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Peccato! In evidenza

U zzù P'nùzzu

E' bastato averlo incontrato una sera di quest'estate alla villetta Cascino di Piazza Armerina, per far venire a galla i ricordi d'una vita. Sedersi sulla panchina uno accanto all'altra, raccontarsi e fermare il casuale incontro in uno scatto fotografico, è stato piacevole pu zzù P'nùzzu e per l'autrice, che ancora lo ringrazia scrivendo di lui.

Damàgg!

U truvàva s’tàit sövra u bastiöngh da Cummènna,
facciafrönt a crèsgia d Sant Stef’nu.
Cam’sgèdda a r’ghetti celèst e biànchi
g’lècch grìsgett, càuzzi blù tantìcchia rànni.
Ntâ so fàcci bedda tunnià,
br’llàv’nu döi òggi sèmpr allègri e fùrbi.
Purtàva cavègghi curti tagghiàit a spàzzula,
èr’nu nèri ma a ogn ann ch’passàva
d’v’ntàv’nu tantìcchia ciù biànchi.
N’tèrra, v’sgingh a ièu, st’nncchiàda na mapìna
unna ggh’era ogn’ béngh d Dèu.
Aöi, mazzètti d’ c’curiöngh appèna cugghiù,
nàutr giörn putév’nu ess ravanàstri,
sanacciöli, amàreddi, ompùru f’nuggétti.
Quànn pöi era a vòta du righ’n
u sciör d cö bèi mazzétti
s’ s’ntèva p’ tutt’ Sant Stef’nu.
E chi b’ddézza èr’nu i munz’ddètti di babaluccèddi
ch’ cèrti vòti jé truvàva sövra a mapìna,
pàrev’nu prònti p’ess v’nnù pròpiu a mì.  
Sc’nènn da Cummènna (ddöh stöi jè d’ casa n’l’està)
era obl’gatòri f’rmè ’m no zzù P’nùzzu
p’ cattèggh’ ‘ncòch còsa
‘mpùru s’ jé nan avéa d b’sògn.
Niàuti nan fùmu mai l’ungh ch’ v’nnea e l’autra ch’cattàva
p’rchì oramài, cu passè d’l’anni,
fra mi e u zzù P’nùzzu aveà na’sciùit
‘na s’mpatìa e n’am’cìzia s’nzèra
ch’ sulu u to paìs pò fè nàsc accuscì fòrt.
Er’mu döi paisài ch’ s’ saluev’nu a fìngh d’l’està
e s’ r’vdèv’nu a fìngh ottövr,
quànn jè e mi marì turnöma a Ciàzza
pa fèsta d’Ognissanti.
‘Mpùru iéddu però ogn tant s’ fasgèva ‘n viaggètt
e cianàva ntê mi bànni, a Torino,
p’ v’nì a truvé so figgh.
Turnàit a Ciàzza, truvàva u zzù P’nùzzu
s’tàit ddà, o sòl’t post.
A v’rdùredda cangiàva securnànn i stasgiöi
ma a d’l’catèzza e a s’mpatìa du zzù P’nuzzu
era sèmpr a stìssa.
Ma pöi venn dda giurnàda
e tant’autri ancöra
ch’u zzù P’nùzzu nan s’v’nèa a s’tè ciù sövra u bastiöngh.
U p’rchì mu cuntà iéu stìss
ddu giörn ch’ sc’nènn da Cummènna
u vìtti s’tàit arréra còm na vòta o sòl’t post.
O so sciànch però nan ggh’avèa a mapìna
ca v’rdùredda, né righ’n, né babalucèddi.
Ntê so oggi, no méntr ch’ n’ dèv’mu a màngh p’ saluer’n
vìtti lucc’ché na ddàrma
intànt ch’d’sgèva:
<<Sign cuntènt d r’ved’la s’gnù,
ma ggh’hòi ‘ncudògn zza...
Sign d’spiasgiù ch’ nan ggh pozz purtè ciù
ddi bèddi còsi ch’ ggh piasgév’nu!
Còm pozz anné a pè ‘n campàgna
a cöggh v’rdùra e a z’rchè babaluccèddi
öra ch’ ‘ncòch m’saràbu bastàs
m’ha rubàit a bedda lapa?
Damàgg!>>.

Rosalba Termini, settembre 2016
                                                                           
Traduzione

Peccato!
Lo trovavo seduto sopra il muretto della Commenda,
di fronte alla chiesa di Santo Stefano.
Camicetta a righe celesti e bianche
gilè grigetto, pantaloni blu un tantino larghi.
Nella sua faccia bella rotonda,
brillavano due occhi sempre allegri e furbi.
Portava capelli corti tagliati a spazzola,
erano neri ma ad ogni anno che passava
diventavano un po’ più bianchi.
A terra, vicino a lui, distesa una tovaglietta
dove c’era ogni ben di Dio.
Oggi, mazzetti di cicorione appena raccolto,
un altro giorno potevano essere “ravanastri”,
“sanaccioli”, ”amareddi”, oppure finocchietti.
Quando poi era la volta dell’origano
il profumo di quei bei mazzetti
si sentiva per tutto Santo Stefano.
E che bellezza erano i mucchietti di lumachine
che certe volte trovavo sulla tovaglietta,
sembravano pronte per essere vendute proprio a me.
Scendendo dalla Commenda (abito lì in estate)
era obbligatorio fermarmi dallo zio Giuseppe
per comprare qualcosa, a
anche se non ne avevo bisogno.
Noi non eravamo mai l’uno che vendeva e l’altra che comprava
perché ormai, col passare degli anni,
fra me e zio Giuseppe era nata
una simpatia e un’amicizia sincera
che solo il tuo paese può far nascere così forte.
Eravamo due paesani che si salutavano alla fine dell’estate
e si rivedevano a fine ottobre,
quando io e mio marito torniamo a Piazza
per la festa dei defunti.
Pure lui però ogni tanto faceva un viaggetto
e veniva su dalle mie parti, a Torino,
per venire a trovare suo figlio.
Tornata a Piazza, trovavo lo zio Giuseppe
seduto là, al solito posto.
La verdura cambiava col susseguirsi delle stagioni
ma la delicatezza e la simpatia di zio Giuseppe
era sempre la stessa.
Ma poi venne un giorno
e tanti altri ancora
che zio Giuseppe non veniva a sedersi più sul muretto.
Il perché me lo raccontò lui stesso
quel giorno che scendendo dalla Commenda
lo vidi seduto di nuovo
come una volta al solito posto.
Al suo fianco però non aveva la tovaglietta
con la verdura, nè origano, nè lumachine.
Nei suoi occhi, mentre ci davamo la mano per salutarci,
vidi luccicare una lacrima
mentre diceva:
<<Sono contento di rivederla signora
ma ho un nodo alla gola...
Sono dispiaciuto che non le posso portare più
quelle belle cose che le piacevano!
Come posso andare a piedi in campagna
a raccogliere verdura e a cercare lumachine
ora che qualche miserabile
mi ha rubato la bella Ape?
Peccato!>>.
Rosalba Termini

cronarmerina.it

Commenti  

0 #11 Marcelino 2019-02-07 21:24
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-1 #9 fedora 2016-10-05 20:35
Tanto dolce la descrizione du zzù P'nùzzu quanto amaro il finale.
" Ladri, restituite l'Ape allo zio!!"
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-1 #8 SempreLui 2016-10-05 07:26
Concordo perfettamente con Gaetano.
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-3 #7 Gaetano 2016-10-05 06:57
Bene. Dopo aver pubblicato integralmente i vostri commenti, mi sembra che a poco a poco l'attenzione si sia spostata verso altri lidi, che nulla hanno a che vedere con la poesia in se stessa. Penso di far cosa gradita alla poetessa, riportare i lettori sul binario poetico-artistico che offre altri spunti più nobili e sentimentali. Questo appunto per agevolare chi volesse avvicinarsi alla poesia in generale e al difficile galloitalico in particolare.
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0 #6 Tex Willer 2016-10-04 20:44
Non si tratta proprio di una questione di pelo. Basta semplicemente aprire il vocabolario Sabatini Coletti o un altro a scelta, per leggere ed apprendere che spiccicare e spiaccicare hanno significati diametralmente opposti; il primo significa separare cose tra loro attaccate (l'esatto opposto di quello che intendeva dire il Signore del Nord) il secondo, invece, schiacciare, spappolare. Noi dell'Accademia Linguistica N.S.S. teniamo molto al rispetto della preziosissima lingua italiana sperando che anche gli altri facciano lo stesso. Non si può pretendere di conservare l'idioma gallo-italico e "stuprare" la lingua italiana.
Questo, come avrete capito cari censori, non è una semplice questione di pelo (come direbbe Cetto Laqualunque) ma di riguardo alla bellissima e difficilissima lingua italiana. Of course, gentilissimo Signore del Nord, lei avrà colto sorridendo, lo spirito dell'osservazione e, per questo, la riverisco.
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-3 #5 SempreLui 2016-10-04 12:55
Riprendendo quanto detto dalla signora Rosa Terranova, "spiccicarsi o spiaccicarsi" aveva sempre attinenza con il testo della poesia, mentre Mister Tex Willer è andato "fuori tema" ed ha solo voluto cercare il "pelo nell'uovo" o "u pilu n' l'ovi".
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-3 #4 rosa terranova 2016-10-04 07:24
Spiccicarsi o spiaccicarsi cosa cambia? il concetto è sempre quello : la disonestà delle persone che ,come ben detto, hanno privato un povero anziano non solo delle sue seconde gambe, ma della stessa ragione di vita, poichè facendo quel "mestiere" lui si realizzava non tanto per il profitto, ma soprattutto per le relazioni umane che intratteneva con gli " amici" compratori . Il signore Tex Willer faccia meno il maestrino !
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-1 #3 Tex Willer 2016-10-03 18:18
Egregio Signore del Nord, spiccicarsi o spiaccicarsi? This is the question, come suol dirsi dalle nostre parti, nel profondo West. E il suo aplomb britisc che fine ha fatto? Avverto un voluttuoso disegno sanguinario che stona col suo lignaggio, sbaglio?
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0 #2 Giusy Costa 2016-10-03 16:50
Tenerissima la descrizione. In ogni paese ci sono zii Giuseppe legati a doppio filo alle corde dell'anima. Sei stata bravissima nel finale, quando descrivi il dolore di un anziano derubato delle sue seconde gambe. Hai reso egregiamente il vissuto con poche pennellate di tristezza. Giusy C.
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