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Cronarmerina - Giugno 2018

Fontana Outlet Village/n. 66

Questa è la Fontana n. 66 ed è la seconda (dopo la n. 65) che troviamo nel Sicilia Outlet Village, a poche centinaia di metri dalla stazione ferroviaria di Dittaino. Il Centro Commerciale è stato costruito nel 2010 e ogni anno registra un aumento nell'affluenza di clienti da tutta l'Isola. Ormai è un sito compreso nel "gran tour" dello shopping-turistico siciliano che, assieme a tutti gli altri, accoglie clienti convinti di fare ottimi acquisti a prezzi imbattibili. Quello che è difficile da spiegarsi è come mai in questi anni di "drammatica crisi", sbandierata ai quattro venti, questi centri commerciali siano presi sempre d'assalto e frequentatissimi, senza contare che occorre raggiungerli in auto, ovviamente di ultima generazione, percorrendo decine e decine di chilometri. C'è qualcosa che mi sfugge!

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8 Donne da ricordare

Dov'era la Porta dell'Ospedale

Dov'era l'ospedale voluto dalla nobile Giacoma Villardita nel 1420

Dov'era l'ospedale che Graziana Villardita, figlia di Giacoma, trasferì nel 1444

8 DONNE DA RICORDARE
(Monte di Prestami, 10 marzo 2018)

In questi anni in cui mi sono occupato della storia di Piazza, mi sono imbattuto in diverse donne piazzesi dalla forte personalità e carattere. In questa occasione non voglio riproporre le tante che hanno lasciato un segno in ambito ecclesiastico, come Serve di Dio, beate, suore, monache e fondatrici di istituti religiosi, bensì ricorderò alcune donne che si sono distinte nel raggiungimento di obiettivi che si pensa siano declinati esclusivamente al maschile. Inizio con due donne, madre e figlia, Giacoma e Graziana Villardita, cognome che poi si trasformerà nell’odierno Velardita. La madre, Giacoma, prendendo atto che a Piazza per i quasi 8.000 abitanti di allora, siamo nei primi anni del Quattrocento, non ci fosse un ospedale vero e proprio, se non quello gestito dai frati Ospedalieri  dell’ordine di San Giacomo d’Altopascio, inadeguato e quasi rudimentale nell’odierna via Roma, all’altezza della chiesa di Santa Barbara dove c’era una delle porte della città chiamata appunto dell’Ospedale (foto in alto), trasforma in Ospedale la sua grande abitazione dove oggi c’è la Pinacoteca Comunale di via Monte (foto in mezzo), dandogli il nome di Ospedale di San Calogero e di Santa Maria degli Angeli. 24 anni dopo la figlia, Graziana, lo trasferisce nell’edificio di fronte l’odierna chiesa di San Giuseppe (foto in basso), dove esiste la chiesa dei Santi Filippo e Giacomo adatta ai bisogni di un più attrezzato ospedale.
Facendo un salto di un secolo e mezzo, arriviamo al 1580, quando una donna tra i tanti uomini benefattori, Beatrice Cremona, lascia una consistente eredità al Monte di Pietà, affinché fosse destinata alla formazione della dote alle ragazze orfane, per agevolare i loro matrimoni o maritaggi. Infatti, questo tipo di sostanziose donazioni, che aiutavano le giovani donne della nostra città del Seicento e del Settecento a crearsi una famiglia, si protraevano per  anni e venivano chiamati Legati di Maritaggio.
Arriviamo alla fine dell’Ottocento primi Novecento, quando la baronessa Carmela D’Aquino, vedova sia del primo marito, Vespasiano Trigona Calafato dei baroni di Geraci, sia del secondo, pronipote del primo, Antonino Trigona barone di Geraci, dopo aver rinunciato all’usufrutto dei beni in favore dell’ospedale che già allora si chiamava “Chiello”, con i suoi lasciti fonda nei primi anni del Novecento un istituto di beneficenza nel suo palazzo di piazza Castello. L’istituto “Baronessa Carmela Trigona di Geraci” che comprende un asilo, la scuola elementare e un laboratorio di sartoria e ricamo, dopo qualche decennio si trasformerà in Scuola Professionale Femminile, per poi essere gestito dalle Suore Salesiane Figlie di Maria Ausiliatrice.
Concludo queste notizie su donne che hanno influito nella nostra storia culturale cittadina, parlandovi brevemente di altre quattro di un certo rilievo, ma in campo letterario e sconosciute ai più.
Una è Severina La Vaccara Trigona, figlia dell’onorevole piazzese Benedetto La Vaccara Giusti,  nata nel 1884 e morta nel 1971. La troviamo tra le personalità elencate dal prof. Sebastiano Salomone nel suo dizionario del 1911 La Sicilia intellettuale contemporanea dove di lei dice che «Scrive più  spesso in poesia e si fa ammirare per gusto, per semplicità, per eleganza di frase e di pensiero. Nei versi di lei predomina la nota gentile di altruismo e di patriottismo». Inoltre, la troviamo, assieme ad altre due piazzesi, Maria Giovanna D’Anca e Agata Libra, elencata tra le Poetesse in italiano siciliane contemporanee nel libro dello storico Santi CORRENTI, Donne di Sicilia. La storia dell'isola del sole scritta al femminile, Coppola Editore, Trapani 2002.
L’ultima delle 4 poetesse piazzesi è la professoressa Anna Maria Cerasuolo, nata a Piazza Armerina nel  1917 in via Crocifisso, dal matrimonio tra il maestro di musica e direttore della banda cittadina, originario della Calabria, Giuseppe Cerasuolo, e la maestra elementare Maria Bonifacio. La poetessa muore a Vittoria nel 2002. Laureata in Lettere, insegna nelle scuole di Piazza dove conosce il marito, Lorenzo Zaccone originario di Modica, anche lui insegnante di lettere nel nostro Liceo Classico negli anni Cinquanta. La Cerasuolo la scopro per un fatto curioso. Un giorno mi accorgo che nella sala della Mostra del libro Antico in Biblioteca, esiste un quadretto con una lettera manoscritta che non si capisce bene a chi e a che cosa si riferisca. Dopo la relativa ricerca, scopro che quella è una lettera scritta dalla poetessa alessandrina Sibilla Aleramo alla nostra Cerasuolo che, oltre a essere un’ottima insegnante, quando se ne presentava l’occasione, metteva in mostra le sue straordinarie qualità musicali come quella di saper suonare tutti gli strumenti (anche quelli a fiato) o quella di saper cantare, con una bellissima voce di soprano. Ha pubblicato varie raccolte di poesie, un romanzo, uno di novelle e uno che spiega la Divina Commedia agli alunni della scuola media. Tra le tantissime poesie c’è questa brevissima dal titolo DONNE DI SICILIA tratta dalla raccolta “Poesie” presente anche nella nostra Biblioteca Comunale. Mi sembra appropriata all’occasione e per questo la dedico a tutte le donne piazzesi, con l’augurio che diventino sempre più influenti nella nostra società, senza però avere gli stessi difetti di noi uomini.  

DONNE DI SICILIA

Languide e vibranti
nascondono
sotto ciglia di gazzella
il fuoco che le divora
e le rende
pavide e ansiose
al pensiero d'un bacio.

Ma non c'è fretta in loro.
Sanno tendere le reti dorate
ai sogni della vita
e pazienti attendere
l'ala che vi batterà contro
furtiva.
Poi non indulgono più ai giochi.
D'amore si può morire.

A. M. Cerasuolo

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'Ngiulìnu u bersaglièr-6

L'onorificenza di Cavaliere dell'Ordine di Vittorio Veneto arrivata al bersagliere Angelo Masuzzo dopo più di mezzo secolo dalla fine della Grande Guerra

La storia vera di un giovane di cento anni fa - 6 (ultima parte)

(continua dlla 5^ Parte) <<Lo scambio di colpi era iniziato al mattino ed era continuato per tutta la giornata. Verso sera il bombardamento era quasi cessato ed ora i colpi provenivano solo dalla parte degli alleati, segno che la zona dei tedeschi era stata quasi del tutto neutralizzata. Ma nessuno osava mettere fuori il naso dalla grotta. Bisognava aspettare che tutto fosse tranquillo e che non si sentissero né spari, né passaggi di carri armati od altri mezzi militari. Era ormai completamente buio e dentro la grotta era stato acceso un microscopico lumicino tanto per dar da mangiare ai bambini. Poi, all’improvviso, sentirono muovere le assi che chiudevano l’ingresso. Videro due uomini davanti e, malgrado il buio, ‘Ngiulìnu riconobbe subito che si trattava di due tedeschi. Pensò che li avrebbero fatti fuori con un paio di granate e poi sarebbero andati via, ed invece i due entrarono e rinchiusero la grotta. Attraverso il lumicino ‘Ngiulìnu notò che si trattava di due ufficiali con ancora la pistola al fianco. Avevano gli occhi quasi spiritati e con gesti cercavano di far capire ai civili di non aver paura. Probabilmente si trattava di due comandanti del reparto di artiglieri che stavano sulla collina, ma non si capiva come mai fossero arrivati fino a lì. Visto come stavano le cose, ‘Ngiulìnu prese dell’acqua, un po’ di pane, del salame, dei pomodori, dei fichi e li offrì ai due. Non erano feriti, ma entrambi tremavano come foglie tanto che non riuscivano neanche a bere. Dopo essersi un po’ rifocillati, allungarono un po’ le gambe in quell’angusto spazio e poi, all’improvviso, uno dei due scoppiò in un incontrollabile pianto. Era veramente strano, soprattutto per ‘Ngiulìnu che molti anni prima aveva combattuto contro i tedeschi, vedere un uomo così alto e robusto ridotto in quello stato. Subito dopo estrasse dalla tasca un portafoglio e mostrò a tutti le foto in cui vi erano moglie e due figlie. ‘Ngiulìnu allora avvicinò il lumicino e volle che tutti osservassero quelle foto a conferma che anche il più acerrimo nemico ha sempre un cuore e degli affetti a cui rivolgere il pensiero. Ormai era calato il silenzio. Niente cannoni, carri armati o spari. Era comparsa anche la luna la cui luce filtrava tra le assi dell’ingresso. Allora tutti, compresi i due ufficiali, pian piano si addormentarono. Era stata una terribile giornata, sia per i civili che per i militari. Al mattino, il primo a svegliarsi fu ‘Ngiulìnu, anche perché era il più vicino all’ingresso ed il sole era già sorto. Si guardò intorno e non vide più i due tedeschi. Erano andati via nel più assoluto silenzio mettendo al loro posto anche le assi. In un angolo ‘Ngiulìnu vide due scatolette. Erano due confezioni di marmellata lasciate dai due ufficiali per dir loro grazie. Subito dopo la terra incominciò a tremare. Uscirono tutti dalla grotta e videro decine di carri armati che risalivano verso Nord. Erano gli alleati che avanzavano. I tedeschi erano in ritirata, ma lungo la Piana di Catania avrebbero bloccato per più di un mese gli americani. Prima di arrivare a Messina ed attraversare lo Stretto vi sarebbero stati altri morti da ambo le parti. ‘Ngiulìnu rivolse il pensiero ai due ufficiali tedeschi. Erano riusciti a raggiungere i compagni? Erano stati fatti prigionieri dagli alleati? Oppure, per loro la guerra era finita tragicamente proprio quella mattina? A proposito di guerre e di tragedie mondiali, non so se vi è mai capitato di visitare un cimitero in Trentino, in Alto Adige, Austria, Germania, ecc. Lì tutto è perfettamente in ordine e ben curato. Le tombe sono perfettamente allineate e ben tenute. Nel mondo Tirolese, addirittura davanti ad ogni tomba vi è una piccola ciotola in metallo o in marmo dove vi è dell’acqua benedetta con un piccolo rametto. In questo modo i famigliari o anche i passanti possono fermarsi per una preghiera e “benedire” i defunti. Al sud i cimiteri rispecchiano invece quello che accade nelle città: stesso disordine, confusione e nessuna cura. Spesso, è possibile vedere alcune tombe trasformate in veri e propri santuari del cattivo gusto con tendine, merletti, fiori di plastica, cancelli, cancelletti, porticine con vetri colorati, ed altre schifezze. Un giorno, un nipote di ‘Ngiulìnu scoprì, tra le varie tombe disseminate nei vari prati incolti, una piccola lapide del tutto ricoperta da erbacce e rovi con una scritta in tedesco. Si trattava di un militare austriaco della prima guerra mondiale che, chissà per quale stranissima combinazione, era stato sepolto proprio lì. Di chiedere spiegazioni alla direzione del cimitero neanche parlarne perché si sapeva già che nessuna documentazione era aggiornata, oltre al fatto che i pochi addetti erano sempre impegnati a leggere la “Gazzetta dello Sport”! Al ragazzo non rimase altro che tagliare l’erba che aveva nascosto alla vista la tomba di questo sventurato militare, fare un po’ di pulizia ed ogni tanto portare un lumino e dei fiori>>. Angelo MASUZZO, nipote più anziano di 'Ngiulìnu

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'Ngiulìnu u bersaglièr-5

Monte Mangone di fronte Piazza Vecchia, dove 'Ngiulìnu scavò le due grotte per rifugiarsi con la famiglia dal bombardamento

La storia vera di un giovane di cento anni fa - 5

(continua dalla 4^ Parte) <<Completate le procedure e firmati gli accordi per la spartizione dei territori tra le Nazioni vincitrici e quelle sconfitte, i soldati pian piano vennero mandati a casa. Purtroppo il capitano Rapisarda non poté scendere al sud assieme ai suoi, ed allora consegnò una lettera a ‘Ngiulìnu da portare ai suoi genitori. Infatti, era stato promosso colonnello ed avrebbe dovuto fermarsi per almeno altri quattro mesi nella sede di Verona. ‘Ngiulìnu partì in treno assieme ai suoi compagni attraversando di nuovo tutta l’Italia. Impiegarono quattro giorni per raggiungere Catania e poi ognuno proseguì per il proprio paese. ‘Ngiulìnu però doveva prima recapitare la busta alla famiglia del capitano. I genitori abitavano in pieno centro in un lussuoso palazzo. Quando bussò alla porta, venne ad aprire un cameriera che guardò con sospetto quel ragazzo magro, sporco e con una divisa che gli penzolava addosso. La consegna della busta, riempì di gioia i genitori che vollero a tutti i costi che ‘Ngiulìnu di fermasse a pranzo da loro. Non poté rifiutare, ma prima, arrossendo come un gambero, chiese se poteva fare un bagno perché dopo quattro giorni di treno a vapore non era proprio avvicinabile. Il giorno dopo finalmente vi fu il ritorno a casa dai propri genitori. Tra i tanti che partirono per il fronte, e i pochi che ritornarono vivi, il bersagliere ‘Ngiulìnu, classe 1893, del X Bersaglieri-Arditi, portò con se solo l’orologio da tasca, che risultò l’unica ricompensa, oltre alla medaglia di Cavaliere di Vittorio Veneto che gli fu consegnata dopo tanti anni. Invece aspettò invano il premio dell'assicurazione di 1.000 lire che gli sarebbe toccato come reduce di guerra! La guerra finì nel 1918 ed i reduci abili al lavoro si preparavano ad affrontare una nuova vita. Erano ragazzi che non avevano potuto trascorrere una serena gioventù a causa degli eventi bellici ed ora speravano in un mondo migliore. Nessuno avrebbe mai immaginato che il loro destino sarebbe stato deciso da due uomini, uno italiano e l’altro austriaco. Il primo, nato nel 1883 a Predappio e deceduto il 29 luglio 1945, l’altro, nato il 20 aprile 1889 in Austria, esattamente a Braunau am Inn, vicino a Linz e deceduto a Berlino il 30 aprile 1945. Entrambi, per nostra fortuna, morirono in circostanze drammatiche, ma prima ebbero il tempo di portare a morte milioni di uomini e donne sconvolgendo completamente il mondo intero. Tuttavia i morti e le sofferenze patite dal genere umano nel 1914-‘18, furono niente rispetto a quello che successe nei cinque continenti nei terribili anni 1940-‘45. Quando scoppiò la seconda guerra mondiale, ‘Ngiulìnu aveva ormai 47 anni e non venne richiamato alle armi. Dovette però assaporare da molto vicino gli orrori di questo nuovo conflitto perché, per una serie di sfortunate circostanze, si ritrovò proprio in mezzo alla battaglia. Quando, infatti, vi fu il famoso sbarco in Sicilia delle truppe alleate, esattamente a Gela, i tedeschi opposero una forte resistenza tanto da rivoluzionare completamente i piani degli invasori. ‘Ngiulìnu e la sua famiglia, trovandosi in una zona dove sicuramente vi sarebbero stati passaggi di truppe tedesche in ritirata decisero, assieme ad altri vicini di casa, di spostarsi in una località lontana dalla città e di sistemarsi in due casette in campagna. I primi giorni fu come essere in villeggiatura. La gente si ritrovava sotto grandi alberi di fichi per pranzo e cena; i ragazzini scorrazzavano in lungo e in largo e tra i grandicelli scoppiavano i primi amori. Una mattina, con loro grande stupore, videro che in cima ad una collina, gli artiglieri tedeschi stavano sistemando dei cannoni. Rimasero tutti a guardare, ma non ebbero nemmeno il tempo di decidere su cosa fare che all’improvviso, da una zona molto lontana, sentirono un grosso frastuono; erano delle potentissime cannonate sparate dagli alleati che avevano già individuato la postazione nemica cercando di colpirla. Immediatamente i tedeschi incominciarono a rispondere al fuoco, solo che i primi tiri non erano molto precisi e, soprattutto quelli degli alleati, erano ancora molto corti tanto che alcuni caddero molto vicini alle due casette di ‘Ngiulìnu ed amici costringendoli a ripararsi vicino ad un terrapieno. Tutti erano atterriti e ‘Ngiulìnu ricorda bene che riuscivano a vedere la traiettoria delle bombe che arrivavano e quelle che partivano in risposta dei tedeschi. Poi, all’improvviso vi fu il finimondo. Due grossi obici, come se fossero stati teleguidati, colpirono con precisione le due casette, distruggendo tutto e lasciando solo macerie. Il gruppo era terrorizzato ed allora ‘Ngiulìnu, visto che la battaglia continuava senza interruzione, suggerì ai capifamiglia di incominciare a scavare una grotta nel terrapieno lì vicino perché, se vi fosse stato un altro tiro ancora più preciso, di quelle 12 persone non si sarebbe trovato più nulla. Fu così che, tra una bomba e l’altra, tutti si misero a scavare mentre le donne cercavano di recuperare quanto più materiale possibile da portare via dalle macerie. In poche ore ‘Ngiulìnu e gli altri avevano scavato una grotta così ampia da poter ospitare tutta la compagnia. All’ingresso furono sistemate delle assi e qualche sacchetto di sabbia per attutire eventuali schegge vaganti >>. (continua) Angelo MASUZZO

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