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Gaetano Masuzzo

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Famiglia Barresi

Vaiato d'argento e di rosso, a tre pali d'oro attraversanti¹
Campo d'oro con dodici merletti rossi posti 4,4 e 4²
 
Il cognome di questa famiglia piazzese Barresi o Barrese, ha origine dai Duchi di Barri, ducea di Francia, assumendo diverse trasformazioni: de Garreis, de Garresio, de Garrexio, de Barres, Garresi, Garessio e Garisio. E' Abbo I Barresi, cavaliere avido di gloria che passa dalla Francia in Italia con i Principi Normanni offrendo i suoi servigi al Conte Ruggero e proveniente in Sicilia dal Monferrato con Enrico Aleramico intorno al 1090. In seguito al valore mostrato e alla benevolenza di re Ruggero, Abbo I de Garreis acquisisce le Terre di Naro, di Ucrìa e altri castelli. Si sposa con Ademara figlia del conte d'Aversa dalla quale ha tre figli, GiovanniI, Roggiero e Ramoaldo. Giovanni I sposa Alvira seconda figlia di Roggiero conte di Avenello, dalla quale ha il figlio Abbo II. Questi genera Matteo I e Nicolò. Matteo I genera Giovanni II ed Enrico, che intreviene nel Vespro Siciliano. Giovanni II genera Abbo III che genera Giovanni III Barresi barone di Pietraperzia, Naso, Militello e Comicino acquistato nel 1337. Nel 1375 il barone Barresi Giovanni IV è capitano di Plaza³; nel 1462 Tommaso, figlio di Abbo IV, è sposo della figlia del marchese di Crotone ed è duca di Castrovillari, conte di Martirano e di Terranova, mentre nello stesso periodo (1450) Giuliano è gran priore di S. Andrea di Plaza e poi vescovo di Patti, muore nel 1483. Nel 1530 Barresi Matteo junior I marchese di Pietraperzia e Convicino (o Comicino) ricostruisce e ripopola quest'ultimo casale dandogli il nome di Barrafranca. Nel 1564 Pietro Barresi Santapau è I principe di Pietraperzia e II marchese di Barrafranca. Anche tra i Cavalieri dell'Ordine di Malta troviamo appartenenti a questa famiglia: Nicolò Barresi ricevuto nel 1441; fra Gaspare nel 1494 e poi commentatore di Marsala; Pier Antonio cavallerizzo del Gran Maestro, fratello di Pietro I principe, muore nel 1565 da eroe mentre difende Malta dagli attacchi turchi. Questa famiglia, insieme ad altre quattro, cinque, residenti a Plaza, è stata molto influente e determinante nell'evolversi della vita civile, politica e militare, non solo in ambito locale ma anche regionale, soprattutto intorno ai secoli XV e XVI.
 
¹ Questa è la didascalia dello stemma nella foto in alto, suggeritami dal Sig. Giovanni nel suo commento dell'1/8/2019. Pertanto ho tolto l'8/11/2019 la mia prima didascalia "Tre pali d'oro in certe onde d'argento in campo rosso". Il 26/11/2019 sempre il Sig. Giovanni mi segnala che questo «potrebbe rappresentare l'arma dei Barrese brisata [ovvero con l'aggiunta di qualche figura] in possesso di un discendente della famiglia».
² Consultando i volumi, Il blasone in Sicilia di Palazzolo Gravina del 1875 e il Dizionario storico-blasonico di G. B. Crollalanza del 1886, che mi ha segnalato sempre il Sig. Giovanni nel commento dell'1/8/2019, alla voce "Barrese" nel primo, a p. 91, risulta «Armasi giusta Mugnos: campo d'oro con dodici merletti rossi posti 4, 4 e 4. Corona di principe - TAV. XVIII 6 (foto in basso); nel secondo, alla voce "Barrese o Barresi di Sicilia", risulta «Arma: D'oro, a dodici merlotti di rosso 4, 4 e 4. Alias: Vaiato d'oro e di rosso, di tre tratti» simile a quello nella foto in alto che ha invece dell'oro l'argento. Il 25/11/2019 il Sig. Giovanni mi ha gentilmente inviato lo stemma esatto che pubblico immediatamente.
³ Come veniva chiamata Piazza in quel periodo.
 
 
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850° Anniversario di Piazza/3

Veduta di Piazza in una stampa inglese dei primi dell'Ottocento

La II tesi, quella di 7 storici, più uno

Secondo gli altri 7 storici (di cui 5 piazzesi) il nostro centro abitato prese origine da quello di Platea, edificato dai Platesi (Greci provenienti dalla Beozia) presso la c/da Piazza Vecchia e chiamato successivamente dai Romani Plutia. A proposito di Platea, un altro storico piazzese (il 6°), il sacerdote Piazza, vissuto tra il 1884 e il 1959, ci dice che nel 282 a.C. a Platea vi si trasferirono i Gelesi chiamandola Gela Mediterranea o Interna che poi verrà chiamata dai Romani Plutia. Ecco da dove arriva quest'ultimo nome che, però, non si riscontra in nessun documento o diploma, pertanto non si può prendere in considerazione. (continua)
Gaetano Masuzzo/cronarmerina.it

All'Industriale

Regio Istituto Industriale "Calogero Cascino" anni '40
Ex I.T.I.S. "Calogero Cascino" gennaio 2013
Un ex alunno di questa importante scuola di Piazza, istituita nel lontano 1 marzo 1864 come Regia Scuola Tecnica Statale, poi Istituto Tecnico Industriale, ci ha mandato queste righe pieni di ricordi:
 
 
 
 All'Industriale
Quando iniziai a frequentare l’Istituto Tecnico Industriale, nel suo interno era già avvenuta da qualche anno una vera e propria rivoluzione: finalmente vi erano state ammesse anche le donne. Facile quindi immaginare che razza di putiferio aveva provocato l’arrivo di un gruppo di ragazze in una scuola frequentata da circa mille maschietti. Il povero preside ebbe il suo bel da fare per escogitare dei metodi che potessero salvare le bimbe dall’attenzione morbosa di mille “assatanati”. Per prima cosa venne istituita la “saletta delle vergini”. Chiamavamo così l’aula dove le ragazze dovevano rifugiarsi durante la ricreazione per non mescolarsi in cortile con i maschi. Davanti alla porta chiusa veniva piazzata una bidella, e così la protezione era assicurata. Un altro problema fu quello dell’abbigliamento; cioè cosa fare per evitare che lo sguardo di noi bestioline si posasse su qualche “curva pericolosa”? Dopo varie riunioni e consulenze di pedagogisti, sessuologi, ed altri esperti di fama mondiale, venne imposto alle ragazze un grembiule di almeno due taglie più grande rispetto a quella che usavano normalmente e poi venne tassativamente vietato l’uso della cintura. Infatti, con una cintura stretta, qualcuno di noi avrebbe potuto intravedere qualche fianco carnoso e ciò ci avrebbe fatto perdere la concentrazione! Se a questi obblighi aggiungiamo anche il divieto di usare scarpe con i tacchi e qualsiasi trucco, è facile comprendere che razza di esseri avessimo come compagne. B.C., che era anche una delle più piccole, conciata in quel modo faceva veramente pena. Quel grembiule nero, lungo fino alle caviglie e senza forma, la faceva assomigliare a quelle suore ormai avanti con l’età, che si trascinano stanche per i corridoi dei conventi con il rosario in mano. (Altro post dedicato agli Specialisti all'Industriale)
 
Gaetano Masuzzo/cronarmerina

Pronto, chi parla?

Via Garibaldi ex strata u' Princp
Proprio nell'edificio dove oggi c'è la gioielleria "Caruso-Lorito", negli anni '50 e '60, si trovava il Centralino telefonico. Infatti, in quegli anni, la connessione tra telefoni non avveniva direttamente facendo il numero, ma occorreva passare dal Centralino, dove i centralinisti chiedevano il numero col quale ci si voleva collegare. I collegamenti venivano fatti con un cavetto, alla fine del quale c'era lo spinotto che si inseriva nella linea corrispondente al numero richiesto, dopodiché si girava una manovella per far squillare il telefono chiamato. Tutto ciò poteva essere fatto da uno, all'inizio, o da più centralinisti, in seguito, solo perché gli abbonati non erano più di 200, superando i quali il servizio poteva diventare automatico. Chi non aveva il telefono a casa, doveva recarsi in via Garibaldi e aspettare pazientemente la chiamata, per poi entrare in una delle cabine a disposizione (forse 3). Prima del centralino c'era il salone del barbiere Giarrizzo, dove spesso andava mio nonno Tatano Marino Albanese avendo, proprio lì di fronte, il negozio di mobili. Come centralinisti ci lavorarono la zia di mio padre, Biagina Labrozzo, la signorina Di Rosa, conosciuta anche perché catechista a Santa Veneranda, e L'ddùzzu Di Giorgio, per il quale l'insegnante-poeta-pittore piazzese, Gioacchino Fonti (1926-1994), scrisse la poesia in gallo-italico "L'ddùzzu" (Lillino).
 
Gaetano Masuzzo/cronarmerina
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