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Gaetano Masuzzo

Gaetano Masuzzo

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Igiene medievale e non / 3

 
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(dalla 2^ parte) Per quanto riguarda altre forme di igiene personale sappiamo che il vaso da notte, conosciuto in epoca romana, era ancora utilizzato e che non si provava vergogna a usarlo in presenza d'altri. La rasatura era difficile, dolorosa e non molto frequente, poiché il sapone era inefficace e i rasoi, che assomigliavano a coltelli per intaglio o per trinciare la carne, erano vecchi e non affilati. Anche il taglio dei capelli non era agevole: le forbici erano simili a cesoie e dovevano essere utilizzate dolcemente per evitare di strappare i capelli. Sebbene nel XIII secolo pochi aristocratici avessero spazzole per i denti, la toeletta della bocca era generalmente compiuta con l'ausilio di legno verde di nocciolo, e i denti venivano strofinati con un panno di lana. Si ritrovano inoltre descrizioni dell'uso di unghie decorate e di pulizia delle orecchie, quasi a indicare una preoccupazione per la pulizia. I pettini erano comuni e gli specchi avevano un uso funzionale e decorativo. Durante tutto il Medioevo era diffuso un antico adagio latino che recitava così: "Venari, ludere, lavari, bibere, hoc est vivere!"  (Cacciare, giocare, lavarsi e bere, questo è vivere!). (continua) [tratto da G. Staffa, 101 Storie sul Medioevo, Newton Compton Editori, 2012]
 
Gaetano Masuzzo/cronarmerina

 

Fontanella Giardino Andrea Cursale/n. 2

La fontanella n. 2 è quella che si trova in piazza Generale Cascino, nel giardino intitolato ad Andrea Cursale, assessore al verde pubblico nato nel 1972 e morto prematuramente nel 1996.
La foto ritrae la fontana, scolpita qualche anno fa dallo scultore piazzese Salvatore Martello (1948-2008), in uno dei rari periodi in cui viene tenuta pulita ed efficiente. Spesso dagli incivili e maleducati, grandi e piccini, viene usata come cestino per cartacce, lattine e chi più ne ha più NON ne metta, appunto !
 
Gaetano Masuzzo/cronarmerina.it

Igiene medievale e non / 2

 

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(dalla 1^ parte) L'intera operazione della lavatura del corpo era conosciuta con il termine di stufarsi, ed era molto apprezzata a tutti i livelli della società. Certo, le classi meno abbienti difficilmente poterono godere dei lussi descritti, soprattutto in relazione al fatto che solamente i ricchi potevano permettersi i fuochi di legna per scaldare l'acqua in inverno. Le abluzioni quotidiane avvenivano dunque con l'ausilio di un piccolo catino, e solo raramente si riempiva una grande botte a cui veniva tolta la parte superiore. Questo perché lo sforzo e la fatica di riempirla con l'acqua prelevata dal pozzo facevano sì che venisse utilizzata solamente in occasioni eccezionali. Da qui sono nate due leggende: il bagno annuale e buttare il bambino assieme all'acqua sporca. La prima riguarda l'unico bagno dell'anno che avveniva nel mese di maggio e che starebbe all'origine del bouquet di fiori matrimoniale. Essendo infatti giugno il mese preposto agli sposalizi, ed essendo maggio il periodo in cui avveniva l'unico bagno dell'anno, intercorreva un periodo abbastanza lungo da permettere agli sposi di presentarsi sull'altare emanando l'olezzo di un letamaio. Pertanto l'unico rimedio era un numero cospicuo di fiori che riuscisse quanto meno a mascherare gli odori nauseabondi. La seconda leggenda parla dello sforzo di riempire d'acqua la botte, così faticoso che l'acqua veniva utilizzata da tutta la famiglia. L'uomo di casa aveva il privilegio di un'acqua pulita, dopo venivano i figli maschi, poi le donne e i bambini e per ultimi i neonati. A questo punto l'acqua sarebbe stata così sporca che si poteva correre il rischio di perderci qualcuno dentro. O almeno così deve aver pensato Thomas Murner, un francescano tedesco del XVI secolo, che nella sua satira Narrenbeschwörung, "l'esorcismo dei pazzi", conia l'espressione "Non buttare il bambino assieme all'acqua sporca!". Invece, gli infanti godevano di una cura particolare e venivano lavati in un catino più piccolo colmo di acqua pulita; quanto al resto della famiglia, è difficile immaginare che si immergessero in una conca traboccante di acqua sudicia. (continua) [tratto da G. Staffa, 101 Storie sul Medioevo, Newton Compton Editori, 2012]

Gaetano Masuzzo/cronarmerina

Famiglia Trigona (civili)

D'azzurro alla cometa e al triangolo d'oro posti in sbarra in capo e in punta.
 
Per le origini della famiglia Trigona, tra le più influenti, se non la più determinante dal XVI secolo in poi nella storia della nostra Città, arriviamo indietro addirittura all'anno 650 ca., quando troviamo il duca Salardo tra i Monti Chirii in Svevia (oggi Germania Sud-Occid.). Il figlio di questi, Coraldo, acquista nella Piccardia (Francia Sett.) molti castelli e la signoria di Trigonne, donde il cognome. Un discendente di Coraldo, Ermanno, capitano dell'imperatore Federico II, nel 1239 diventa governatore di Mistretta (Me) e un suo discendente, Giacomo, sposandosi nel 1369 con Margherita d'Aragona, nipote di Pietro d'Aragona II re di Sicilia, riceve lo stemma originario con l'aquila nera della Casa reale d'Aragona. Nella seconda metà del '400 dei quattro fratelli Trigona residenti a Mistretta due, Nicolò e Antonio, li troviamo a Mazzarino nel 1494. Nicolò ha sei figli tra i quali il primogenito, Giovanni Michele, dal quale discendono i Trigona di Bessima, e il terzogenito, Matteo (o Giovanni Matteo, nato nel 1485), dal quale discendono i Trigona titolari di ben 37 feudi sparsi in tutta l'Isola. Infatti, dal primogenito di Giovanni Matteo, Giovanni Francesco, avuto dal 1° matrimonio con Vincenza de Isido nel 1502, discendono i Trigona di Spedalotto, Cugno, Alzacuda, Sofiana, Gatta, S. Cosmano, Gallitano, Casalotto, Scarante. Tra i due figli di Giov. Francesco troviamo il secondogenito Marco (1546-1598) che si sposa con Laura, figlia del medico e matematico Francesco de Assoro, col quale nel 1555 (a soli nove anni) ha firmato, insieme a tutta la sua famiglia, i "capitoli della pace", dopo oltre dieci anni di spietate liti per grossi motivi d'interessi economici e, molto probabilmente, il loro matrimonio nel 1576 serve a suggellare la pace tra le due famiglie. Dal secondogenito del 1° matrimonio, Giovanni Andrea, discendono i Trigona di S. Cono, Cimia e Demani. Dai Trigona di S. Cono discendono: a) quelli di S. Cono Superiore e Budonetto, Dainammare, Canicarao, Ganigazzeni, Elsa, Ciavarini, Fegotto, Sambuco, Roccabianca, Ursitto, Imbaccari Sottano e Terra di Mirabella, S. Antonino, Scitibillini e Floresta; b) quelli di S. Cono Inferiore e Dragofosso, Aliano, Misterbianco, Gerace, Geracello, Mastro Giurato e S. Elia. Da quelli di Cimia e Demani discendolo i Trigona dei Salti dei Mulini di Piazza. Dai sei figli che Giovanni Matteo ha con la 2^ moglie, Elisabetta d'Aidone de Gaffori sposata nel 1516, discendono i Trigona di Montagna di Marzo, Azzolina, Gallizzi e Mandrascate. Di stemmi di questa famiglia nella nostra Città ne troviamo a iosa, sia da soli che insieme ad altre famiglie con le quali si è in qualche modo imparentata. Per esempio nella chiesa di S. Pietro troviamo 3 stemmi della famiglia Trigona: uno con i Landolina, un altro con gli Assoro e uno con i Polizzi. Un altro esempio è quello che si ha in un quadro in Cattedrale assieme alla famiglia Calascibetta. Un post a parte è dedicato alla numerosa presenza dei componenti di questa famiglia nella vita ecclesiastica della nostra Città.
Gaetano Masuzzo/www.cronarmerina.it  

 

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