Un mulino millenario
Gli archi a sesto acuto del mulino di Donna Guerrera, Piazza Armerina
Nel cerchio l'anno 1829 nella vasca di raccolta dell'acqua del mulino
Il mulino millenario
Il mulino di Donna Guerrera (o Guerriera), ancora esistente, forse ancora per poco viste le pessime condizioni (vedi foto), è situato a 2 km a sud-est dal centro abitato di Piazza Armerina, accanto alla sede stradale della SP15 Piazza-Barrafranca, lungo la valle tra il colle di Piazza Vecchia a nord e il monte Mancone a sud. Il mulino, come i tanti esistenti lungo il corso fluviale, veniva alimentato dal vicinissimo fiume Gela che, in questo tratto iniziale, è chiamato “fiume di Giozzo”, dalla contrada piazzese da cui nasce, posta sui monti Erei a ca. 7 km a nord-est di Piazza. Per quanto riguarda il nome, il Villari ci ricorda che «la contrada “Bosco Blandino” e l’annesso mulino di “Donna Guerriera” dovettero prendere tali denominazioni dalla contessa Flandina – figlia del conte Ruggero – che ne ebbe il possesso subito dopo la conquista normanna». Questo fa supporre che potesse essere già esistente al tempo degli Arabi, i quali utilizzavano nell'architettura gli archi a sesto acuto presenti nel nostro mulino. Nel Trecento il mulino con gli altri in territorio di Piazza, erano del milite Ugone Lancia, signore di Castania e Castelminardo. Negli ultimi anni del XIV secolo, il mulino apparteneva alla Commenda dei Cavalieri Ospedalieri di San Giovanni Battista di Gerusalemme poi, nel 1399, in seguito ad una transazione, ratificata da re Martino il Giovane, col cavaliere e commendatore gerosolimitano Bernardo Villardita, barone di Imbaccari, Rachali e Censi di Piazza, divenne di proprietà del barone. Assieme al mulino, al barone andarono l’orto accanto e il feudo di Bessima, in cambio del canone in orzo e frumento a lui dovuto annualmente dalla Commenda. In seguito, il mulino seguì la storia della baronia dei Salti dei Mulini di Piazza, prima di proprietà di un ramo dei Villardita imparentati con i de Modica (o Moac), poi con i de Barberino (o Barbarino), i de Assaro, i Platamone, i Crescimanno e, col matrimonio della figlia di Pietro Crescimanno di Bessima, Angela Maria, con un Trigona, alla fine del Settecento, divenne di proprietà di Onofrio Trigona barone dei Salti e di Demani. Un dettaglio che non è sfuggito è l’anno 1829, scolpito come un sigillo, su una parete della vasca/torretta di raccolta dell’acqua, forse testimone di un restauro borbonico (foto in basso).
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