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Cronarmerina - Gennaio 2020

Sepoltura di nobili piazzesi a Palermo

Lapide sepolcrale coniugi Trigona e Starrabba, 1670, chiesa di S. Maria della Catena, Palermo

Chiesa di S. Maria della Catena, Palermo, XV-XVI sec.

Sin dai primi anni del Seicento, alcuni appartenenti alle nobili famiglie piazzesi, avevano deciso di soggiornare e, in alcuni casi, di trasferirsi definitivamente a Palermo. Era il periodo della grandiosa operazione urbanistica che modificò con demolizioni, sventramenti ed edificazioni il tessuto topografico della città. I nobili e gli ordini religiosi per attestare la loro opulenza e potenza facevano a gara nell'edificare splendidi palazzi, chiese sontuose, grandiose case conventuali. I baroni si presentavano alla Corona come l'unica forza in grado di assicurare la pace sociale e la fedeltà alla Spagna da parte dei Siciliani. Tra questi nuovi palermitani troviamo alcuni componenti di due tra le più nobili, ricche e influenti famiglie di Piazza, la Trigona e la Starrabba. Questa presenza di piazzesi nella capitale della Sicilia è confermata da una lapide sepolcrale (foto in alto) nella chiesa di Santa Maria della Catena (foto in basso). Edificata tra la fine del '400 ed i primi del '500 la dove c’era già un’antica cappella votiva, la chiesa di Santa Maria della Catena era così chiamata perché si trovava ad una delle estremità della catena di ferro che chiudeva il vecchio porto al fine di impedire le incursioni nemiche, ma anche a memoria del miracolo avvenuto nell’agosto del 1392 per il quale tre palermitani, che dovevano essere ingiustamente impiccati in Piazza Marina, legati dai propri carnefici all’altare dell’antica cappella, nell’attesa che passasse un forte temporale sopraggiunto, videro accolte le loro preghiere alla Madonna, la quale gli parlò liberandoli dalle catene. Il progetto della chiesa è attribuito a Matteo Carnalivari, insigne architetto rinascimentale di cultura catalana. In seguito al prolungamento sino al mare del Cassaro (oggi Corso Vittorio Emanuele) nel 1581, si creò un dislivello che fu colmato con una scalinata d’accesso¹. Dopo l'ingresso si notano tre navate e ai fianchi delle due navate laterali sono presenti le cappelle, aggiunte più tardi. Per i danni dell'ultimo conflitto mondiale, sono rimaste integre le cappelle del lato destro, mentre la parete di sinistra è stata danneggiata dai bombardamenti². È proprio in una delle semi-cappelle ricostruite (la seconda nel lato danneggiato di sx) che troviamo la lapide nella foto in alto. Leggendola attentamente si scopre che è stata posta nel 1670 da don Antonino Maria Trigona e Starrabba, in ricordo dei suoi genitori, don Antonio (o Antonino junior) Trigona barone di San Cosmano morto due anni prima (1668) e donna Solomea Starrabba e Landolina, figlia del regio milite Pietro barone di Scibini e di Francesca Landolina baronessa di Giardinelli³. Inoltre, sia i due Trigona sia Solomea erano nipoti del barone Marco Trigona (1546-1598), in quanto lui e il fratello Antonio erano figli del barone di Spedalotto sposato con una Starrabba, Vincenza. Un'ulteriore conferma che i matrimoni tra nobili parenti erano frequentissimi, l'abbiamo dallo stesso barone Marco che aveva sposato Laura (1557-1597) figlia di sua sorella Beatrice e di Giovan Francesco de Assaro, pertanto Laura era nipote di Marco. Per quanto riguarda il sito originario della posa della lapide, esiste qualche dubbio derivante da quanto è riportato in una pagina dell'opera "Della Sicilia Nobile" del marchese di Villabianca Francesco M. Emanuele Gaetani4 «Per chiosa di questo capitolo [riguardante la famiglia Trigona] placemi trascriver quivi una nobile iscrizione sepolcrale di un Cavaliere di questa Casa, che vedesi in questa nostra Metropoli [Palermo] nella chiesa di S. Giuseppe dei Padri Teatini incisa in una tavola di marmo posta per pradella dell'Altare di S. Andrea Avellino» e segue l'identica iscrizione nella lapide. Si sconoscono i motivi per i quali la lapide si trovi oggi nella chiesa palermitana di Santa Maria della Catena, se l'Emanuele Gaetani l'ha vista a metà del Settecento presso la chiesa dei Teatini ai Quattro Canti5.     

¹ Cfr. il sito http://www.turismopalermo.it/chiese-palermo/chiesa-santa-maria-della-catena (consultato il 22 gennaio 2020). Originariamente le scalinate erano due laterali. Il prolungamento creò il cosidetto "Cassaro morto" cioè l'ultimo tratto della strada, il tratto più "giovane ma meno nobile" (Le chiese del Cassaro morto, palermo.mobilità.org, consultato il 25 gennaio 2020).

² Cfr. il sito http://www.palermoviva.it/chiesa-santa-maria-della-catena/ (consultato il 22 gennaio 2020).

³ Ciò spiega i blasoni delle due famiglie nei due quarti superiori degli stemmi ai lati dell'iscrizione: Trigona e Starrabba, mentre in quelli inferiori ci sono i blasoni di due antenate di Solomea, a sx quello della nonna, Ippolita Sortino b.ssa di Scibini, a dx quello della madre, Francesca Landolina b.ssa di Giardinelli. 

4 F. M. Emanuele e Gaetani, Della Sicilia Nobile, Nella Stamperia de' Santi Apostoli per P. Bentivegna, Palermo 1757, Vol. 3, Continuazione della Parte II, p. 183.

5 Qualche giorno dopo la pubblicazione del post, l'amico Antonio Barbera, che segue costantemente il mio sito da Messina, mi ha segnalato che nella "Guida per Palermo e pei suoi dintorni" del barone V. Mortillaro, Tip. del Giorn. Letterario, Palermo 1836, senza numero della pagina, ma che io ho rintracciato nelle pp. 31-32 dell'edizione Stamperia degli eredi Graffeo, Palermo 1829, nella chiesa della Catena, facente parte della Parrocchia della Kalsa, «avvi in questa chiesa una immagine di San Gaetano, quadro [...] di Pietro Novelli [...] nella terza cappella che entrando è a sinistra, e nella cappella contigua uno di Sant'Andrea Avellino del Carrega» ciò a dimostrazione che anche in questa chiesa dei CC. RR. Teatini esistesse una cappella dedicata a Sant'Andrea Avellino. Probabilmente, come dice l'amico Antonio, «l'errore [del marchese di Villabianca] di ubicazione è possibile in quanto lo scopo del Gaetani è scrivere un libro sulle famiglie nobiliari non sulle chiese e confraternite di Palermo».

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