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Gaetano Masuzzo

Gaetano Masuzzo

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Fontanella Villa Ciancio/n. 4

 
Questa fontanella in ghisa è quella della Villa Ciancio, chiamata così perché intitolata al generale della I Guerra Mondiale, il piazzese Giuseppe Ciancio (1858-1932). La villa ancora nell'Ottocento non c'era perché al suo posto c'era 'nvaddöngh sulla sommità del quale, secoli prima, erano state costruite le antiche mura della Città (Torre Patrisanto etc.). In questa valle c'era l'antica chiesetta dedicata a Santa Maria dell'Udienza che, successivamente, venne demolita per riempirla, eliminado così la forte pendenza. Negli anni 20 la villetta chiamata Francesco Crispi risulta ancora senza recinzione e quando questa viene fatta prende il nome di Giardino delle Rose. Tutti però la conosciamo come Villetta Roma, perché si estende lungo tutto il primo tratto dell'ex via ferrerìa o f'rrarìa, chiamata così perché prima c'erano molte officine d' f'rràri (fabbri) e 'nfèrrascècchi (maniscalchi). Questa via, ormai divenuta solo di passaggio, prima era tra le più frequentate perché piena di botteghe, negozi e attività artigiane. I motivi erano molteplici. Era la via che, per chi proveniva dalle località a sud della provincia, portava subito al centro della Città (allora Piazza Garibaldi) e poi al quartiere Monte, che comprendeva la Cattedrale, l'Ospedale e il Carcere (Castello Aragonese), oltre alle tante scuole e numerosi monasteri. L'esposizione 'nfàcci sö (al sole) era assicurata per gran parte della giornata e risultava molto importante in inverno, tutto ciò consentiva agli artigiani di lavorare all'aperto senza spreco di elettricità (mancante sino ai primi anni del '900). Inoltre, quello che faceva la differenza rispetto alle altre vie, era la larghezza della strada e del marciapiede, molto rilevanti per l'esercizio delle attività e l'esposizione dei manufatti. Anche per questi motivi la via Roma è stata la sede per diversi anni della fiera annuale. La fontanella sino agli anni '60 era molto frequentata da giovani e meno giovani, perché non in tutte le abitazioni c'era l'acqua corrente e specie in estate era comoda p' p'gghiè 'na buccàda d'égua frésca!
Gaetano Masuzzo/cronarmerina.it

Giovanni Giudice, marmista / 2

La famiglia di Giovanni Giudice negli anni '30

 Il nipote Carmelo Nigrelli ricorda

2^ Parte

 
Durante la II Guerra Mondiale, nella bottega di mio nonno (n.d.r. Giovanni Giudice) in via Mazzini¹, dietro una enorme lastra di marmo, un piccolo gruppo di antifascisti ascoltava Radio Londra. Nella primavera 1943 su questa lastra erano incise le parole: "A Valfredo Carducci, fratello del poeta, maestro di Benito Mussolini, Piazza Armerina, morto in questa casa il 30 aprile 1919"² che era stata commissionata dal podestà e doveva essere collocata sulla facciata della casa in via Mazzini. Il gruppo di antifascisti che ascoltava Radio Londra era formato da cinque o sei persone: il ferroviere Di Marco, palermitano, insieme al fratello ingegnere e inventore di un modello di motosilurante MAS, licenziato perché antifascista; un altro ferroviere, tappezziere, catanese³; un ufficiale dell'esercito di stanza presso la polveriera, anch'egli palermitano. Mio zio Totuccio, che aveva 14 anni4, stava sulla porta come vedetta. Un altro gruppo, tutto di piazzesi, si riuniva presso la farmacia Salemi, ospite del dott. Gino. Nel giugno 1943, il più temuto caposquadra della milizia fascista, Totò Russo, andò da mio nonno e gli disse che negli uffici c'era un documento che lo riguardava e che, da lì a poco, lo avrebbero potuto mandare lontano dalla città. Lo aveva voluto avvertire, rispettandolo pur se di idee antifasciste, che stava per essere inviato al confino. Mio nonno rispose: "Qualunque cosa le abbiano detto di me, si ricordi che io, qui, faccio solo il marmista". Per fortuna, poche settimane dopo, arrivarono i canadesi e gli americani che il 10 luglio erano sbarcati a Gela. Carmelo Nigrelli
 
¹ Il Giudice ebbe due botteghe in via Mazzini, la prima al n. 72, dove oggi c'è un macellaio, la seconda al n. 73, oggi negozio di Ceramiche Vitali. Mio padre Gino Masuzzo, falegname, lo conobbe perché acquistava le lastre di marmo da mettere sui comodini delle camere da letto e, quando aveva il negozio di ferramenta in via Garibaldi 11, il marmista, ormai pensionato, spesso lo andava a trovare per scambiare quattro chiacchiere tra una presa e l'altra di tabacco. Inoltre il Giudice fu il marmista che negli anni '30 trasferì l'altare dell'ex chiesa di Sant'Agata (al Monte) in Cattedrale, ricomponendolo nella navata di sinistra accanto all'entrata della sagrestia. 
² A tal proposito leggere tra le "RICERCHE STORICHE" di questo blog i 4 post sulla Famiglia Carducci a Piazza dal 31 ottobre 2013. 
³ Era addetto a rivestire di velluto i sedili delle carrozze di I Classe e mio padre Gino Masuzzo mi ha precisato che si chiamava Spinelli. 
4 Era figlioccio di battesimo di mio nonno materno, poeta-falegname Gaetano Marino Albanese (1889-1958), per questo motivo col marmista Giudice si chiamavano compari. (tra i commenti arrivati c'è quello del 12/5/2014 del nipote Carmelo, dove ci precisa che non si trattava del battesimo ma della cresima).

Gaetano Masuzzo/cronarmerina.it

Giovanni Giudice, marmista / 1

Giovanni Giudice, 1897-1966

  Il nipote Carmelo Nigrelli ricorda

1^ Parte


Oggi, 25 aprile 2014, voglio raccontare una storia vera di famiglia. Mio nonno Giovanni Giudice, classe 1897, palermitano, venne a Piazza alla fine del 1924 insieme al maestro Andrea Manzella. Lo scultore palermitano aveva ricevuto l'incarico di realizzare il monumento ai caduti da collocare in piazza Umberto I, ai piedi della chiesa di S. Stefano*. Mio nonno era stato allievo di Manzella all'istituto d'arte di Palermo e il maestro lo aveva voluto con sé in bottega. Poi, a diciannove anni, con il grado di caporale, era partito per il Carso (vi mostro la foto fatta prima di partire per il fronte e destinata a essere collocata sulla tomba). Durante l'undicesima battaglia dell'Isonzo, sull'altipiano della Bainsizza, in Slovenia, nell'agosto 1917, era stato preso prigioniero e portato in Germania a Francoforte sull'Oder, dove sarebbe rimasto due anni. Tornato a Palermo aveva cominciato a lavorare con il maestro Manzella. A Piazza coordinò i lavori di costruzione del Monumento ai Caduti della I Guerra Mondiale e poi decise di trattenersi perché ebbe l'incarico da parte di diverse famiglie nobili locali, per la costruzione di cappelle gentilizie, spesso firmate da progettisti, ma progettate e realizzate da mio nonno Giovanni Giudice. Il 26 dicembre 1925 sposò, a Palermo, mia nonna, Francesca Ferbo, che rimase ad abitare nella capitale ancora per cinque o sei anni, venendo a Piazza di tanto in tanto con i figli (mia mamma nata nel 1927, mio zio Totuccio nato nel 1929 e mi a zia Anna nata nel 1932). Mio nonno era socialista e, forse, lo era diventato proprio nelle tronche del Carso. Lo sapevano tutti a Piazza. Nel 1933 la famiglia si trasferì definitivamente a Piazza, andando a vivere in una casa acquistata alla Castellina. Nella primavera del 1940 mio nonno realizzò il monumento al gen.le Antonio Cascino su progetto dell'arch. Domenico Roccella, morto a Roma pochi anni dopo, con le sculture di Giandomenico de Marchis. (continua)

*Poi chiamata Piano Duilio, oggi Piazzale Litterio Villari.
Gaetano Masuzzo/cronarmerina

 

Piano Duilio diventa Piazzale Villari

Laura Saffila, Riccardo e Pierluigi Villari, Filippo Miroddi*

Ieri tra le iniziative dell'Amministrazione Comunale per ricordare la Festa della Liberazione dal nazifascismo, c'è stata quella della nuova intitolazione del Piano Duilio a Litterio Villari. Generale Ispettore dell'Esercito Italiano, il Villari, nato a Piazza Armerina nel 1921 e morto a Roma nel 2004, è ricordato soprattutto come Storico Piazzese che con le sue 60 opere, 9 commemorazioni e 14 conferenze, ha studiato, approfondito, svelato e divulgato la storia millenaria della nostra Città. Per chi volesse approfondire la sua biografia può consultare i post sul Gen.le Litterio Villari.

cronarmerina.it

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