I cutupìddi
I CUTUPÌDDI
La parola cutupìddi ci riporta indietro alla nostra infanzia (parlo per i nati negli anni Cinquanta e/o Sessanta), quando alla richiesta piena di fervore e speranza «papà che purtàtu?» lui, a tamburo battente, rispondeva con nonchalance «cutupìddi!». E tutto finiva lì.
L’altro giorno un amico coetaneo, con le mie stesse manie e curiosità, mi ha chiesto cosa fossero in realtà i cutupìddi, oltre al comune intendere di «nulla di nulla» o «poco o niente».
Tornato a casa cu pùl’sg ‘ntèsta, a chi potevo rivolgermi, visto che il mio caro vocabolario in gallo-italico di G. Fonti non mi rispondeva e non mi aiutava? All’immenso zio internet che, se usato con intelligenza e al momento giusto, ci aiuta (quasi) in tutto. Avviata la ricerca mi imbatto nel sito di "siciliafan.it" (a fondo pagina). Ci clicco e mi appare l’articolo di Nando CIMINO, Teniamoci leggeri mangiando cutupiddi, del 23 aprile 2015, per la rubrica CONOSCERE LA SICILIA.
Eccovelo: «Non fosse altro che per la loro scarsa consistenza mi verrebbe da dire che per mantenersi leggeri non sarebbe male mangiare cutupiddi. Non cercatela nei vocabolari; difficile trovarla anche lì questa “strana” parola della nostra lingua siciliana che ancora oggi continuiamo però ad usare con una certa frequenza. La adoperano soprattutto gli anziani, ma non solo loro, quando se gli si chiede cosa hanno mangiato, per non fartelo sapere o perché son veramente a stomaco vuoto, ti rispondono cutupiddi; come a voler dire, poco o niente. Ma a parte l’uso comune che si fa di questo vocabolo in realtà il cutupiddu esiste davvero; infatti in talune località dell’entroterra siciliano, anche se ormai pochi probabilmente se ne ricordano, con questo nome pare venissero chiamati i porcellini d’india (nella foto). Ma il termine cutupiddu o cutupiddru, ha anche un altro significato, infatti in altre zone della nostra Sicilia, stava invece ad indicare gli escrementi delle capre, (alias zzòddiri). La parola comunque, soprattutto nel primo caso, potrebbe esser stata oggetto, ma sono solo supposizioni, di una qualche mutazione “genetica”; c’è infatti chi sostiene possa essere scaturita dal fatto che i porcellini d’india venissero paragonati a dei piccoli topi ovvero tupiddri, piuttosto che surciteddi come in genere si dice. Sarà vero?
Il porcellino d’india, che tutti sappiamo essere comunque commestibile, pare sia buono arrosto o per il ragù, in realtà per le sue piccole dimensioni non è certo animale da soddisfare il nostro appetito; ecco quindi che mangiare cutupiddi, nel tempo potrebbe esser stato associato al fatto di aver mangiato poco o niente. Altrettanto dicasi allorché, volendo dare del poco intelligente a qualcuno, lo si definisce testa di cutupiddu, paragonando il suo cervello a quello, ovviamente piccolo, di questo simpatico animale o, ancor peggio, ad un ricettacolo di escrementi. Con questa mia ricostruzione, non facile e certamente opinabile, spero di aver soddisfatto la curiosità di tanti; ovviamente se sapete di più e di altro informateci. Per quanto riguarda poi l’aspetto culinario ne faccio personalmente a meno; augurando lunga vita al povero indifeso porcellino d’india alias… forse cutupiddu!».
Tratto da <https://www.siciliafan.it/teniamoci-leggeri-mangiando-cutupiddi-di-nando-cimino/?refresh_ce> ultima lettura 21/10/2021.
cronarmerina.it
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