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Cronarmerina - Maggio 2025

E la dissoluzione continua

 

Questo nella foto è uno dei tanti locali del Palazzetto dello Sport di contrada Santa Croce, meglio conosciuto come chìddu de trìd'c f'nèstri verso Mirabella Imbaccari, dopo l'ultimo raid vandalico. L'incuria e la cattiva gestione di un bene costato alla collettività ben 9.000.000.000 di Lire hanno avuto la meglio, ancora una volta, su quello che era stato il sogno per due generazioni di sportivi armerini. 

Per vedere altre foto dello scempio andate sul sito di Roberto Palermo

 
Gaetano Masuzzo/cronarmerina.it
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Il pigro

LU LAGNUSU

Mentri l'àutri ccu setti matinati
sgrìddanu fora di la sò 'gnunata,
e vannu 'nchiazza p' èssiri addugati,
ca sù simani senza 'na rancata,
stu babbu, tra stinnicchi e sbadigghiati,
si vesti ccu la sòlita annacata;
si vesti, e, dopu, a li Salvi sunati,
nni li taverni tutta la jurnata!
 
Girolamo Giusto,
(Chiazza li so campagni e la cugghiuta di li nucciddi, OfficinaTip. "La Stampa", CATANIA 1937, p. 95)
 
 
Traduzione
 
IL PIGRO
 
Mentre gli altri di buon mattino
escono fuori dal loro cantuccio,
e vanno in piazza per essere ingaggiati,
perché da settimane senza un'ora di lavoro, 
questo scemo, tra stiramenti e sbadigli,
si veste col solito dondolamento;
si veste, e, dopo il suono delle Lodi mattutine,
nelle taverne tutta la giornata!
 
(prossima poesia dell'autore: La me scola)
 
 
cronarmerina.it
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Fontana Floristella/n. 34

 
 
 
Queste sono foto che mi sono state inviate da Gianluca Messina, un affezionato visitatore del sito. E' la fontana che si trova presso la miniera Floristella. Quest'ultima, già aperta dal 1825, era di proprietà dell'imprenditore di Acireale Agostino Pennisi barone di Floristella (1832-1885) il quale, nella seconda parte dell'Ottocento, sfruttando l'evoluzione dei processi estrattivi, iniziò a dare un volto imprenditoriale all'estrazione e lavorazione dello zolfo. Le grandi miniere della provincia di Enna a partire dal 1700 erano state fonte di ricchezza economica, sempre a prezzo di sfruttamento disumano degli operai, anche adolescenti e bambini (carusi, in gallo-italico carösi), che si accontentavano di paghe misere. I carusi venivano ceduti in affitto dalle famiglie ai picconieri e utilizzati per i trasporto a spalla dello zolfo frantumato in superficie. Il trasporto avveniva con una cesta a forma di piccolo sacco chiamato st'rraör o st'rratur¹, appoggiato su un piccolo cuscino chiamato ciumazzèu. I successivi spostamenti venivano eseguiti con le carriole verso le calcarelle, ovvero fossi dove veniva fuso lo zolfo. La miniera entrò in crisi, insieme a tutto il comparto estrattivo, a partire dagli anni '30, cessando definitivamente la produzione negli anni '70.  
 
¹ Era solito nelle famiglie piazzesi sollecitare i ragazzi a studiare con questa frase in lingua gallo-italica non proprio pura, che però non tutti riuscivano, o non volevano, capire il senso: Vid' ch' s' nan studi u st'rratur t' spètta!      
cronarmerina.it
  • Pubblicato in Fontane
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Un'ottima insalata

 

 

LA 'NSALATA

Daveru ca nun c'è cosa chiù bedda
d' un russu pumadoru e 'na cipudda;
scartàli grossi, e, dopu a fedda fedda,
nill' ogghiu e acitu fina ca ci budda.
Ma chiù gustusa fai la 'nsalatedda,
(tuttu chiddu ca junci nun fa fudda!)
s' arìganu ci metti e 'n' accitedda...
e, cunzata accussì, fudda e rifudda! 
 
Girolamo Giusto
(Chiazza li so campagni e la cugghiuta di li nucciddi, Officina Tip. "La Stampa", Catania 1937, p. 100)
 
(prossima poesia dell'autore: Lu lagnusu)
 
Gaetano Masuzzo/cronarmerina.it
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Visti dagli altri/5

 
 

IL PIAZZESE

Una volta, andando il caropipano a Piazza incontrò alla Bellia il piazzese, che a cavalcioni di un grosso ramo di pioppo dava giù botte da orbo con l'accetta per tagliarlo.
- O che fate? - gli domandò.
E quello:
- Non vedete che fo? taglio il ramo, che mi serve.
- O come? e se casca quello, non cascate anche voi?
- Cascate voi invece - fece l'altro stizzito - che siete cristiano, e non io che sono piazzese.
Ma non aveva dati altri due colpi che il ramo crollò e lui insieme, che restò a terra come il piazzese che era.
 
[Tratto da Francesco Lanza (1897-1933), Mimi Siciliani, Milano, 1928]
 
Gaetano Masuzzo/cronarmerina.it
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Biscari, l'odierna Acate (RG)

Castello di Acate, 1494
 
 
Ultimi possessori del Palazzo Biscari di Mirabella Imbaccari
 
 
 
 
Stemma Paternò-Castello sul Palazzo Biscari di Mirabella Imbaccari
 
 
In questi giorni sulla pagina principale del blog c'è la foto del Palazzo Biscari di Mirabella Imbaccari com'era negli anni '30. Il palazzo prende nome dal casale di origine saracena Odogrillo situato a metà strada tra Gela e Ragusa e a 10 Km. da Vittoria, ma che già nel XIII secolo faceva parte dei possedimenti dei Chiaramonte come Biscari, forse nome di origine araba. Con la rifondazione voluta nel 1478 dal barone Guglielmo Raimondo de Castellis (poi solo Castellis e infine Castello) che ottenne anche l'autorizzazione a costruire il castello (foto in alto), per il casale iniziò un periodo di crescita e benessere. Nel 1633 Agatino Paternò Castello fu nominato I principe di Biscari da Filippo IV re di Spagna ma, nel 1693, Biscari fu distrutto completamente dal terremoto ma risorse nell'attuale sito, poco distante da quello originario. Intorno al 1824 il paese divenne libero Comune e, nel 1938, su iniziativa dello studioso locale Carlo Addario il nome fu cambiato in Acate. Questo è l'antico nome del vicino fiume Dirillo (dall'arabo "fiume di Akrillai", antica colonia greca) che i greci chiamavano Acathes e i romani Acates amnis, per i ritrovamenti di pietre d'agata nel suo corso superiore. Ultimi possessori del Palazzo Baronale di Mirabella Imbaccari furono nel 1897 i coniugi Ignazio Paternò Castello Stagno dei principi di Biscari (1879-1944) e Angelina Auteri (1880-1964) nella foto in mezzo, che lo donarono all'Istituto delle Suore Dorotee nel 1928. Nella foto in basso è riportato lo stemma della famiglia Paternò (campo sx: scudo con 8 strisce verticali tagliate da una trasversale) Castello (campo dx: torre merlata) presente sul frontespizio del palazzo in alto. Gli abitanti di Acate (oggi più di 10.000) possono essere chiamati sia Acatesi che Viscarani. Per concludere non si può non parlare del Massacro di Biscari* perpetrato il 14 luglio 1943 dalle forze armate statunitensi a danno di 76 prigionieri di guerra italiani e tedeschi, che furono fucilati sommariamente dopo la loro resa.  Gaetano Masuzzo/cronarmerina

*Per la precisione in località Piano Stella presso l'aeroporto di Santo Pietro, a ca. 15 Km a Sud di Caltagirone e a 15 Km a Nord di Acate. (fonte WikipediA) 

  
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Estate armerina 2014

 

Rumore 

 
Il rumore non tace,
fa chiasso, schiaccia il silenzio,
non ha stanze vuote.
 Il rumore non guarda il mio sonno,
non rispetta scadenze né ore,
lui non vuole incorniciare la serenità,
la possiede,
non ti sussurra dolcemente,
è assordante.
Il rumore è vivente,
la parte più dura di noi,
non ha rispetto di niente.
Il giono è il suo servo obbediente,
e la vita col suo stile
non gli mente,
c'è chi non può farne a meno
perché da lui dipende.
Poi arriva la notte
che per un poco 
lo mette a tacere,
finalmente.
 
Roberto Lavuri,  
Le mie poesie, 2014
 
Gaetano Masuzzo/cronarmerina

 

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Soluz. Aguzzate la vista n. 22

Come si può osservare si tratta del medaglione al collo del barone Marco Trigona. Nonostante l'ingrandimento non sono riuscito a decifrare la scritta che c'è sulla destra del medaglione: "I X O N" o "I X ? 2". Forse una dritta per le prossime schedine del Totocalcio. Al vincitore che ha indovinato (Ettore) verrà recapitato il premio messo a disposizione questa volta, addirittura, dall'UNESCO, col quale il blog è in continuo contatto!
 
Gaetano Masuzzo/cronarmerin.it
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Guardando gli altri/4

 

I ferri ai piedi

 
Due caropipani, di professione ladri, pensarono di morire; e buttatisi sul letto non davan più segno di vita. Gettaron loro le strida, li vestirono, li misero nel cataletto e li portarono per morti in chiesa. Ma la notte, quelli buttarono all'aria i coperchi, e più vivi di prima si diedero a saccheggiare ogni cosa; e rotte le sbarre scapparono via per le lunette. La mattina, aperta la chiesa, non si trovarono più i morti né le cose di prezzo, e lo scandalo fu grande. 
- Qua bisogna provvedere - gridarono i gabbati - ché i morti non sono morti e fan cose da vivi; - e radunato in fretta il consiglio, dopo molto sputare fu finalmente gettato a suon di tamburi e di trombe questo bando: 
- Caropipani, da oggi in poi, chi vuol morire ha da pensarci due volte; e chi non è sicuro d'esser morto non muoia, ché quelli che son tali verran ferrati ai piedi come muli!
E d'allora in poi, così fecero; e di caropipani non morì più alcuno che non fosse veramente morto.
 
[Tratto da Francesco Lanza, Mimi Siciliani, Milano, 1928]
 
Gaetano Masuzzo/cronarmerina.it

 

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