi né usànza
non muvöma né testa né panza
 
Cû Capùt(1) e cû Föntàna,(2)
ggh’era spàss p’ ‘na s’màna.
 
S’ aöi,  còm aöi, ggh’é ‘n Totò Abati,(3)
ch p’ Ciàzza s’ vò sbrazzè com a ‘n frà,
 
e ch’ vò ballè ‘mpùru cu ‘n pè,
p’rchì u carr’vèr ggh’ l’avöma scunzè?
 
U brìu unna vigna è?!
 
                                            Tanino Platania
 
1) Ernesto Caputo, poeta dialettale di allegra compagnia
2) Alfredo Fontana, si accompagnava spesso all’amico Caputo in spassose scenette. 
3) Salvatore Abate, cittadino  attivo nell’organizzare feste di quartiere.
 
Traduzione
Il Carnevale
Tra le feste più belle dell’anno,/ il Carnevale arriva “freddo” ogni anno,/ come sempre non c’è mai la sicurezza che si possa festeggiare./ (E  ci  si chiede) Si festeggia o non si festeggia?/ A quelliche vorrebbero festeggiarlo/
gli fanno perdere l’entusiasmo: /(dicendo: …Non abbiamo una tradizione…/…Perché  ballare?…Lasciamo perdere/
(In tempi passati) Con  Ernesto Caputo e con Alfredo Fontana,/ c’era allegria per una settimana./ Se, oggi come oggi, c’è un  Totò Abate,/ che per Piazza si prodiga/ e che vorrebbe ballare anche  su  un piede/ (mi chiedo) perché la festa del  “Carnevale”  gliela dobbiamo rovinare ?/ Il  brio… dove sta?
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