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Cronarmerina - Dicembre 2014

Quadro di S. Bartolomeo Trigona in Cattedrale

Quadro di S. Bartolomeo Trigona, Cattedrale, Piazza Armerina

Particolare del quadro di S. Bartolomeo Trigona in Cattedrale

La città di Messina con la Torre del Faro in una stampa XVIII secolo, prima del terremoto 1783

L'altro giorno, l'articolo «Le opere d'arte tra l'umidità e usura» di Marta Furnari sul quotidiano LA SICILIA faceva notare come «Le pale d'altare e i dipinti della cattedrale di Piazza Armerina versano in cattivo stato di conservazione per l'usura del tempo e l'umidità che aggredisce alcuni ambienti del tempio sacro. Il bicentenario di fondazione della Diocesi piazzese [...] è l'occasione [...] per porre all'attenzione dell'intera comunità le condizioni di fatiscenza in cui si trovano le importanti opere d'arte». L'articolo era accompagnato da due foto di opere danneggiate e una di queste era il grande quadro sull'altare nella II cappella a dx rappresentante San Bartolomeo Trigona (nella foto in alto). Mi sono recato in Cattedrale e mentre scattavo alcune foto, dove si evidenzia oggettivamente lo stato penoso dell'opera, notavo come nella parte sottostante la figura del Santo, al di sotto dello stemma della famiglia Trigona (freccia n. 1), ci fosse una bellissima veduta di una città. Prima che scompaia del tutto, ho voluto dare un nome a questa città nel dipinto, ovviamente approfondendo la vita del Santo tanto caro alla famiglia Trigona del XVIII secolo, ma che lo storico Litterio Villari concluse, alla fine del suo studio Dell'origine del predicato di "TRIGONA" dato a San Bartolomeo di Simeri, monaco italo-greco, fondatore del SS. Salvatore dei Greci in Messina, Società Messinese di Storia Patria, Tip. D'Amico, 1956, «Che S. Bartolomeo di Simeri o di Trigona fu un greco-calabro e che non ebbe alcun legame di parentela con la normanna e nobile famiglia Trigona di Sicilia». Ritornando alla città rappresentata nel quadro in Cattedrale, è bene riportare parte della biografia di San Bartolomeo di Simeri eremita, fondatore e abate firmata da Antonio BORRELLI in www.santiebeati.it/dettaglio/92339. Qui riporto le parti che ci interessano specificamente: «Nacque verso la metà del secolo XI a Semeri (oggi Simeri) in provincia di Catanzaro e fu battezzato col nome di Basilio. I genitori Giorgio ed Elena lo consacrarono a Dio e gli diedero un'educazione improntata alla fede, alla pietà e alla scienza. Ancora giovane, Basilio volle lasciare la famiglia perché attratto dalla vita dei Padri eremiti nel deserto e avvertendo il desiderio di una maggiore perfezione nella vita, si recò quindi presso l'eremita Cirillo che viveva vicino al torrente Melitello. Da lui ricevè la tonsura e l'abito monastico, cambiando il nome di Basilio in Bartolomeo (in seguito sarà conosciuto anche col nome di 'Trigono' dall'omonimo monte, oggi Triangolo) [...] La potenza e la floridezza raggiunta dal monastero in Calabria, suscitò l'invidia di altre istituzioni monastiche e così verso il 1125 due monaci benedettini dell'abbazia di S. Angelo di Mileto, calunniarono il santo egumeno (abate) presso il conte Ruggero II (1095-1154) accusandolo di avere arricchito i propri parenti con i beni che lo stesso conte aveva donato al monastero. Bartolomeo fu chiamato a Messina per discolparsi, vi si recò con umiltà e invitato a difendersi non aprì bocca, per cui considerato colpevole fu condannato al rogo. Chiese ed ottenne prima dell'esecuzione di poter celebrare la Messa; davanti al re e alla corte egli iniziò la celebrazione, ma alla Consacrazione apparve una colonna di fuoco che dai suoi piedi si elevava fino al cielo, colpiti dal prodigio Ruggero II e i presenti si inginocchiarono e chiesero perdono all'abate dell'errore commesso. Il conte non lo lasciò ripartire, volle edificare a Messina un grande tempio con annesso un monastero, in onore del Ss. Salvatore, pregando Bartolomeo di organizzarne la vita e santificarlo con la sua presenza [...]¹. Questo grande monastero del Ss. Salvatore con la chiesa, fu terminato nel 1132 e divenne ben presto uno dei più celebri e fiorenti dell'Italia Meridionale, ad esso furono sottoposti una cinquantina di monasteri della Sicilia e della Calabria. L'abate e fondatore Bartolomeo di Simeri, morì santamente come era vissuto, il 19 agosto 1130 nel suo monastero del 'Patirion' di Rossano». Da tutto ciò si deduce che la città rappresentata ai piedi del Santo è Messina dove fondò il grande monastero e salta subito agli occhi, nel quadro in primo piano a dx, l'alta torre del faro per i naviganti (freccia n. 2) che ritroviamo nelle stampe del XVIII secolo (foto in basso) prima che il terremoto del 1783 distruggesse la città e gran parte del patrimonio artistico edilizio. Pertanto è chiaro che la realizzazione del quadro fu antecedente al terremoto e certamente grazie ai due alti ecclesiatici membri della famiglia Trigona, l'arcivescovo di Siracusa Matteo Trigona (1679-1753) e P. Vespasiano Trigona S.J. (1692-1761) che diffusero il culto del Santo in tutta la Sicilia orientale nel secolo XVIII. Un'altra cosa che riusciamo a individuare è l'immagine in alto a sinistra accanto a due angioletti che sembra senza alcun significato ma se si guarda attentamente rappresenta un cilindro verticale contornato da una luce gialla/arancione (freccia n. 3) ovvero «la colonna di fuoco che dai suoi piedi si elevava fino al cielo» che ricorda il miracolo sopra citato riproposta nello stemma al centro dell'arco sull'altare. Inoltre, la freccia n. 4 indica la mitra concessa anche agli abati non vescovi da papa Urbano II dal 1089. Chissà? Forse questa piccola spiegazione può servire a sollecitare il rapido quanto necessario restauro del quadro, visto che ormai la parte inferiore di esso è completamente al "buio" e con un grande squarcio a destra (freccia n. 5).

¹ «Questi dissapori con Roma indussero Ruggero a consolidare ancora di più la Cristianità greca in Sicilia. Già suo padre aveva incoraggiato con zelo il ripristino e la rifondazione di monasteri greci; il figlio seguì il suo esempio [...] egli si riconosce apertamente nella politica di suo padre riguardo ai monasteri. Rivestì un'importanza particolare la fondazione del monastero greco San Salvatore in lingua Fari a Messina, che ricade negli anni antecedenti al 1120. Il fondatore, Bartolomeo, abate di Santa Maria Hodegetria di Rossano, era stato accusato alla corte di Ruggero da due benedettini di Mileto di essere eretico, perché viveva secondo il rito greco. La risposta del conte fu la concessione per la fondazione del monastero a Messina! San Salvatore divenne più tardi il centro di una grande organizzazione che Ruggero, nella sua veste di re, diede a tutto il clero del suo Regno» (Erich Caspar, Ruggero II e la fondazione della monarchia normanna di Sicilia, Edizioni Laterza, Bari 1999, p. 49). «i nuovi conquistatori [i Normanni] spesso favorirono anche istituzioni ecclesiastiche greche (su tutte la fondazione di San Salvatore in lingua phari a Messina tra il 1131 e il 1134, che sarebbe servita come punto focale per rianimare il monachesimo greco dell'isola)» (Alessandro Vanoli, La Sicilia musulmana, Il Mulino, Bologna 2012, p. 203).

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Le vie di Piazza/N - O

Via Noto e via Silvia

Dal 20 ottobre 2016 ho iniziato ad elencare tutte le strade di Piazza Armerina, con scritto accanto da dove iniziano sin dove arrivano, per meglio localizzarle. Lo scopo principale è quello di far conoscere ai Piazzesi e non il nome sia delle strade conosciute, sia delle tante sconosciute ai più e con nomi particolari. Ogni post elencherà le vie in ordine alfabetico e, per quanto è possibile, accanto è stato messo a chi è stata intitolata. Si accettano segnalazioni di eventuali vie sfuggite nella compilazione.

N

Via NAPOLI, (famiglia) da via Mons. Sturzo a p.zza A. De Gasperi
C.le NASCA, (famiglia) nella via Giacomo Matteotti
S.ta NASCA, (famiglia) da via Cannizzo a via Stradonello
Via NEGRI ADA, (poetessa) da via Machiavelli a c.da S. Croce
Via NENNI PIETRO, (politico) da via Guido Grassi a via Col. Tuttobene
Vico NICOSIA, nel viale Della Libertà

Piazza NICOSIANO MICHELE, (sacerdote) da largo s. Martino/via Roccazzella a via S. Nicolò/via Campagna S. Martino
Via NOTO, da via Silvia a c.da Domartino
Via NORMANNI (DEI), 3^ traversa di via Papa Roncalli

O

Via OLIVERI, (Francesco, insegnante Retorica R. Liceo 1857) da via Carbone a via Pergola
Via OLMO, da via G. Matteotti a via S. Principato
Via ORFANOTROFIO, (Casa per Bambine Orfane del barone Marco Trigona) da via Monte a via Misericordia
Via ORLANDO ROBERTO, (maestro di musica) da via V. Alfieri a c.da Aldovino
Via ORLANDO VITTORIO EMANUELE, (politico) da via F. Guccio a via Mons. G. La Vaccara
Vico ORLANDO, (Andrea, caduto 1^ G.M.) da via Orfanotrofio a via Montalto
Via OTTO MARZO, (giornata internaz. della donna) da via A. Moro a via Col. Tuttobene

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Fontana c.da Portella/n. 57

Questa è la Fontana/abbeveratoio n. 57 e si trova in contrada Portella, a poche centinaia di metri dal bivio Villa Romana del Casale/Barrafranca sulla provinciale n. 15. Quello che incuriosisce non è tanto l'abbeveratoio, che sembra simile a tanti, quanto il nome della contrada "Portella" che indica un "piccolo varco in montagna che consente il passaggio". Sarebbe bello e intrigante approfondire il perché fu dato questo nome alla contrada. Ringrazio Filippo Rausa per la foto inviatami.

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Novità sugli organi in Cattedrale

Ritratto di Donato Del Piano, P. Scarano, Casa Comunale, Grumo Nevano (NA)

Ecco perché internet è un mezzo formidabile. Il 16 giugno scorso¹ ricevo un commento riguardante il post “I due organi della Cattedrale” pubblicato due giorni prima su questo sito, dove Antonio Barbera mi faceva notare che aveva letto su un recente studio su Donato Del Piano ² (1704-1785) che “entrambi gli organi erano stati realizzati da Del Piano successivamente uno ricostruito da Pacifico Inzoli” e, molto diligentemente, allegava il link per leggere l’interessantissima ed esauriente pubblicazione dell’anno scorso di Franco PEZZELLA, Donato Del Piano homo virtuosissimo di far organi e cimbali, Istituto di Studi Atellani, in F. MONTANARO Collana PAESI E UOMINI NEL TEMPO-35, 2016. Eccovi i passi più interessanti per dare a Del Piano quello che è di Del Piano: <<Tra il 1740 e il 1743 Donato Del Piano è attivo nella cattedrale di Piazza Armerina ove realizza due grandi organi, di cui uno solo ancora esistente (l’altro è stato rifatto da Pacifico Inzoli a fine Ottocento), posti l’uno di fronte all’altro, al fine di consentire esecuzioni policorali e restaura l’organetto del capitolo della stessa chiesa, non più in loco. Dalle fonti si ricava che Donato intervenne successivamente più volte nel restauro e talvolta anche nel rifacimento di questi organi. Ulteriori rifacimenti e restauri sono stati operati una prima volta nel 1871 da Giovanni Platania, come documenta un’iscrizione posta all’interno della cassa, e più recentemente, nel 2000, da Francesco Zanin. Nella veste attuale l’organo (fig. 10) superstite si presenta, inserito in un’elegante veste barocca color crema con intagli dorati, frutto della fantasia e dell’impegno dei Turrisi, maestri intagliatori catanesi artefici di diverse opere d’arte lignee nelle chiese della zona, alloggiato nella cantoria posta nell’ultimo intercolunnio a destra della navata centrale, immediatamente prima del transetto. Le quarantuno canne con bocche allineate e labbri superiori a mitria da cui è composto sono distribuite in cinque campate cuspidate tranne le due intermedie che si presentano ad ali divergenti. Elementi ornamentali di ogni sorta arricchiscono oltremodo l’impianto architettonico: dalle paraste modanate adorne di capitelli ai peducci acantiformi, dalle ghirlande alle conchiglie, dai lambrecchini posti alla sommità delle campate ai trofei laterali e al medaglione sorretto dai festoni che corona la mostra, per finire ai due grandi angeli musicanti che dominano l’intero prospetto. La presenza di due angeli raffigurati nell’atto di suonare una tromba è un’evenienza molto rara nell’organaria italiana: potrebbe avere radici forse nell’arte organaria iberica; esempi simili in Italia sono noti in Piemonte (Torino, Real Chiesa di San Lorenzo), Lombardia (Grosotto, So, Santuario) Calabria (Cetraro, Cs, Chiesa di San Benedetto) e Campania (Grottaminarda, Av, Chiesa di Santa Maria Maggiore). Lo strumento non si discosta molto, nella tecnica, dagli organi precedenti, se non per il numero dei registri, ammontanti a ben quattordici (tra cui la Voce flebile, la Voce languente, i Bassi e i Soprani), azionati da quindici tiranti lignei a pomello, posti in due colonne a destra del manuale (14,1), per la tastiera, che conta cinquanta tasti (estensione Do1 – Fa5) ricoperti in bosso nei diatonici ed ebano nei cromatici e il numero dei mantici, ben tre del tipo “a cuneo” con azionamento manuale a stanga. La pedaliera (estensione Do1 – Si1), non originale, fu rifatta nel 1871>>. Dallo studio sopra riportato si deduce che ambedue gli organi presenti nella nostra Cattedrale furono realizzati e restaurati anni dopo dal più grande organaro italiano del XVIII secolo e, come riporterò in altri post su questo sito, la sua opera a Piazza non si concluse qui, perché il suo ingegno lo troviamo applicato per altri tre organi e per un’attività filantropica importante che sconoscevo. Mentre l’organaro Pacifico Inzoli, coadiuvato dai figli Lorenzo e Giuseppe, rifece quello di sinistra nel 1886, come è giustamente riportato nella scheda regionale che descrive l’organo che possiamo ammirare oggi.

¹ Notizia del 15 settembre 2017 riportata da StartNews.it dove allegato c'è il decreto della Regione Siciliana del giorno prima: <<Finanziato il restauro dell'antico organo della Cattedrale>>. Dall'articolo sullo stesso tema apparso sul settimanale Diocesano Settegiorni dagli Erei al Golfo a firma di Carmelo Cosenza, si apprende che: <<L'unico intervento di rilievo (n.d.r. sull'organo), comportante lo smontaggio di tutto il materiale fonico, avvenne nel 1962 ad opera degli eredi della ditta Inzoli, i fratelli Bonizzi>>.

² Nel febbraio 2018 non esiste più il link che consentiva la consultazione dell'opera del Pezzella, pertanto si è dovuto mettere un altro link che ne riassume i contenuti.  

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L'introduzione

G. Masuzzo, S. Capizzi, F. Miroddi e R. Marotta, 23 giugno 2017

L'introduzione del prof. Masuzzo alla presentazione del libro di Salvatore Capizzi, Il Gesuita Carmelo Capizzi mio fratello... ricordi sul filo della memoria, dopo i saluti del Sindaco di Piazza Armerina Dott. Filippo Miroddi e dell'Assessore alla Pubblica Istruzione Rita Marotta.

«Buona sera e benvenuti a tutti i presenti, al Signor Sindaco di Piazza Armerina Filippo Miroddi, all’Assessore alla Pubblica Istruzione Rita Marotta, al Direttore del Gruppo Archeologico “Litterio Villari” Roberto Scollo, al Presidente della Fondazione “Prospero Intorcetta” Giuseppe Portogallo. Stasera vi confesso che è un onore, iniziare a parlare del nostro concittadino padre Carmelo Capizzi in questa sala e di come si è arrivati alla presentazione di questo volumetto sui ricordi inediti del fratello minore, Salvatore. Lo chiamo volumetto non per sminuirne il valore, ma soltanto perché consta di quasi 80 pagine. Ma, vi assicuro, che sono pagine importanti, perché racchiudono gran parte della vita conosciuta e non di un illustre concittadino, che ci danno l’occasione di conoscerlo e apprezzarlo meglio a distanza di 15 anni dalla sua morte, ma, come si dice, non è mai troppo tardi. Devo ammettere la mia ignoranza, come tanti qui presenti, sulla vita e le opere di una persona di cui avevo letto soltanto il nome al termine della premessa alla prima edizione del grande lavoro dello storico Litterio Villari, Storia della Città di Piazza Armerina, e alla fine dell’introduzione dell’altro, sempre dello stesso storico, Storia Ecclesiastica della Città di Piazza Armerina. Mi preme ricordare che i due dotti piazzesi erano molto amici e anche compari, infatti Carmelo aveva battezzato o cresimato uno dei due figli del generale Litterio. Si frequentavano spesso e volentieri a Roma, dove abitavano, e avevano in comune una grande passione per la nostra Città, tanto da collaborare in maniera importante per la scrittura delle due opere citate e di tanti altri argomenti storici. La mia ignoranza dura sino a quando, nei primi mesi dell’anno passato, venni in possesso del materiale inviatomi dal qui presente Maresciallo Maggiore degli Alpini in pensione, Salvatore Capizzi che, all’età di 78 anni, è venuto qui, dopo alcuni anni dall’ultima volta, dalla lontana cittadina di Limana in provincia di  Belluno, dove risiede. Il materiale mi fu inviato perché il Maresciallo avendo letto di suo fratello nella storia della famiglia Capizzi, tra le oltre 50 famiglie nobili piazzesi pubblicate, desiderava farmi presente che, se avessi voluto, avrei potuto integrare e ampliare la biografia con altre notizie in suo possesso. Infatti, le carte che celermente mi spedì, contenevano il Profilo biobibliografico (ovvero della vita e dei libri scritti e pubblicati) che lo stesso Padre Carmelo Capizzi, membro della Compagnia di Gesù, aveva scritto personalmente pochi mesi prima della sua dipartita, sul semestrale dell’Accademia Angelica-Costantiniana di Lettere Arti e Scienze, che a lui, Rettore dal 1990, dedicava in quel numero una miscellanea di Studi. Sin dalle prime righe mi accorsi che si trattava di un piazzese particolare, che tutti i contemporanei avrebbero dovuto assolutamente conoscere tramite il mio sito internet, per due cose essenziali: la prima, che amava e conosceva Piazza Armerina come pochi; la seconda, ve la dico con le parole del Direttore della rivista dei Padri Gesuiti “La Civiltà Cattolica”, Padre Gian Paolo Salvini,  in occasione della commemorazione nel dicembre del 2003: "Noi che siamo vissuti con lui per molto tempo ne abbiamo apprezzato il profondo spirito religioso e sacerdotale e la bontà e squisitezza d’animo, anche se, da buon siciliano, aveva un carattere vivace e talvolta irruente. Quello che maggiormente impressionava in lui era la vasta cultura, non solo nel campo specifico del suo insegnamento universitario, cioè la storia e la cultura bizantina, ma anche nell’ambito più generale della storia della Chiesa, della sua Sicilia e delle vicende storiche di Piazza Armerina". Padre Carmelo Capizzi nasce a Piazza Armerina il 14 luglio 1929 ma è dichiarato all’anagrafe due giorni dopo, cosa normale per quel periodo. Primo di nove fratelli, frequenta le scuole elementari e la prima media a Piazza nelle scuole pubbliche, la seconda e terza media nel seminario piazzese, dove entra col proposito di farsi prete, non senza qualche perplessità del parroco della sua parrocchia, che poi, dopo anni, si scuserà alla sua prima messa nella stessa parrocchia. Spinto da un ideale di vita missionaria e avventurosa, a quindici anni abbandona il seminario per entrare nell’ordine dei Gesuiti nel 1944. Studia in Italia, laureandosi a Messina in lettere e a Palermo in filosofia, in Francia e in Germania per specializzarsi in Storia Bizantina, frequentando, in particolare, le università di Heidelberg e Colonia. Nel 1959 diventa sacerdote e fa la solenne professione dei voti. Nel 1964 insegna presso il Pontificio Istituto Orientale di Roma, nel 1969 presso l’università di Colonia, nel ‘71 istituisce e regge la cattedra di storia bizantina all’università di Roma “La Sapienza”. Nel ‘77 si trasferisce presso la sede del periodico dei padri Gesuiti “La Civiltà cattolica” e nell’80 insegna al Pontificio Istituto Orientale. Nell’87, mentre è insegnante presso l’Università “La Sapienza”, subisce il primo infarto che non gli impedisce però di continuare nell’attività accademica sino al secondo infarto nel ‘91 e all’operazione al cuore con l’impianto di 4 bypass l’anno dopo. Dal ‘90 è direttore del comitato scientifico dell’Istituto Cassiodoro di Squillace in Calabria e rettore dell’Accademia Angelica Costantiniana di Roma. Nel ‘96 è preside della Società di Storia Patria per la Sicilia Centro-meridionale; dal ‘98 membro del comitato storico dell’Ordine del Santo Sepolcro, membro della Società di Storia Patria della Calabria, di Roma e di quella dalmata e dell’Istituto Siciliano di Studi Bizantini di Palermo. Inoltre, è spesso invitato a partecipare a convegni, congressi e conferenze in Italia e all’estero, come quella volta a un congresso a Vienna, proprio nel famoso palazzo del Congresso di Vienna del 1815. Alla fine del 2002, sebbene fosse da tempo ammalato, nulla faceva supporre un improvviso e fulminante infarto che lo porta alla morte nella serata del 5 dicembre. Dal 1956 pubblica quasi 200 tra libri e recensioni in diverse prestigiose riviste storiche, anche tedesche. L’elenco completo si trova nelle ultime pagine del volume. Ma a me, piazzese come lui, preme ricordare, oltre alle premesse ai lavori del Villari sopracitate, gli studi sulla Diocesi di Piazza Armerina, la trattazione della decorazione di una chiesa in Cina in una lettera inedita di padre Prospero Intorcetta, la biografia del gesuita piazzese padre Filippo Arena in una ricerca del prof. Ignazio Nigrelli, le relazioni tra il casato dei Trigona e la Compagnia di Gesù. Qualche mese più tardi, siamo nel maggio dello scorso anno, Salvatore Capizzi, visto il mio interesse e la passione per gli aneddoti che possono approfondire le vite dei Piazzesi insigni, inizia a inviarmi alcune mail con ricordi personali e fatti riguardanti suo fratello Carmelo, che soltanto lui sapeva. A mano a mano che arrivavano io do una sistematina per poi pubblicarli sul mio sito. I racconti arrivano a una ventina che, dopo qualche mese, Salvatore pensa bene di raccoglierli in questo libro, finito di stampare nel marzo scorso a Belluno. Tra i tanti aneddoti a me ha colpito quello che per Salvatore è il più bello da ricordare, ovvero la lettera battuta a macchina che Carmelo gli dona nell’ottobre del 1965 quando si sposa con la moglie Agnese, Agnese Mondin venuta a mancare nel 1997. Dalla lettera, che potete leggere integralmente sul mio sito, traspare tutte le qualità della personalità di P. Carmelo: religiosità, cultura e praticità. Ecco come si conclude: "Nelle parole che vi ho rivolto finora, non ho esposto soltanto qualche elemento della dottrina della Chiesa, ma ho abbozzato pure un ideale: quello della vita coniugale cristiana, la cui attuazione è la via più sicura di quella felicità matrimoniale, di cui tanto si parla e si scrive, spesso poco seriamente e in modo irresponsabile. Io vi auguro tale felicità e, affinché voi possiate raggiungerla, fate di tutto per mantenervi in contatto con Dio, non solo attraverso la preghiera e la frequenza dei Sacramenti, ma anche mediante la lettura continua della Parola di Dio scritta, cioè della Bibbia. Dalla lettura attenta e intelligente di questo LIBRO e non da certa stampa paganeggiante o anticristiana ricaverete i principi e la forza per risolvere i problemi che, presto o tardi, si affacceranno all'orizzonte della vostra vita coniugale. In questi giorni voi avete ricevuto molti regali. Ma quello che sto per farvi io in questo momento, malgrado la sua modesta apparenza, è il più prezioso di tutti quelli che avete ricevuto o che ancora possiate ricevere. Infatti gli altri regali possono esservi utili per qualche aspetto particolare della vostra vita; la Bibbia invece, questo LIBRO nel quale soltanto ci è stata tramandata la Parola di Dio scritta, è utile, anche indispensabile, a tutti gli aspetti e a tutti i momenti della vostra vita sia nell'intimità famigliare che nel contesto della società. Perché di tante cose noi possiamo fare a meno; ma della Parola di Dio, della Luce e Forza emananti da essa, della Vita che sgorga dalle Pagine Sacre e ci innalza fino a Dio, noi abbiamo bisogno sempre". Mi scuso se mi sono dilungato, ma l’argomento me l’ha imposto. Prof. Gaetano Masuzzo». 
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Presentazione libro su P. Carmelo Capizzi S.J.

Il prossimo Venerdi 23 giugno 2017 alle ore 18:00 ci sarà la presentazione del libro di Salvatore Capizzi sui suoi ricordi inediti riguardanti il fratello, padre Carmelo Capizzi S.J. (1929-2002). Sarà l'occasione per conoscere meglio questo illustre piazzese da parte di tutti i concittadini contemporanei. Prima di tutto perché amava Piazza Armerina come pochi e poi per la sua vasta cultura non solo nel campo specifico del suo insegnamento universitario, cioè la storia bizantina, ma anche nel campo della storia della Chiesa, della sua Sicilia e delle vicende storiche di Piazza Armerina. Nelle ultime pagine del volume l'elenco completo delle quasi duecento pubblicazioni, sino a pochi giorni dalla sua scomparsa avvenuta a Roma il 5 dicembre del 2002. 

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Edicola n. 54

Dopo aver pubblicato la serie di edicole votive presenti lungo la strada che porta all'eremo di Piazza Vecchia, ritorniamo nel centro storico della Città e precisamente nella discesa dell'Itria. Infatti, a pochi passi dalla chiesa di Santa Maria dell'Itria, nella discesa che conduce¹ ai Canali, si trova l'Edicola Votiva n. 54. Sotto una tettoia di fiori di bouganville, precisamente nella Discesa Golino, si trova un piccolo altarino su cui è poggiata una statuetta dell'Immacolata Concezione, particolarmente venerata in questa zona. Questa venerazione l'abbiamo già riscontrata parlando di due edicole vicine la n. 41 e la n. 43. Come si vede nella foto in basso l'altarino, adornato di vasi di fiori di vari generi, si trova accanto alla porta d'ingresso della famiglia che la cura e la tiene pulitissima, a dimostrazione che quando si vuole si può vivere nel decoro dignitoso e soddisfacente perché è tutta questione di buona educazione che ci fa rispettare gli altri e noi stessi.   

¹ O meglio, conduceva sino al dicembre 2007, quando un'ala della chiesa crollò per le abbondandi piogge e tutto venne transennato, bloccando di fatto l'unica via di collegamento tra la parte bassa dei Canali e quella centrale della piazza Garibaldi. Vi lascio immaginare gli enormi disagi che stanno vivendo gli abitanti della zona, dopo 10 anni tutto è fermo. 

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Fontana piazza Stazione/n. 56

La Fontana n. 56 del censimento era la fontana che occupava il centro di piazza Senatore Luigi Marescalchi¹, intesa anche piazza Stazione Ferroviaria. Costruita a metà degli anni 80 con lastre di marmo su una struttura in cemento, avrebbe dovuto offrire un bello spettacolo con piccole cascate e spruzzi d'acqua, invece non ha funzionato se non per brevi periodi dando fastidi di tutti i generi: dagli spruzzi che il vento spostava bagnando i passanti, al cattivo odore che l'acqua stagnante provocava, ai rifiuti che molto educatamente tanti probi cittadini vi buttavano, incentivando l'olezzo all'ingresso di una città a vocazione turistica, ai tanti giovanottini e studenti che l'usavano per le loro evoluzioni giocose, deturpandola possibilmente ancora di più. Dopo tante raccolte di firme di cittadini della zona per la demolizione di quella che era diventata la "2^ fontana della vergogna", dopo quella della menzionata in piazza Gen.le Cascino n. 54, finalmente nel gennaio del 2008 le ruspe l'hanno spazzata via per dar posto, dopo qualche anno, con la calma che sempre ci contraddistingue, a una semplice piazza mattonata a scacchi, con aiuole e parco giochi per bambini, decisamente molto più vivibile ed esteticamente più accettabile.

¹ Senatore e deputato piazzese (1857-1936).

Sullo stesso tema leggere Fontana n. 54bis e Fontana n. 55.
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Muro dell'antico castello di Placia

Nel cerchietto giallo i resti del muro Sud dell'antico castello di Placia coperto da una struttura in ferro e vetro

Parte dell'alto muro Sud dell'antico castello di Placia

Ieri ho potuto visitare parte del nuovo Vescovado che da poco tempo si è trasferito dalla via La Bella nell'ex sede dell'Ospedale Cittadino "Chiello", al Monte. Leggendo su un pannello esplicativo i lavori di restauro effettuati, ho appreso che erano state rinvenute parte delle mura rivolte a meridione del castello che sorgeva proprio in quel sito, dieci secoli or sono¹, a guardia della sottostante Valle Rocca dall'alto dell'odierna Costa S. Francesco. Allora, non ho perso l'occasione per scattare la foto in basso, dato che è stato lasciato ben in vista sotto una copertura/lucernaio in ferro e vetro, proprio nella zona dove c'era prima l'ascensore e la scala che portavano al reparto chirurgia e alla sala operatoria, che in tanti ben ricordiamo. Infatti, nell'opera Il libro del re Ruggero scritta in arabo intorno al 1150, il geografo Edrisi ci fa sapere che in questa parte della Sicilia esiste "un ben munito fortilizio" che si chiama 'Iblâtasah² che sarebbe il nome arabo di quello in latino Placia, che troviamo in un diploma del 1122 del conte Enrico Aleramico, dove è riportato un testimone tal Gausonis de Placia "castellano". Quindi, in quegli anni doveva esserci sia un un borgo che ospitava un centinaio di cavalieri Lombardi e un migliaio di abitanti chiamato 'Iblâtasah dalla popolazione araba, Placia dai Lombardi e Platza dalla popolazione greca, che aveva il compito, dall'odierna zona della Villa Romana del casale, di controllare le popolazioni dei casali vicini da poco sottomessi; sia un castello a ca. 2 Km. verso Nord-Est dal suddetto borgo che aveva preso lo stesso nome, ovvero Castello di 'Iblâtasah o, in latino, di Placia. Fu questo castello che nel 1161 fu distrutto dal re Guglielmo I, nipote del Gran Conte Ruggero d'Altavilla, per rappresaglia assieme al borgo omonimo abitato da gente Lombarda, colpevole di aver eseguito gli ordini razziali di Ruggero Sclavo facendo strage degli abitanti arabi. Dopo due anni, nel 1163, lo stesso Re diede ordine di ricostruire il borgo distrutto non nello stesso posto, bensì nei pressi del castello che aveva subito la stessa sorte, probabilmente in parte. Infatti, le prime abitazioni del nuovo centro nacquero a Ovest dell'antico castello (quartiere Monte) e alle sue pendici (quartiere Castellina) e da alcuni documenti antichi si sa che veniva chiamato Castrum Reginae (Castello della Regina)³ con una Regia Cappellania dedicata a Santa Lucia. A quest'ultima, dai Carmelitani arrivati nel 1238, viene cambiato il nome in S. Calogero, fondando nel contempo il terzo convento in Sicilia, per rimanerci quasi un secolo, perché nel 1327 si trasferiranno nel Convento Carmelitano sul Colle dell'Altacura, nei locali di una Commenda lasciata libera dai Cavalieri Crociati Teutonici (da non confodere con quella degli Ospedalieri di S. Giovanni Battista poi dei Cavalieri di Malta). Ottanta anni dopo, nel 1392, il re aragonese Martino I il Giovane costruisce il Castello Aragonese sul Colle degli Aranci (l'odierno piano Castello)4 abbattendo il preesistente Convento Francescano. Quest'ultimo è ricostruito al posto del Castrum Reginae e per i loro servizi divini i PP. Francescani si servono dell'ex chiesetta di S. Lucia chiamata dai Carmelitani di S. Calogero, ma che loro cambiano ancora in chiesetta di Santa Maria degli Angeli. È qui che l'ospedale, fondato nei pressi della propria abitazione di via Monte dalla nobile Giacoma Villardita nel 1420, spostato dalla figlia Graziana nei pressi della chiesa di S. Giuseppe nel 1444, viene trasferito un secolo e mezzo dopo, nel 1603. Qui l'ospedale prende il III nome della sua storia, Ospedale di S. Calogero e di Santa Maria degli Angeli. Per sapere altro cliccare ospedale

¹ Un esperto, che lo ha visitato nel settembre del 2018, ha confermato il periodo di costruzione: ultimi decenni del XII e primi del XIII secolo (tra il 1180 e il 1220).

² È la versione dello storico L. Villari, mentre per il Nigrelli è 'Iblâtsah senza la "a" tra la "t" e la "s".

³ Sconosco il motivo di questa denominazione.

4 Inteso nella seconda parte dell'Ottocento anche "Piano dei Baroni", per essere stato scelto dal patriziato cittadino come luogo privilegiato di residenza, come dimostrano i grandi palazzi di quel periodo.

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Fontanella Scuole Mirabella/n.19

La Fontanella n. 19 è quella che si trova sul muro esterno delle Scuole Elementari di Mirabella Imbaccari, a pochi metri dal cancello a dx che si apre sul grande cortile interno. In pietra arenaria è simile alla n. 18, con una piccola vasca sopra la quale si trova un mascherone dove è stato inserito un rubinetto. L'edificio delle Scuole Elementari venne costruito intorno agli anni Trenta sul terreno in contrada Orto Canale donato dall'ultimo della nobile famiglia Paternò Castello, Ignazio. Questi, inoltre, frazionò il proprio feudo in piccoli appezzamenti prima di ritirarsi a vita religiosa tra i Chierici Regolari di S. Paolo detti PP. Barnabiti di Roma, che hanno tra le loro attività principali l'educazione dei giovani. In queste scuole hanno insegnato per qualche anno mio cognato Salvatore PLATANIA, per tanti anni sia mia cognata, la maestra Carmela PLATANIA che tanti Mirabellesi ricorderanno, sia mia moglie Maria PLATANIA che tra qualche mese andrà in pensione.

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