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Cronarmerina - Dicembre 2015

Famiglia Trigona (ecclesiastici)

S. Bartolomeo Trigona¹
La famiglia Trigona dal XVI secolo in poi, oltre a possedere un enorme numero di feudi, è presente in maniera importante anche nella vita ecclesiastica della nostra Città e non solo. Infatti, oltre alla ben nota erezione della nuova Chiesa Madre, poi Duomo e, dal 1817, Cattedrale intitolata a Maria SS. delle Vittorie, grazie alla ricchissima eredità lasciata da Marco barone di Gatta, Alzacuda, Sofiana e Ursitto (1546-1598), numerosi sono i Trigona che fanno parte di Ordini religiosi, Ordini Cavallereschi, e che ricoprono cariche a tutti i livelli, sino ad arrivare a quelle più alte di Cardinale, nel 1834, e di suora morta nel 1619 in odor di santità (Serafina Trigona, benedettina del monastero di S. Giovanni Evangelista).

Per ragioni di spazio mi limiterò a sottoelencare solo il numero degli appartenenti:

a) Ordini monastici maschili: Agostiniani 1; Carmelitani 1; Francescani 3; Gesuiti 10; Teatini 6; Cavalieri Ospedalieri S. Giacomo 1; Cavalieri Ospedalieri S. Giovanni Battista 7.
b) Vicari Apostolici-Vescovi-Cardinali 4. (Arcivescovo Matteo, Arcivescovo Filippo, Cardinale Gaetano e Vic. Apost. Cattedrale di Piazza Benedetto)
c) Ordini monastici femminili: Agostiniane 2; Benedettine 2.
d) Benefattori 8.
e) Benefattrici 1.
Tra i più noti benefattori c'è Marco che, oltre alla ricostruzione del Duomo grazie alla donazione di 100.000 scudi² (per altri 140.000), fonda un Orfanotrofio Femminile, il Capitolo della Collegiata della Chiesa Madre, dona 300 onze all'ospedale di allora e si interessa all'erezione di un Collegio di Gesuiti, progetto poi sostituito dal Duomo. Inoltre, sono da ricordare Vespasiano Trigona barone di Gerace³ (m. 1853) e la moglie Carmela d'Aquino dei principi di Caramanico (1816-1898). Il barone di Gerace oltre a donare il latifondo di Rossignolo al "Monte di Prestami o dei Pegni", fondato dal chierico Michele Chiello nel 1771, lascia, alla sua morte nel 1853, il feudo di Ciappa, il palazzo baronale di piano Castello e altri beni minori all'Ospedale Chiello che, per questo e per un certo periodo, è chiamato pure "Ospedale Michele Chiello e Vespasiano Trigona". La moglie Carmela con la sua eredità fonda nel 1902 l'istituto femminile di beneficenza, con sede nel suo palazzo di piano Castello, che comprende un asilo, la scuola elementare e un laboratorio di sartoria e ricamo. 
 
¹ In Cattedrale esiste un altare, nella navata di dx, dedicato a S. Bartolomeo Trigona che due membri della famiglia, il vescovo Matteo (1678-1753) e il padre gesuita Vespasiano (1692-1761), ne diffusero nel XVIII secolo il culto in tutta la Sicilia Orientale. Ma di questo Santo lo storico Litterio Villari, in un suo studio pubblicato nel 1956, dimostra la sua non appartenenza alla stirpe normanna dalla quale invece deriva la famiglia Trigona.
² Oggi corrispondenti a ca. 8 milioni di euro. Anche i nipoti del barone Marco, Antonino e Fabio, donarono alla Chiesa Madre 2.000 onze, ovvero ca. 360.000 euro.
³ Il feudo di Gerace, con la "e" finale (non Geraci in prov. di Palermo) si trova in territorio di Enna tra quelli di Fundrò e Borgo Cascino. Un feudo Gerace si trova anche in provincia di Reggio Calabria.
cronarmerina.it
 
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I nèspuli da 'nv'rnàda

 
I nèspuli 'ntâ Carrèra
Queste nella foto sono chiamati nèspuli da 'nv'rnàda (nespole invernali) e corrispondono alle nespole comuni o europee (mespilus germanica). Infatti, quelli che chiamiamo comunemente nespole, sono le "nespole del Giappone" (eriobotrya japonica) che poi sono originarie dalla Cina, dove le chiamano pipâ guo mentre in Giappone le chiamano biwa, portate in Europa soltanto alla fine del Settecento. Ritornando e nòstri nèspuli¹, che sono conosciute in Europa da tempo immemorabile, non vengono consumate alla raccolta in autunno inoltrato, bensì nelle settimane successive, dopo essere state messe a rammollire sulla paglia² facendole diventare di marrone scuro. In questo modo la polpa si trasforma, cancellandone il sapore acido e rendendole commestibili. Dato che la buccia è molto robusta, la polpa viene succhiata e inghiottita e i semi trattenuti in bocca. Quelle nella foto le ho fotografate stamattina in via Mazzini (chiamata anticamente a Carrèra) che facevano bella mostra insieme a cac'mi, sciòrbi, f'cudìnni, pìpi, pìpi röss, nösg, n'zzòli, passulöi e autri còsi ddécchi !³
Gaetano Masuzzo/cronarmerina

¹Per nèspula a Ciàzza s'intende pure la percossa e/o la bastonata: s' t' 'ncàgghiu te dè tanti d' ddi nèspuli ch' t fè dì mal'détt d' quànn fu! 
²Da ciò è nato il detto "Col tempo e con la paglia maturano le nespole" per dire che ci vuole pazienza e occorre aspettare per vedere i risultati.

³Loti, sorbe, fichidindia, peperoni, peperoni rossi, noci, nocciole, fichi secchi e altre cose ghiotte.

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Fontanella Matteotti/n. 3

Questa è la fontanella sulla via Matteotti, all'altezza del numero civico 21, nel quartiere dî Canài. Si scorge passandoci vicino a malapena, perché sta dietro un'alta siepe che nasconde anche due sedili in marmo. A parte i puntàgghi di risulta alla sua base e i vari interventi di muratura grossolani per tenerla in piedi, si può dire che è tenuta bene e in estate è coperta abbastanza, da un paio di alberi, da offrire un po' d'ombra a chi si ripara dal solleone, cassonetti della spazzatura vicini permettendo!
Gaetano Masuzzo/cronarmerina.it
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Igiene medievale e non / 4 e ultima

 
4^ e ultima parte
 
(dalla 3^ parte)
In genere il modo di considerare l'acqua si è fondato sui riti di purificazione e l'acqua è spesso stata presa a simbolo di purezza, tuttavia non mancano testi letterari e pregiudizi popolari che ne sottolineano invece gli aspetti negativi. Nel Settecento si pensava che il lungo contatto con l'acqua ostruisse i pori, evitasse la traspirazione e rendesse il sangue denso, provocando come conseguenza l'amenorrea, cioè la mancanza di mestruazioni. In questo modo si spiegavano i disturbi delle lavandaie e delle contadine che lavoravano nella macerazione della canapa e del lino. A tutte le donne quindi, per molto tempo, è stato consigliato di non fare pediluvi e di non lavarsi durante le mestruazioni. Inoltre per molti secoli, dopo l'abbandono dell'abitudine del bagno che era stata tipica dei Romani, la pulizia del corpo è stata considerata riservata alle prostitute. L'igiene femminile è stata a lungo un parametro per dare giudizi sulla condotta morale delle donne: se sporche erano certamente oneste, se pulite certamente prostitute. Per le donne oneste infatti non c'era alcun bisogno di lavarsi, anzi, riservare cura al proprio corpo era considerato peccaminoso. Per lunghi secoli la medicina ha attribuito all'umidità dell'acqua una valenza negativa, accusandola di aprire i pori e quindi di aprire la via alle infezioni dall'esterno. Dal Cinquecento, quando la peste si ripresenta con regolarità, l'acqua viene accusata di ogni nefandezza; fare il bagno debilita e quindi espone al rischio di malattie per cui, chi proprio vuole lavarsi, almeno limiti i danni prendendo precauzioni, come ad esempio non uscire di casa per alcuni giorni ed osservare riposo assoluto. Certamente non si lavino mai bambini! La pulizia del corpo è affidata alla "pulizia secca", cioè al cambio dei vestiti, secondo il principio per cui una camicia pulita corrisponde ad un bagno. In realtà poi alla paura di malattie si accompagna a lungo la paura del peccato, in quanto l'igiene personale presuppone la vista ed il contatto con parti del corpo e quindi espone a rischi morali. Solo a partire dal Settecento cominciano a diffondersi pratiche igieniche, e solo nell'aristocrazia; l'abitudine alla pulizia si diffonderà tra i ceti popolari nel tardo Ottocento, un po' per imitazione, un po' perché solo quando l'acqua sarà convogliata all'interno delle abitazioni perderà le caratteristiche di elemento prezioso e costoso riservato a pochi. D'altra parte solo un ambiente che permette di lavarsi senza una forzata promiscuità può rendere il bagno un'abitudine. In Italia, fino alla fine degli anni cinquanta, fare il bagno risultava problematico per la mancanza di ambienti idonei e per l'assenza di un impianto di riscaldamento; in genere l'ambiente usato era la cucina e non era infrequente che la stessa acqua servisse per più persone. Questo per quanto riguarda l'uso igienico dell'acqua, ma anche come bevanda l'acqua ha spesso suscitato sospetti e rifiuto. Molti proverbi popolari esaltano il vino come antidoto alle più svariate malattie e attribuiscono all'acqua il potere di accorciare la vita e di provocare malinconia e tristezza. Anche molti medici, fino all'Ottocento, individuavano nelle sostanze contenute nell'acqua le responsabili di molte malattie come il cretinismo, il gozzo, le febbri "miasmatiche", e queste credenze per secoli hanno condizionato la cultura e la vita quotidiana delle popolazioni. Credenze inconcepibili, alla luce delle nostre conoscenze scientifiche, ma ineccepibili, se si considerano i rischi delle malattie gastroenteriche che si trasmettono attraverso l'acqua contaminata o il rischio di contrarre malaria nelle zone con acque stagnanti. (tratto da "kidslink.bo.cnr.it/correggio/acqua/lavarsi.html")
 
Gaetano Masuzzo/cronarmerina
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Pro domo sua

L'espressione latina Pro domo sua significa letteralmente "a favore della propria casa" e deriva dal titolo di una delle orazioni più note di Marco Tullio Cicerone (106 a.C. - 43 a.C.): De domo sua ad pontifices ("Sulla propria casa, al collegio pontificale"). L'orazione era diretta contro il tribuno della plebe Publio Clodio Pulcro, che nel 58 a.C. l'aveva mandato in esilio e aveva fatto distruggere la sua casa sul Palatino e fatto consacrare il terreno alla dea Libertas. Nel 57 a.C. Cicerone riuscì a rientrare a Roma. In quell'occasione scrisse un'arringa per difendere se stesso (invece che altri, come era solito fare) in cui chiedeva di riavere l'area e i fondi per ricostruire la casa e dichiarava nulla la consacrazione. La frase è usata per indicare chi difende i propri interessi, o chi pèrora cause per il proprio vantaggio personale. (tratto da FocusStoria, Novembre 2013) Gaetano Masuzzo/cronarmerina
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Igiene medievale e non / 3

 
3
 
(dalla 2^ parte) Per quanto riguarda altre forme di igiene personale sappiamo che il vaso da notte, conosciuto in epoca romana, era ancora utilizzato e che non si provava vergogna a usarlo in presenza d'altri. La rasatura era difficile, dolorosa e non molto frequente, poiché il sapone era inefficace e i rasoi, che assomigliavano a coltelli per intaglio o per trinciare la carne, erano vecchi e non affilati. Anche il taglio dei capelli non era agevole: le forbici erano simili a cesoie e dovevano essere utilizzate dolcemente per evitare di strappare i capelli. Sebbene nel XIII secolo pochi aristocratici avessero spazzole per i denti, la toeletta della bocca era generalmente compiuta con l'ausilio di legno verde di nocciolo, e i denti venivano strofinati con un panno di lana. Si ritrovano inoltre descrizioni dell'uso di unghie decorate e di pulizia delle orecchie, quasi a indicare una preoccupazione per la pulizia. I pettini erano comuni e gli specchi avevano un uso funzionale e decorativo. Durante tutto il Medioevo era diffuso un antico adagio latino che recitava così: "Venari, ludere, lavari, bibere, hoc est vivere!"  (Cacciare, giocare, lavarsi e bere, questo è vivere!). (continua) [tratto da G. Staffa, 101 Storie sul Medioevo, Newton Compton Editori, 2012]
 
Gaetano Masuzzo/cronarmerina

 

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Fontanella Giardino Andrea Cursale/n. 2

La fontanella n. 2 è quella che si trova in piazza Generale Cascino, nel giardino intitolato ad Andrea Cursale, assessore al verde pubblico nato nel 1972 e morto prematuramente nel 1996.
La foto ritrae la fontana, scolpita qualche anno fa dallo scultore piazzese Salvatore Martello (1948-2008), in uno dei rari periodi in cui viene tenuta pulita ed efficiente. Spesso dagli incivili e maleducati, grandi e piccini, viene usata come cestino per cartacce, lattine e chi più ne ha più NON ne metta, appunto !
 
Gaetano Masuzzo/cronarmerina.it
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Igiene medievale e non / 2

 

2

(dalla 1^ parte) L'intera operazione della lavatura del corpo era conosciuta con il termine di stufarsi, ed era molto apprezzata a tutti i livelli della società. Certo, le classi meno abbienti difficilmente poterono godere dei lussi descritti, soprattutto in relazione al fatto che solamente i ricchi potevano permettersi i fuochi di legna per scaldare l'acqua in inverno. Le abluzioni quotidiane avvenivano dunque con l'ausilio di un piccolo catino, e solo raramente si riempiva una grande botte a cui veniva tolta la parte superiore. Questo perché lo sforzo e la fatica di riempirla con l'acqua prelevata dal pozzo facevano sì che venisse utilizzata solamente in occasioni eccezionali. Da qui sono nate due leggende: il bagno annuale e buttare il bambino assieme all'acqua sporca. La prima riguarda l'unico bagno dell'anno che avveniva nel mese di maggio e che starebbe all'origine del bouquet di fiori matrimoniale. Essendo infatti giugno il mese preposto agli sposalizi, ed essendo maggio il periodo in cui avveniva l'unico bagno dell'anno, intercorreva un periodo abbastanza lungo da permettere agli sposi di presentarsi sull'altare emanando l'olezzo di un letamaio. Pertanto l'unico rimedio era un numero cospicuo di fiori che riuscisse quanto meno a mascherare gli odori nauseabondi. La seconda leggenda parla dello sforzo di riempire d'acqua la botte, così faticoso che l'acqua veniva utilizzata da tutta la famiglia. L'uomo di casa aveva il privilegio di un'acqua pulita, dopo venivano i figli maschi, poi le donne e i bambini e per ultimi i neonati. A questo punto l'acqua sarebbe stata così sporca che si poteva correre il rischio di perderci qualcuno dentro. O almeno così deve aver pensato Thomas Murner, un francescano tedesco del XVI secolo, che nella sua satira Narrenbeschwörung, "l'esorcismo dei pazzi", conia l'espressione "Non buttare il bambino assieme all'acqua sporca!". Invece, gli infanti godevano di una cura particolare e venivano lavati in un catino più piccolo colmo di acqua pulita; quanto al resto della famiglia, è difficile immaginare che si immergessero in una conca traboccante di acqua sudicia. (continua) [tratto da G. Staffa, 101 Storie sul Medioevo, Newton Compton Editori, 2012]

Gaetano Masuzzo/cronarmerina

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Famiglia Trigona (civili)

D'azzurro alla cometa e al triangolo d'oro posti in sbarra in capo e in punta.
 
Per le origini della famiglia Trigona, tra le più influenti, se non la più determinante dal XVI secolo in poi nella storia della nostra Città, arriviamo indietro addirittura all'anno 650 ca., quando troviamo il duca Salardo tra i Monti Chirii in Svevia (oggi Germania Sud-Occid.). Il figlio di questi, Coraldo, acquista nella Piccardia (Francia Sett.) molti castelli e la signoria di Trigonne, donde il cognome. Un discendente di Coraldo, Ermanno, capitano dell'imperatore Federico II, nel 1239 diventa governatore di Mistretta (Me) e un suo discendente, Giacomo, sposandosi nel 1369 con Margherita d'Aragona, nipote di Pietro d'Aragona II re di Sicilia, riceve lo stemma originario con l'aquila nera della Casa reale d'Aragona. Nella seconda metà del '400 dei quattro fratelli Trigona residenti a Mistretta due, Nicolò e Antonio, li troviamo a Mazzarino nel 1494. Nicolò ha sei figli tra i quali il primogenito, Giovanni Michele, dal quale discendono i Trigona di Bessima, e il terzogenito, Matteo (o Giovanni Matteo, nato nel 1485), dal quale discendono i Trigona titolari di ben 37 feudi sparsi in tutta l'Isola. Infatti, dal primogenito di Giovanni Matteo, Giovanni Francesco, avuto dal 1° matrimonio con Vincenza de Isido nel 1502, discendono i Trigona di Spedalotto, Cugno, Alzacuda, Sofiana, Gatta, S. Cosmano, Gallitano, Casalotto, Scarante. Tra i due figli di Giov. Francesco troviamo il secondogenito Marco (1546-1598) che si sposa con Laura, figlia del medico e matematico Francesco de Assoro, col quale nel 1555 (a soli nove anni) ha firmato, insieme a tutta la sua famiglia, i "capitoli della pace", dopo oltre dieci anni di spietate liti per grossi motivi d'interessi economici e, molto probabilmente, il loro matrimonio nel 1576 serve a suggellare la pace tra le due famiglie. Dal secondogenito del 1° matrimonio, Giovanni Andrea, discendono i Trigona di S. Cono, Cimia e Demani. Dai Trigona di S. Cono discendono: a) quelli di S. Cono Superiore e Budonetto, Dainammare, Canicarao, Ganigazzeni, Elsa, Ciavarini, Fegotto, Sambuco, Roccabianca, Ursitto, Imbaccari Sottano e Terra di Mirabella, S. Antonino, Scitibillini e Floresta; b) quelli di S. Cono Inferiore e Dragofosso, Aliano, Misterbianco, Gerace, Geracello, Mastro Giurato e S. Elia. Da quelli di Cimia e Demani discendolo i Trigona dei Salti dei Mulini di Piazza. Dai sei figli che Giovanni Matteo ha con la 2^ moglie, Elisabetta d'Aidone de Gaffori sposata nel 1516, discendono i Trigona di Montagna di Marzo, Azzolina, Gallizzi e Mandrascate. Di stemmi di questa famiglia nella nostra Città ne troviamo a iosa, sia da soli che insieme ad altre famiglie con le quali si è in qualche modo imparentata. Per esempio nella chiesa di S. Pietro troviamo 3 stemmi della famiglia Trigona: uno con i Landolina, un altro con gli Assoro e uno con i Polizzi. Un altro esempio è quello che si ha in un quadro in Cattedrale assieme alla famiglia Calascibetta. Un post a parte è dedicato alla numerosa presenza dei componenti di questa famiglia nella vita ecclesiastica della nostra Città.
Gaetano Masuzzo/www.cronarmerina.it  

 

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