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Cronarmerina - Maggio 2025

Il poeta Carmelo Scibona / 4

 

Piazza Garibaldi anni 30, a dx il Circolo Operaio frequentato dal poeta Scibona

 
4^ parte
 
(dalla 3^ parte) Mentre il primo scopo della pubblicazione del libro di Carmelo Scibona, sembra essere stato raggiunto per averlo fatto conoscere, oltre che ai contemporanei, anche alle future generazioni, per il secondo, relativo al raggiungimento di una certa agiatezza, non ebbe altrettanta fortuna. Infatti, lo slancio dei Piazzesi nell'acquistare U Cardubu non fu pari a quello dei pochi altri residenti a Milano, nell'addossarsi le spese della stampa. Molte copie rimasero invendute e "il poeta visse gli ultimi anni della sua vita in penose ristrettezze economiche. Colpito da edema polmonare, confortato dalla moglie, dai figli e da alcuni vecchi e affettuosi amici, si spense il 12 aprile 1939. I funerali vennero pagati con gli scarsi proventi della sua opera." Un poeta di tale levatura non poteva lasciare questo mondo se non con un'ultima opera di grande modestia, sincerità e franchezza. Quando sentì prossima la fine, chiese al suo amico epigrammista Aristide Sottosanti di preparare l'epitaffio per la tomba senza infingimenti e ipocrisie, con queste parole:
 
A Rirìddu
 
E Rirì, m'è fè m-piasgér':
Quann' véngh' ô zz'm'tér',
Sovra a préa d'u mì fussöngh'
Non ghè fè na scr'zziöngh'
Cina d' farfantarì...
Basta n S cu na C. 

Carmelo Scibona
(U Cardubu, 1935)

 <<Traduzione: Ad Aristide /E Rirì, mi devi fare un piacere: /Quando vengo al cimitero, /Sulla lapide della mia fossa /Non ci devi fare un'iscrizione /Piena di menzogne... /Basta una S con una C (n.d.r. sigla che sta per Scibona Carmelo)>>
 
(tratto da C. SCIBONA, a cura di S. C. TROVATO, I mì f'ssarì - U CARDUBU e tutti gli altri componimenti editi e inediti, Ed. IL LUNARIO EN, Tip. Lussografica CL, 1997)
 
Gaetano Masuzzo/cronarmerina.it
 
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Il poeta Carmelo Scibona / 3

 
Il Podestà Avv. Nino Arena (1895-1952)
 
3^ parte
 
(dalla 2^ parte) Il volume U Cardubu del poeta piazzese Carmelo Scibona, fu stampato presso l'Officina tipografica Gilardoni-Chiesa-Gallazzi, in via Francesco Soave, 24, Milano, a spese e a cura dell'Avv. Nino (Antonino) Arena (1895-1952) che, mecenate di tanti artisti piazzesi del suo tempo, ricoprì la carica di Podestà (come si chiamava allora il Sindaco) di Piazza Armerina dal 1938 al 1942. La foto in divisa si riferisce all'inaugurazione nel 1941 del Regio Istituto Tecnico Industriale per Meccanici ed Elettricisti "C. Cascino", per il quale si era tanto interessato. Successivamente si trasferì con la famiglia a Milano, a pochi passi da piazza Duomo. Proprietario di gran parte della superficie su cui sorge l'attuale Villa Romana del Casale, divulgò nel dopoguerra la scoperta dei mosaici a beneficio di tutti, in cambio di un modesto risarcimento per l'esproprio del terreno. Il 29 dicembre del 2012 la prof.ssa Salvina Ciffo Arena ha donato i manoscritti originali relativi all'opera dello Scibona di proprietà del suocero, avv. Arena, al Comune di Piazza Armerina. (continua) (in parte tratto da C. SCIBONA, a cura di S. C. TROVATO, I mì f'ssarì - U CARDUBU e tutti gli altri componimenti editi e inediti, Edizioni IL LUNARIO EN, Tip. Lussografica CL, 1997.)
 
Gaetano Masuzzo/cronarmerina.it
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Il poeta Carmelo Scibona / 2

 

Il poeta Carmelo Scibona (1865-1939) nella sua falegnameria

 
2^ parte
 
(dalla 1^ parte) Carmelo Scibona, ormai anziano e molto indigente, si fece convincere dagli "amici Piazzesi residenti a Milano" soprattutto dal "Milanese di Piazza Armerina", l'avv. Nino (Antonino) Arena, a pubblicare le sue poesie perché "non sono un patrimonio suo personale, ma della sua amata Patria, Piazza, che ne reclama la divulgazione." L'Arena, ricevuto il manoscritto, non di pugno dello Scibona bensì di un amanuense, forse un apprendista della sua bottega cui l'autore affidò la copiatura, pubblica il primo quaderno, tralascia il secondo e aggiusta (elimina a suo piacimento e in altri casi rifà quel che non gli è chiaro) alcuni componimenti per preparare l'uscita a Milano, nel 1935, del libro U Cardubu (Il Calabrone, per il contenuto prevalentemente satirico e pungente) che lo Scibona avrebbe voluto intitolare I mì f'ssarì (Le mie fesserie) e che, sempre per l'Arena, avrebbe dovuto avere un duplice nobile scopo: onorare Piazza Armerina onorando "un suo diletto figlio", e "far vivere beatamente" all'autore ormai anziano "la sua ultima parte della giornata con i profitti della sua opera poetica". (continua
 
(tratto da C. SCIBONA, a cura di S. C. TROVATO, I mì f'ssarì - U CARDUBU e tutti gli altri componimenti editi e inediti, Edizioni IL LUNARIO EN, Tip. Lussografica CL, 1997.)
 
Gaetano Masuzzo/cronarmerina.it
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Il poeta Carmelo Scibona / 1


Il poeta-falegname Carmelo Scibona (1865-1939)
 
 
1^ parte
 
Carmelo Scibona nacque a Piazza Armerina il 12 ottobre 1865 da Giuseppe e da Alfonsa Farina, e vi morì il 12 aprile 1939. Dopo aver frequentato le scuole elementari al Collegio (edificio dei Gesuiti), prese la licenza e iniziò a esercitare l'arte di suo padre, il falegname. Per oltre mezzo secolo la sua vita, piena di privazioni, trascorse tra la sua bottega di falegnameria, dove componeva "tutte le fesserie che gli passavano per il cocuzzolo", la famiglia e in piazza al Circolo degli Operai (socio fondatore), o nella farmacia di Mario Salemi & Figli. Era in questi ultimi luoghi che, spinto da amici e compagni, lo Scibona diffondeva i suoi versi forti e pungenti verso gli avversari politici, ma ispirati sempre da nobiltà e purezza avendo come unico obiettivo il trionfo della correttezza nell'amministrazione della cosa pubblica, mai con fini privati ed egoistici. Versi che venivano pensati nella bottega, tra un colpo di  pialla e uno di martello, trascritti col lapis su fogli e foglietti sparsi qua e là. Alcuni poi li ricopiava in bella, altri li mandava al rogo. L'estro poetico l'ebbe sin dalle scuole elementari, quando compose le sue prime prove in italiano da autodidatta, passando subito al dialetto piazzese e, talvolta, anche al siciliano. Col passare degli anni fu attratto sempre più dalla poesia leggendo Dante e Trilussa. Da giovane conobbe sicuramente il "Cavalier Notaro" Remigio Roccella (1829-1915), autore di poesie e prose nel galloitalico della nostra Città, primo piazzese "ad aver consegnato alla scrittura letteraria un dialetto che per sette secoli era servito solo ai bisogni della comunicazione". Lo studio dell'opera del Roccella servì allo Scibona ad apprendere il sistema ortografico del piazzese perfezionandolo e fu per questo motivo che considerò il Roccella "u patri d'a ciaccésa poisìa" e se stesso suo erede insieme ad altri due suoi contemporanei, Vittorio Cagni e Gaetano Marino Albanese¹. A 63 anni, nel 1928, prese l'infelice decisione di trasferirsi, come tanti suoi concittadini, a Bengasi, in Cirenaica oggi Libia, per andarvi a cercare fortuna, dopo essersi sposato per la seconda volta. Vi rimase sino al 1932, quando tornò "più povero di prima, più vecchio e più accasciato". (tratto da Carmelo SCIBONA, a cura di Salvatore C. TROVATO, I mì f'ssarì - U CARDUBU e tutti gli altri componimenti editi e inediti, Edizioni IL LUNARIO EN, Tipografia Lussografica CL, 1997.) (continua)

¹ Mio nonno materno (1889-1958) che molti ricordano col soprannome di Ciucciùledda.

 
Gaetano Masuzzo/cronarmerina.it

 

   
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Lo stemma più prestigioso di Piazza/2

La freccia indica dove si trova lo stemma sotto il portico di ovest della Biblioteca Comunale
 
2^ Parte
 
(dalla 1^ parte) I due regnanti spagnoli, Ferdinando II d'Aragona e Isabella I di Castiglia, al contrario di quelli portoghesi, credettero nell'intuizione del navigatore genovese Cristoforo Colombo e quindi finanziarono nel 1492 l'impresa di raggiungere l'India attraversando l'oceano verso ponente. Però, qualche anno prima (1478), avevano introdotto nel loro regno anche l'Inquisizione (a Plaza nel 1512) per convertire i musulmani e gli ebrei al Cristianesimo, con le buone o con le cattive. Mentre c'erano, iniziarono a punire i sostenitori di teorie contrarie a quelle cattoliche (eresie) finendo col perseguire anche gli omosessuali e le streghe. Sotto la "bandiera religiosa" si nascondeva il principale obiettivo: colpire gli oppositori politici e confiscare i patrimoni dei condannati, per rimpinguare le casse della corona sempre all'asciutto per le smisurate spese di corte e militari. A tal proposito è utile ricordare che con l'avvento in Sicilia della monarchia Castigliana (chiamata così poiché il re, pur essendo Aragonese, al momento del matrimonio aveva spostato la sua dimora in Castiglia), l'antica nobiltà in crisi fu sostituita da nobili non titolati, curiali, medici, speziali e gabellotti disposti a pagare una tassa per iscriversi nel libro della Mastra Nobile, presente in tutte le città regie. A Plaza con tale procedura diventarono nobili tantissime famiglie che con il loro potere politico ed economico, influirono in maniera determinante sulla vita sociale nei secoli successivi. Il sito originario dov'era posto lo stemma, non poteva essere il Collegio dei Gesuiti perché questo fu costruito un secolo dopo (1605) quindi, ammesso che non provenisse da altro sito fuori le mura, doveva essere affisso o su una delle porte (io ne ho individuate 7) della Città Demaniale o su quella del Castello Aragonese, costruito nel 1392 da un altro re aragonese (Martino I il Giovane) e sede del Castellano nominato dall'autorità spagnola. Ci sarebbe un'ultima possibilità se consideriamo l'anno scolpito sullo stemma, il 1512, anno dell'introduzione del Tribunale dell'Inquisizione nella nostra Città. Potrebbe essere stato esposto sull'edificio che doveva ospitare il Commissariato del Tribunale dove si riunivano il Commissario Domenicano, il Maestro Notaro, il Recettore e i venti Impiegati o Familiari, di cui però, non si conosce l'ubicazione. Se il commissario era un Domenicano, forse nel loro convento, oggi Seminario Vescovile?
 
N.B. Nell'ex sala del coro dei Gesuiti, che ospita la Mostra del Libro Antico, c'è un altro stemma reale.

Gaetano Masuzzo/cronarmerina.it

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Lo stemma più prestigioso di Piazza/1

Lo stemma di re Ferdinando II d'Aragona in Biblioteca
 
Stemma di re Ferdinando II d'Aragona a colori periodo 1504-1513
 
1^ Parte
 
Dopo aver parlato dello stemma reale del 1504, l'altro più grande e bellissimo stemma scolpito nel marmo bianco, che si trova sotto il portico di ovest della Biblioteca Comunale, non è uno stemma qualunque, bensì è quello del re spagnolo senza il quale chissà quando avremmo conosciuto il Nuovo Mondo e, purtroppo, anche l'Inquisizione. È lo stemma più prestigioso e raffinato, anche nei particolari, presente nella nostra Città ed è quello di Ferdinando II re d'Aragona detto il Cattolico (1452-1516) che con la moglie, la cugina Isabella I regina di Castiglia (1451-1504), furono chiamati dal Papa Re Cattolici (Reyes Católicos). Nella parte bassa dello stemma, inserito nel petto di un'aquila con la testa girata e dal collo circondato da una corona reale, c'è l'anno in numeri romani M (la "o" scolpita sulla "M" sta per Millesimo) CCCCCXII - 1512, mentre nello scudo inquartato vero e proprio sono riportati scolpiti nel marmo: 
-Nel I e IV quarto le insegne del Regno di Castiglia (di rosso al Castello d'oro torricellato di tre pezzi e finestrato d'azzurro) e León (d'argento di Leone rosso coronato, linguellato e armato d'oro).
-Nel II e III quarto le insegne a sx del Regno di Sicilia (nei due angoli superiore e inferiore le bande rosso-vermiglie in campo d'oro della Corona d'Aragona, nei due angoli laterali le aquile nere in campo d'argento degli Svevi-Sicilia); a dx l'insegna del Regno d'Ungheria (otto Fasce di rosso e d'argento) attaccata a quella del Regno di Gerusalemme (un H con un I in mezzo formata dall'unione delle due lettere latine H e I, iniziali di Hierusalem)1. Nella versione a colori nel 2° e 3° quarto al posto del Regno di Sicilia c'è la Corona d'Aragona con le bande verticali rosso-vermiglie in campo d'oro e, solo nel 3° quarto, al posto dei Regni d'Ungheria e di Gerusalemme, c'è quello del Regno di Sicilia.
-Nella punta dello scudo l'insegna del Regno di Granada (mela granata aperta di rosso fogliata di verde). (continua)  
 
1 Gli stemmi del Regno di Gerusalemme e del Regno d’Ungheria, sono presenti perché gli Aragonesi rivendicavano la continuità istituzionale del Regno Angioino sin dal 1282, anno di proclamazione di Pietro d’Aragona a I re di Sicilia. Il Regno di Gerusalemme, Carlo I d’Angiò lo acquistò da Maria d'Antiochia, figlia di Boemondo VI d’Antiochia, nel 1277. Il titolo e lo scudo di Re d’Ungheria, gli Angioini lo aggiunsero a partire da Carlo III d’Angiò-Durazzo detto il Breve (1345-1386), che fu incoronato re d'Ungheria nel 1385.

Gaetano Masuzzo/cronarmerina.it

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Edicola n. 20

 
L'Edicola Votiva n. 20 si trova proprio sulla grande vasca (b'v'ratura) alimentata dai vicini 4 canali della famosa Fontana dei Canali nell'omonimo quartiere. E' relativamente recente, in mosaico è dedicata alla Patrona di Piazza Maria SS. delle Vittorie e, guardando bene la dimensione del viso, si potrebbe dire che si rifà alla Madonna da Facciranna, una volta venerata al Monte nei pressi della via Milazzo, come ho ricordato nell'Edicola n. 18. Il suo sito si trova a metà strada tra i 4 canali, sempre rigogliosamente sgorganti d'acqua (io me li ricordo sempre così), che i più assidui ritengono modda, e l'antico lavatoio di cui si servivano le donne prima della lavatrici automatiche. E' tenuta benissimo e anche per questo è spesso fotografata dai turisti, che si avvicinano prima ai canali e poi la vedono sulla lunga vasca, tenuta ultimamente più pulita degli anni scorsi. 
 
Gaetano Masuzzo/cronarmerina     
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Fontanella Biblioteca Comunale/n. 13

 
La n. 13 è la Fontanella della Biblioteca Comunale. Quando frequentavo la Scuola Media "Luigi Capuana" nei lontani anni 60, già dissetava i giovani studenti specialmente durante le ricreazioni, tra un panino e, raramente, un'aracina (a me piace al femminile) del sig. Santangelo. La funzione dispensatrice d'acqua zampillante, la svolgeva egregiamente anche durante le ore di ed. fisica col prof. Mercato e quando c'era il cinema all'aperto in estate. I b'vùti! Dopo aver spazzolato l'ennesima mafalda cu a cotoletta no menzu, rimasta a pranzo la domenica! Noi ragazzi non ci rendevamo conto cosa fosse stato in passato quel cortile, che ci vedeva scorrazzare in tutte le direzioni come forsennati. Da quattro secoli era il chiostro del Collegio dei Padri Gesuiti. Nato nel 1605 come Casa Professa, dieci anni dopo (1615) fu trasformato in Collegio  tra i più prestigiosi della Sicilia. Quasi alla fine del XVII secolo (1689) il Collegio divenne Seminario chiamato anche Studio Generale o Università degli Studi, con corsi di Filosofia e Teologia. Si studiava nei primi 3 anni anche chimica, astrologia, fisica, logica, metafisica e al termine si veniva chiamati maestri d'arte, abili a esercitare l'arte o la professione. Oppure ci si poteva iscrivere al corso successivo di 4 anni di Studia Superiora per conseguire il Dottorato in Teologia, altrimenti si poteva frequentare le facoltà di medicina e giurisprudenza, ma in altre università, a Catania, o chi poteva permetterselo, in Continente. 
Perciò, pensate quante ne ha viste questa fontanella, ovviamente non proprio questa, perché è stata rinnovata in ghisa di recente, ma quella precedente in graniglia e quella ancora prima, e ancora prima, e così via, sino a quattrocento anni fa! 

cronarmerina.t

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Carnevale 1877 - Traduzione "du sdìrri"

 
Corteo carnevalesco siciliano a metà Novecento
Due anni fa, nel post "1877 Carnevale del poeta Roccella" del 7 febb. 2013, Vi avevo proposto la lettura della poesia in gallo-italico L'urt'm giörn d' Carr'vèr di un nostro concittadino, il notaio Remigio Roccella (1819-1916), dove ci spiegava come si vestivano i nostri antenati nel Carnevale di 138anni fa.
Ci si apprestava a trascorrere l'ultimo giorno della festa, chiamato dai Ciaccësi "sdìrri"*, senza tanti fronzoli e tante prestese, vestendosi alla buona per imitare paesani e artigiani indigenti che avrebbero provocato ilarità e divertimento, senza cattiveria, almeno per un giorno. Per farvela meglio apprezzare oggi Vi propongo la mia traduzione.
 

L'ULTIMO GIORNO DI CARNEVALE

... E pensarono di andarci mascherati 
così vestendosi:
Biagio, Pulcinella,
uscendosi di fuori la camicetta,
ch'era sporca 
lorda e sudicia
nell'orletto;
e non avendo niente per cappello,
si fece una berrettina
con due pezzi di vecchia garza mussolina.
 
E Mario si vestì di Santiliporti**
prendendo in mano 
 forme e gambali in una sporta.
Si mise una giubba
coi gomiti rattoppati
un paio di vecchie scarpe
di qua e di là sfondate;
e si mise un cappello senza fondo
davvero un pover'uomo sembrando.
 
Antonio, ubriaco sin sulle ciglia,
si fece calderaio.
 
Vito con sua moglie
mettendosi erba intrecciata per capelli,
si vestirono di ripara brocche;
e prendendo piatti rotti
pentole, boccali e orci,
barili, imbuti, catini
ornali e tegamini,
riempirono sino all'orlo quattro cestini.
 
Dopo, col fumo si tinsero le guance
strofinando le mani nel fondo d'una pentola
e saltando e ballando, a quattro colpi
si gettarono sulla via...
 
Remigio Roccella 
 
*Forse da sdunare = impazzire o da sdiliriu = forte frenesia, esaltazione, entusiasmo, eccitazione.
**E' il cognome di un calzolaio indigente di cui aveva già fatto una poesia.

Gaetano Masuzzo/cronarmerina

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Uno dei due stemmi in Biblioteca

 
Questo è uno dei due bellissimi stemmi affissi lungo il portico di ovest della Biblioteca Comunale che, senza alcun dubbio, sono tra i più importanti nella nostra storia cittadina. 
Scolpito nel marmo bianco, riporta una lista (o nastro) con la data MCCCCCIIII PRIMO DECEMBRIS (1 Dic. 1504) che sovrasta uno scudo col nome di Ferdinando II (re d'Aragona detto il Cattolico, 1452-1516) dal 1468 Siciliae Rex (Re di Sicilia). Sulla "M" si notano quattro fori che dovevano servire ad accogliere un fregio, in metallo più o meno prezioso, per risaltarla. Le due scritte sono divise da una banda col Leone rampante in basso rilievo simbolo del regno di León, regno originario, insieme a quello della Castiglia, della casata Trastámara a cui apparteneva Ferdinando.
Non sono riuscito a collegare la data 1504 con qualche avvenimento importante, accaduto nella nostra Città in quel periodo, che ne giustificasse l'esistenza, pertanto potrebbe rappresentare semplicemente la conferma dell'autorità regale spagnola-aragonese nel nostro territorio nell'anno della proclamazione di Ferdinando a II re di Sicilia e III re di Napoli, ovviamente col beneplacito di papa Giulio II che lo dichiara Re Cattolico (in spagnolo Rey Católico). In effetti la presenza aragonese in Sicilia era ormai secolare (222 anni per la precisione) dato che era iniziata nel 1282, anno della Rivoluzione del Vespro contro il fiscalismo e la prepotenza dei Francesi-Angioini. Ma il governo degli Spagnoli-Aragonesi non sarebbe stato più leggero e sopportabile, anzi.
Il sito originario era sicuramente un altro, visto che il Collegio fu eretto nei primi anni del Seicento. Quindi doveva fare bella mostra o al Castello Aragonese costruito nel 1392 da un suo predecessore, Martino I re di Sicilia detto il Giovane, o in una delle tante porte (ne ho individuate almeno 7) della nostra Città Demaniale che allora veniva chiamata Plaza o Pulice e contava ben 9.000 abitanti. Il Re Cattolico qualche anno più tardi, nel 1512, ci "regalerà" l'istituzione anche da noi del Tribunale dell'Inquisizione retto da un Commissario Domenicano, coadiuvato da 20 collaboratori chiamati Familiari o Impiegati, con sede probabile presso il Convento dei Domenicani poi Seminario Vescovile.

Gaetano Masuzzo/cronarmerina.it

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