1598 Suor Arcangela Tirdera In evidenza
Affresco Madonna col Bambino in trono, sec. XV
Anonimo, Serva di Dio Suor Arcangela Tirdera, affresco, sec. XVII
Particolare dell'affresco Serva di Dio Suor Arcangela Tirdera, sec. XVII, Pinacoteca Comunale, Piazza Armerina
Suor Arcangela Tirdera Serva di Dio
Il 20 dicembre 2011, con l'apertura della Pinacoteca Comunale nell’ex Chiesa del Monastero delle Benedettine della SS. Trinità, in via Monte 4, tra i tanti affreschi, i tanti dipinti e le 4 sculture, ho avuto la possibilità di ammirare non solo opere d’arte di autori piazzesi conosciute, ma anche alcune di quelle di cui avevo solo sentito parlare o letto. Soprattutto mi hanno colpito gli affreschi staccati dalla chiesa e dal convento dei francescani di Santa Maria di Gesù, i cui resti si trovano a 2 km ca. a ovest di Piazza. Uno dei grandi affreschi e la sua sinòpia provengono dalla chiesa e sono quelli della Madonna col Bambino in trono (foto in alto), attribuiti al cosiddetto Maestro del Polittico di San Martino ed eseguiti qualche decennio dopo la fondazione del Convento avvenuta nel 1418. Nel vestibolo della Pinacoteca (prima sala appena si entra) si può ammirare persino la cornice che li conteneva quando si trovavano su uno degli altari. Sempre dal complesso di Santa Maria di Gesù, ma questa volta solo dal convento, provengono gli altri due affreschi, che raffigurano ritratti di suore e frati francescani, posti nel corridoio di comunicazione tra la sala espositiva gialla e quella azzurra.
Il primo che s’incontra è l’affresco che si riferisce genericamente a Suore e frati di ignoto pittore siciliano secc. XVII e XVIII. Probabilmente si tratta di alcuni dei lavori di abbellimento e decorazione effettuati da Giovanni Gregorio Trigona all'inizio del Seicento nella Chiesa e, nel 1627, nel Convento. Qualche anno dopo furono aggregati altri fabbricati grazie alle elargizioni del sacerdote frate francescano Andrea Trigona della Floresta¹ che, morto nel 1629 (per alcuni nel 1627), fu posto nel sarcofago in marmo a sx dell’ingresso alla chiesa. La scarna descrizione sulla targhetta posta accanto a questo affresco, non ci fa capire totalmente il giusto valore che, invece, rappresenta sia dal punto di vista ecclesiastico che da quello evocativo di momenti della storia della città di Piazza.
Infatti, il primo disegno a sinistra (nella foto in mezzo) raffigura una suora che regge tra le braccia un Bambino Gesù e in basso si legge appena: «RAPHICA SOROR ARCHANGELA TARDER... PLATIAE QUAE PUERUM IESUM... RECIPERE... BOMINIS... TATIO... ADD... TA EIU... LANGUENTE... SEXA... APTA... AN... OS. (numeri indecifrabili)... SEPULTUM EST IN ECCLESIA SANCTI... T...». Si tratta senza alcun dubbio della piazzese Terziaria Francescana Suor Arcangela Tirdera² o Tardera³, ritenuta una dei sei beati piazzesi riconosciuti e dichiarati tali dagli Ordini religiosi di appartenenza ma senza un regolare processo canonico4, pertanto ritenuta venerabile al primo stadio della canonizzazione definitiva, ovvero “Serva di Dio”, morta l’8 febbraio 15985 e, stando a quello che dice il Mazzara nel suo Leggendario Francescano e a quello che si scorge a malapena nell’affresco «all’età di sessant’anni», perciò nata nel 1538 e non nel 1548 come dice il Villari6. Dopo un fratello, Arcangela era la maggiore di tre figlie di Pietro Tardera e Vincenza Altini (o Martini, secondo altri), e faceva parte di una delle famiglie più benestanti di Piazza. Famiglia molto ricca e allo stesso tempo molto religiosa tanto che, sia la madre, alla morte del marito, che tutte le sue tre figlie, presero l’abito di Terziarie dell’Ordine Regolare Francescano.
Arcangela appena prese l’abito di Terziaria all’età di 17 anni7 iniziò a mostrare segni di santità intraprendendo una rigorosa vita di penitenza con continui digiuni e cilici. A 24 anni iniziò a soffrire forti dolori al fianco, alle articolazioni e continui svenimenti. Conseguentemente per 14 anni poté camminare solo poco per casa, mentre per i successivi ventidue anni fu costretta a stare sempre a letto tra le incessanti sofferenze.
Per più di 5 anni ricevette ininterrottamente le cure del fratello medico, ma senza alcun giovamento, tanto da pregarlo di desistere perché era la volontà di Dio. Durante i 36 anni di dolori atroci, non diede segno alcuno di impazienza e di turbamento, né verso i famigliari, né verso la servitù, né verso le sparute persone che andavano a farle visita per motivi diversi, non ultimi quelli per chiedere delle grazie.
Negli ultimi 4 anni della sua vita, alle sofferenze già accennate, si aggiunse quella della completa cecità. Il suo stare a letto consisteva, sia di giorno che di notte, nel rimanere seduta tra due guanciali di tela grossa che le servivano anche per dormire, quando vi si appoggiava portandoseli al petto. Per coprirsi non usava lenzuola ma solo una coperta, vestiva di ruvida lana sul letto basso e piccolo, con un materasso quasi inesistente. Intorno al letto teneva il “padiglione”, ovvero una tenda scorrevole, che quando la tirava le serviva da cella e oratorio. Mangiava pochissimo solo una volta, la sera, un po’ di pane, grosso e nero, con erbe cotte. Oltre a usare il cilicio, si batteva sovente il petto con un sasso che teneva sul letto, stringendo e baciando a una a una le piaghe del suo piccolo crocifisso di rame che teneva sempre con sé. Durante una notte di Natale, mentre Arcangela era in contemplazione struggente per «il nascimento dell’Incarnato Verbo, il suo amore verso l’Uomo, il nascere d’una Vergine in tanta povertà, ed in luogo si vile, struggendole per questo il cuore, il Signore per confortarla le apparve in forma di Bambino allora nato, lasciando da quella abbracciarsi, conforme esseguì con grandissima umiltà, e divozione baciandoli i santissimi Piedi con un profluvio di lagrime, restando colma di quella gioja, che ogn’anima divota può considerare meglio, che con parole spiegare. Le restò tanto al vivo impressa nell’immaginativa quella apparizione, che ogni notte del Santo Natale per rimembranza s’alienava da sensi, rapita in estasi, ed ogn’anno in detta solennità faceva acconciar’un Bambino di rilievo in quella forma, che nacque il Redentore nel Presepio, acciò non sol’ella, ma tutti di sua Casa contemplassero il mistero». Ecco svelato il motivo della rappresentazione nell’affresco di cui sopra: Suor Arcangela Tirdera con in braccio una statua del Bambino Gesù appena nato (foto in basso). Tra i tanti doni ricevuti dal Signore ci fu anche quello di «conoscere le cose future, lontane e segrete» e, inoltre, dono ancora più raro e prezioso, fu quello delle stigmate. Queste Piaghe del Signore furono viste, mentre era in vita la Serva di Dio, solo da un’amica, Vincenza Venia, dalla madre e dalle sue due sorelle, Laura e Restituta. «Finalmente dopo morte le trovarono nelle piante, nelle mani, e sopra i piedi certi segni rotondi come la testa d’un chiodo, ma la pelle di quella rotondezza come d’una piaga sanata di fresco, e nuovamente nata, e differente dall’altra pelle, ed in mezzo vi era un segno nero, che toccato pareva come incallito; nel costato destro vi era una piaga più grande, e lunga, ma alquanto circolare, come d’una ferita». Alla sua morte «concorse innumerabile Popolo a vederla, e riverirla, onde fu necessario metter’alla porta dalla Casa le guardie, che facessero entrar tutti per ordine, le baciarono le mani, i piedi, tagliarono le vesti, presero altre cose da lei usate serbandole come Reliquie [...]. Il Vicario della Città non volle si sepelisse in quel dì, ma si trattenesse due altri giorni, dopo i quali fù atterata onorevolmente nella Chiesa del Convento nostro di San Pietro di Piazza [...]. Prima che questa umilissima Vergine morisse aveva imposto alle Sorelle, che facessero sepellir’il suo corpo nell’entrata della Chiesa, acciò tutti lo calpestassero, ma le Sorelle, e Parenti la fecero sepellire nella loro Cappella, qual’avevano nella Chiesa del nostro Convento8. Perloche una notte apparve ad una delle dette Sorelle, e la riprese di non aver’eseguita la sua volontà nel seppellirla. Riferì questa l’apparizione al Guardiano consultandosi seco, egli nondimeno, e tutti i suoi Frati furono di parere non mutarla di luogo per allora. Bensì nell’anno 1663 la levarono di là, e la posero in un muro di quella Cappella»9.
Ma da un’attenta ricognizione nella cappella Tirdera, purtroppo, non si riesce ad individuare il posto esatto della sepoltura e anche se dovesse rimanere sconosciuta nei secoli a venire, a noi concittadini di Arcangela, fedeli praticanti o semplici visitatori di questa chiesa, adesso che ne abbiamo conosciuto la vita, la bontà, la santità «concedendo moltissime grazie per sua intercessione alle divote persone tanto in vita, quanto dopo la morte» e la venerazione che le avevano tributato i piazzesi di allora, non ci resta che, ormai consapevolmente, rispettare e ammirare di più questo tempio che dal 1614, quindi appena 16 anni dopo la sepoltura della nostra Serva di Dio, è il Pantheon degli illustri piazzesi10.
Solo in questo modo possiamo renderci finalmente conto dei tesori che abbiamo intorno, che i nostri antenati ci hanno lasciato in eredità e che la loro memoria ci obbliga a goderne, tutelandoli a ogni costo per poi continuarli a trasmettere alle successive generazioni. Gaetano Masuzzo, dicembre 2012
1 Cf. Carolina Miceli (a cura di), Francescanesimo e cultura nelle provincie di Caltanissetta ed Enna, Atti del Convegno di studi, Caltanissetta-Enna 27-29 ottobre 2005, Biblioteca Francescana Officina di Studi Medievali, Palermo 2008, p. 173. Il ramo della famiglia Trigona a cui apparteneva Trigona Andrea era quello dei baroni di San Cono Superiore che solo nel 1773 divenne anche della Floresta.
2 Lo storico piazzese G. P. Chirandà è «il più attendibile quanto al cognome Tirdera e alla data di morte di Arcangela (8 febbraio 1598), che altri» (Litterio Villari, Storia ecclesiastica della città di Piazza Armerina, Soc. Messinese Storia Patria, Messina 1988, p. 258 e nota 148). Inoltre, nel 1620 i Giurati di Piazza cedono all’abate benedettino del monastero di Fundrò, Angelo da Fondi, la chiesa di S. Rocco e l’attigua vasta abitazione un tempo di proprietà della famiglia di Virginia Tirdera o Tardera o Tridera e nel 1624 un tale Giovanni Battista Tirdera appare, insieme ad altri due piazzesi, come testimone nel testamento di don Asdrubale Trigona (cf. L. Villari, Storia ecclesiastica, cit., pp. 297, 299, 422).
3 Cf. Benedetto Mazzara, OFMRif., Leggendario francescano, tomi 12, tomo II Vite di Febrajo 8, Per Domenico Lovisa, Venezia 1721, pp. 138-143; Pietr'Antonio di Venezia, OFMRif., Vite de Santi, Beati e Venerabili Servi di Dio estratte dal novissimo Leggendario Francescano già ridotto in dodici Tomi, Per Domenico Lovisa, Venezia 1725, pp. 128-134; Anna Maria Turi, Stigmate e stigmatizzati, Ed. Mediterranee, 1990, p. 174 n. 68 dell’elenco.
4 Gli altri sono Simone d’Aymone (+1295), francescano conventuale sepolto nella chiesa di S. Francesco; Giacomo Bruno (1475-1550), padre domenicano; Giacomo Calabrese (1410-1480), fratello coadiutore domenicano, in un’urna di vetro presso la chiesa di S. Ignazio; Vincenzo Coniglio (1470-1551), padre domenicano; Serafina Trigona (1597-1619), benedettina dell’abbazia di S. Giovanni Evangelista (cf. Litterio Villari, Il Vessillo del Conte Ruggero il Normanno e i Santi della Chiesa Piazzese, Tip. Don Guanella, Roma 1998, p. 97)
5 Anno riportato dal Villari insieme all’anno di nascita 1548 in Storia ecclesiastica, cit., p. 258 e in Il Vessillo del Conte, cit., p. 97, mentre in Storia della Città di Piazza Armerina, La Tribuna, Piacenza 1981, p. 390 scrive «nata nel 1548 e morta nel 1608». Altri 5 Dizionari pongono la morte al 1599 o al 1608 (cf. L. Villari, Storia ecclesiastica, cit, p. 258 nota 148). Inoltre il Mazzara nell'opera Leggendario, cit., p. 142, scrive «Trentasei anni della sua vita passò questa Serva di Dio in continue infermità, a quali aggionse non poche mortificazioni, e penitenze, onde arricchita di meriti nell’anno di Cristo 1598 le dette infermità se le aggravarono, e conoscendo esser prossimo il suo passaggio dalla presente alla futura vita, si riempì d’un incredibile giubilo nell’anima. Otto giorni avanti la sua morte andate a visitarla Suor Grazia, e Suor Lisabetta di Cagno Sorelle, Terziarie nostré sudette, le disse, Sorelle, io mi sento nell’anima una grandissima alegrezza, dal che subito quelle giudicarono, che intendesse della morte. Erano allora i giorni di Carnevale, e volendo i suoi di casa fare qualche ricreazione, se n’astenevano per la sua infermità, dubitando, che non morisse. Conosciuto ciò ella, chiamo la Madre , e le sorelle, e disse loro, fate pur ricreazione, perche io non morirò questo Carnevale, come avvenne. Entrata la Quaresima s’apparrecchiò per ricevere i Santi Sagramenti dell’Eucarestia, ed estrema Unzione, e ricevutili nel giorno antecedente alla morte, venuto il giorno seguente voleva di nuovo comunicarsi, ma portatole di nuovo la mattina il Sagramento non potè riceverlo, solo con grandissima divozione, e fervore l’adorò, e poi nel giorno diede l’anima al Creatore, essendo gl’otto di Febrajo nella prima settimana di Quaresima dell’anno 1599 e dell’età sua sessanta». E' evidente l’errore quando ripete il primo anno 1598 in 1599, trattandosi sempre della stessa quaresima e successiva al medesimo carnevale. Per gli altri Dizionari dove si legge 1608, l’errore è stato quello di confondere la nostra Arcangela Tirdera con un’altra suora Terziaria nata nel 1548 e morta nel 1608, Suor Arcangela (d’Assisi), che «ebbe le cinque piaghe di Cristo, che furono oggetto di esami e processi verbali conservati nell’opera del frate minore Randèze» (A.M.Turi, Stigmate, cit., p. 174 n. 71 dell’elenco). Nella stessa opera della Turi la nostra Arcangela si trova nella stessa pagina ma al n. 68 «Arcangela Tardera (1539-1599) Terziaria francescana, originaria di Piazza (Sicilia), fu stigmatizzata ma finché fu in vita mostrò le piaghe solo alla madre, a un’amica e a due suore. Alla sua morte si vide che aveva ai piedi e alle mani delle stigmate rotonde come la testa di un chiodo e sul lato del petto una piaga grande, obliqua, di forma ovale. La pelle delle stigmate delle estremità era segnalata da una cicatrice recente con un punto nero calloso al centro». Inoltre veniamo a sapere che «Parve anco non piccolo miracolo, che il suo Corpo dopo morte non diede niuno mal’odore non solo ne’ due giorni tenuto insepolto, ma dopo sepellito aperta la sepoltura quattro volte frà dodici giorni per i divoti, che vollero vederla, particolarmente i segni delle Stimmate, sempre diede una fragranza soavissima» (B. Mazzara, Leggendario, cit., p. 143). Per la correzione di alcuni anni effettuata successivamente vedi Date corrette per suor Arcangela Tirdera del 29 gennaio 2018.
6 Cf. L. Villari, Storia ecclesiastica, cit., p. 258; Id., Storia della città, cit., p. 295.
7 È scritto erroneamente «7 anni» (B. Mazzara, OFMRif., Leggendario, cit., p. 138).
8 Si tratta della IV cappella a dx, a fianco dell’altare maggiore, della famiglia Tirdera, poi dei Miccichè (di cui c’è lo stemma sull’arco dell’altare) e poi dei Cagno (cf. L. Villari, Storia ecclesiastica, cit., 1988, p. 250, n. 120bis).
9 B. Mazzara, OFMRif., Leggendario, cit., p. 142.
10 Solo per fare qualche esempio di personalità seppellite nei sarcofagi delle 7 cappelle: il medico e matematico Giovanni Francesco de Assaro, suocero del barone Marco Trigona; Giovanni Tommaso Sanfilippo duca delle Grotte e il figlio Desiderio duca e cavaliere di Malta; alcuni appartenenti allle famiglie Trigona, Polizzi, Boccadifuoco, Tirdera, Miccichè e Cagno.
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