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Cronarmerina - Domenica, 16 Giugno 2024

Madonna degli Angeli ai Cappuccini

Fra' Cosimo da Castelfranco Veneto alias Paolo Piazza (1560-1620), Madonna degli Angeli, 1612 ca., Piazza Armerina, Chiesa Madonna delle Grazie o dei Cappuccini

A Piazza Armerina nella chiesa del convento dei frati Cappuccini, intitolata alla Madonna delle Grazie, è esposto un grande quadro sull’altare maggiore. La prima pietra per la costruzione del convento nei pressi della già esistente chiesetta della Madonna delle Grazie, nel piano che poi (dal 1695) sarà chiamato Sant’Ippolito, fu posta nel 1603 dal grande teologo e oratore, nonché ministro generale dei Cappuccini, San Lorenzo da Brindisi (Brindisi 1559-Lisbona 1619). Tre anni dopo i Cappuccini poterono stabilirsi nel nuovo convento che, ben presto, acquisì fama di perfetta osservanza e di studi. Tra il 1612 e il 1614, da Roma, il maestro pittore cappuccino fra’ Cosimo da Castelfranco Veneto, mandò le sue pale d’altare nelle chiese cappuccine d’Italia, ed è da supporre che proprio in quel lasso di tempo abbia inviato a Piazza Armerina la pala della Madonna degli Angeli. Era stato Paolo V (Camillo Borghese), papa dal 1605, a chiamare a Roma, nel 1611, fra’ Cosimo, perché applicasse alla pittura le decisioni riformatrici tridentine: le arti figurative erano state reputate dai teologi di efficacia narrativa e mnemonica superiore alla parola scritta, diventando il principale strumento di propaganda del prestigio della Chiesa. Prima di diventare frate nel 1597 e sacerdote nel 1601, Cosimo da Castelfranco era conosciuto come Paolo Piazza, nato a Castelfranco Veneto (Tv) nel 1560, artista affermatissimo nell’Italia centrale, settentrionale e in Europa ed esponente di spicco della pittura veneta tra i secoli XVI e XVII. Dopo aver lavorato per l’alta aristocrazia veneziana e aver girato l’Europa, accogliendo varie suggestioni culturali, tra le quali quelle di Giuseppe Arcimboldi (1527-1593) pittore ufficiale della corte a Praga e a Vienna,  fra’ Cosimo fu chiamato a Roma dal Papa, dove divenne il pittore delle chiese cappuccine sino al 1616, quando si trasferì per alcuni lavori a Terni, ad Amelia e a Foligno, per poi, nel 1618, tornare a Roma e, quindi, a Castelfranco. Nel 1620 morì a Venezia.
Il grande quadro di Piazza Armerina, dedicato alla Madonna degli Angeli, è l’evoluzione finale dell’Odigitria, cioè di una famosa icona bizantina dipinta da San Luca, che era stata inviata da Gerusalemme a Costantinopoli quale dono dell’imperatrice Eudossia, moglie di Teodosio II (408-450), a sua cognata, e che durante le persecuzioni iconoclaste fu gettata in mare da dove gli angeli la recuperarono. Sarà la stessa immagine che nell’VIII sec., durante l’assedio saraceno della capitale bizantina, due monaci bizantini porteranno in processione in riva al mare mettendo in fuga gli assalitori. La flotta poi fu prodigiosamente sommersa dai flutti di un’improvvisa tempesta marina e la popolazione fu salva. Il modello iniziale dell’immagine, portata in Sicilia da soldati siciliani di stanza a Costantinopoli al servizio dell’imperatore, che immortalava l’episodio con l’Odigitria posta in una cassa e portata sulle spalle da due Angeli, subì diverse trasformazioni prima con gli Angeli sostituiti da due Calojeri, monaci basiliani barbuti, poi con  i monaci assieme a due santi, gli angeli musici senza santi, i monaci con santi e coro celeste, sino allo schema con gli angeli musici ai lati della Vergine in trono e santi nella parte inferiore. Quest’ultima trasformazione fu quella che si diffuse maggiormente, divenendo lo schema canonico definitivo in Sicilia, al quale fra’ Cosimo da Castelfranco, alias Paolo Piazza, non volle sottrarsi.
Nella pala che si trova nella chiesa di Piazza Armerina vediamo in alto la Vergine che tiene in grembo Gesù Bambino, circondata sul capo, ai piedi e ai fianchi da angioletti festanti; un po’ discosti, uno a destra e l’altro a sinistra, vi sono due angeli musici. Lo spazio della parte inferiore del dipinto è diviso dal segno iconografico di due rami di palma, che tracciano quasi un semicerchio, che separa il Paradiso dalla terra. A destra della Vergine (a sx per chi guarda) c’è Sant’Ippolito martire, il cui attributo è appunto la palma, vestito da ufficiale romano. Accanto a Sant’Ippolito c’è San Francesco, per l’ovvio motivo che ci troviamo in una chiesa francescana. Inginocchiato accanto a San Francesco c’è San Giovanni Battista, come conferma del suo legame col Cristo, al punto che il cristiano non può pensare l’uno senza l’altro. Alla sinistra della Vergine (a dx per chi guarda) vi è Santa Caterina di Alessandria, martire anch’essa fornita del ramo di palma, che riveste un ruolo importante nella vita degli Ordini religiosi (Benedettini, Mendicanti e Agostiniani). Accanto alla Santa è raffigurato Sant’Antonio di Padova e davanti, seduto, appare San Girolamo, la cui presenza è spiegabile alla luce del clima controriformistico e al legame tra Sacre Scritture e vita ascetica. Ai piedi della Vergine, tra i santi Giovanni Battista e Girolamo, l’opera evidenzia la presenza di due angioletti, che offrono alla Madonna su un vassoio, la miniatura della città di Piazza Armerina in quei primi anni del Seicento¹, la cui pianta sarà stata inviata a Roma al pittore come bozzetto per la realizzazione di una grande torta architettonica, espediente che il Piazza aveva adottato anche in qualche tela a Praga. Il Piazza in questo quadro, che ha sicuramente bisogno di un restauro per poter ammirare i colori originali, si rivela uomo di talento, ma la sua fama dopo la morte si attenuò fino a che sbiadì il ricordo del suo nome. Soltanto nel 1936 il nome e l’opera di paolo Piazza torneranno alla ribalta della storia artistica, allorché il cappuccino padre Davide da Portogruaro pubblica una piccola monografia sull’artista, che firmava le sue opere o col suo nome e cognome per esteso o con quattro P. = P.P.P.P. (Paulus Piazza Pictor Pinxit).  (Tratto da Vittorio MALFA AMARANTE, La pala della Madonna degli angeli di fra Cosimo da Castelfranco a Piazza Armerina, in Archivio Storico della Sicilia Centro Meridionale, Rivista Società di Storia Patria Sicilia Centro Meridionale, Anno II, N. 3-4, Assoro 2015, pp. 148-151)

¹ È la prima delle due vedute della città di Piazza Armerina nel Seicento.

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Fontanella via Garibaldi Aidone/n. 23

Nella foto la Fontanella n. 23 del mio censimento. Si trova all'inizio della via Garibaldi ad Aidone, a pochi passi dalla piazza Umberto I, ove ha sede il Palazzo Comunale. Uscendo dal Palazzo, girato l'angolo subito a dx, si trova la fontanella in bella mostra. Questa cittadina ha tante cose che la legano a Piazza, a partire dalla lingua galloitalica. Michele Amari, grande arabista dell'Ottocento, quando riporta le città descritte nel Libro del re Ruggero del geografo arabo Edrisi (1099 ca.- 1165 ca.), ci fa sapere che la cittadina, nella prima metà del XII secolo, già era chiamata Aydùni. Tanti cittadini piazzesi avevano il cognome de Aydono o de Aidone, e il primo ad essere registrato a Placie è il milite P. de Aydona. Si tratta di uno dei 101 militi e nobili piazzesi, ai quali viene inviata, nel gennaio del 1283, la lettera di mobilitazione da re Pietro III d'Aragona (1239-1285), per la guerra contro l'invasione angioina (Guerra del Vespro). E, tra le altre cose, mi piace farvi sapere che Bonafemmina de Aydono, sposata col nobile piazzese Rainaldo de Spervaira, insieme alla figlia Graciona, nel 1334 si prodigano di far costruire la chiesa piazzese intitolata a Sant'Agata, nella zona accanto alla chiesa di Santa Maria Maggiore, attuando così le volontà del figlio di secondo letto Perrone de Deuluvolsi.

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Fontana via Martoglio/n.70

La Fontana nella foto è la n. 70 del mio censimento e si trova in via Martoglio nel quartiere Canali, dietro alle scuole elementari. È molto semplice, di recente costruzione ed eseguita in muratura con l'uso di pietra locale. 

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I Trigona ai Cappuccini

Lapidi di Stefano Trigona (padre) in basso e Felice Trigona (figlio) baroni di Sant'Andrea in alto, Chiesa dei Cappuccini, Piazza Armerina

Sepolcro di Pompeo Trigona barone di Mandrascati, Chiesa dei Cappuccini, Piazza Armerina

Nella chiesa di Maria SS. delle Grazie, annessa al convento dei frati Cappuccini di Piazza Armerina, sono presenti molte lapidi sepolcrali di alcuni piazzesi, appartenenti alle famiglie più nobili della città. Già nel post di qualche settimana fa «Stemma Starrabba/Virgilio ai Cappuccini» avevo parlato di Gaetano Maria Starrabba III principe di Giardinelli (1725-1796) e della moglie Maria Teresa Virgilio (1736-1769). Oggi mi accingo a parlare di tre piazzesi della famiglia Trigona, vissuti tra il Seicento e il Settecento, seppelliti nella chiesa del piano Sant'Ippolito «da dove si domina la città dalla parte meridionale». Qualche anno fa avevo fotografato le due lapidi sepolcrali presenti all'ingresso, nell'entonartece (foto in alto), ma dopo una rapida lettura delle iscrizioni, quasi del tutto consumate, come l'aquila dello stemma centrale dei Trigona, avevo rimandato la ricerca per sapere a chi si riferissero. L'altro giorno, leggendo La Chiesa Cappuccina di Maria SS. delle Grazie a Piazza Armerina tra Storia e Arte del concittadino Vittorio Malfa, vengo a sapere che «la superiore reca il nome del barone Felice Trigona e Parisi, quella in basso il nome di Stefano Trigona»¹. Avendo un po' più di esperienza, rispetto al periodo dello scatto fotografico, ho iniziato l'approfondimento sui due nomi. I due Trigona erano il padre, Stefano Trigona e Costa (De Rodriguez) barone di Sant'Andrea, e il figlio primogenito, Felice Trigona e Parisi, divenuto barone di Sant'Andrea alla morte del padre nel 1771. Il padre di Stefano era Felice Trigona Bonaccolti barone di Budunetto. Stefano, giurato e senatore di Piazza negli anni 1758 e 1761, sposandosi con Marianna Parisi², ebbe quattro figli maschi tra cui il promogenito Felice barone di Sant'Andrea, che poi si sposò con Giuseppa Varisano ed Adonnino, e l'ultimo, Gaetano Maria (1767-1837). Quest'ultimo «fattosi sacerdote, fu celebrato per integrità di vita e nelle missioni, prevosto nel duomo patrio (di Piazza) e nel 1818 prescelto a primo vescovo di Caltagirone, indi nel 1833 fu inalzato ad essere arcivescovo di Palermo e nel 1834 a cardinale di santa Chiesa. Morì attaccato di colera in Palermo nel 1837, chiedendo invano al direttore di polizia il controvveleno per rifuggire la morte». Gaetano Maria, che aveva altri quattro nomi, Giuseppe Benedetto Placido e Vincenzo, è stato l'unico piazzese ad aver indossato la porpora cardinalizia. Infatti, elevato da papa Gregorio XVI al rango di Cardinale nel concistoro del giugno 1834, un mese più tardi fu lo stesso re Ferdinando II a consegnargliela nella Cappella palatina a Palermo. La tomba (foto in basso) del terzo componente della famiglia dei Trigona si trova nel presbiterio in alto a dx. È il sepolcro del concittadino Pompeo Trigona e Trigona (1670-1744) barone di Mandri Rascati (poi Mandrascati) nel 1696. Il padre di Pompeo era Giambattista Trigona e Bubeo, sposatosi nel 1659 con Maria Trigona e Trigona, figlia del marchese di Dainamare, dalla quale ebbe quattro figli oltre al primogenito Pompeo. Ben presto Maria Trigona rimase vedova e nel 1682 riuscì ad acquistare sia la baronia di Gallizzi (nei pressi di Grottacalda) assegnata al figlio Mario, che quella di Mandri Rascati (nei pressi di Valguarnera) che andò a Pompeo nel 1696 assieme a quella di Manni Rosate (dall'inizio del Seicento di proprietà del bisnonno Trajano). Il barone Pompeo sposandosi con Flavia Notarbartolo ebbe nove figli (tre femmine e sei maschi) e sia l'epitaffio sepolcrale che le notizie, tratte dai manoscritti inediti di fine Ottocento sulla Storia di Piazza - Famiglie nobili e Uomini Illustri del concittadino avv. Alceste Roccella (1827-1908), ci ricordano che «fu ritenuto padre dei poveri e della patria» e «fu molto pietoso e del pauperismo unico sollievo. Nelle rigide notti e nelle pubbliche calamità, esso, accompagnato dalle sue persone, provvedea di frumento e denaro le povere famiglie, ordinando ai beneficati scrupoloso silenzio; fu colle orfane beneficente e molte ne alimentò sia pubblicamente che privatamente. Protesse l'operaio con continui lavori e il pubblico bene non mai trascurò. Quando nel 1735 [sic] piamente decesse e la salma veniva trasportata nella chiesa dei Cappuccini, vollero le famiglie riconoscenti accompagnarla all'ultima dimora benedicendo la santa memoria e allora con sorpresa si osservò qual bene avea fatto vivendo l'illustre barone. Il cadavere, dopo splendido funerale, fu sepolto vicino l'altare maggiore».

¹ Vittorio Malfa, La Chiesa Cappuccina di Maria SS. delle Grazie a Piazza Armerina tra Storia e Arte, Archivio Storico della Sicilia Centro Meridionale, Anno I -N. 1 Apr. 2014, p. 121. 

² La famiglia Parisi in quel periodo a Piazza annoverava un Officiale del Monte di Pietà, un Vicario ecclesiastico e un notaio.

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Tutta bella sei ai Cappuccini/3

Madonna di Loreto, 1541, Piazza Armerina, Chiesa Maria SS. delle Grazie o dei Cappuccini

3^ e ultima Parte

(dalla Parte 2^) Tornando al dipinto della Madonna di Loreto nella chiesa di Maria SS. delle Grazie o dei Cappuccini a Piazza Armerina (nella foto), «L'opera, un olio su tavola di pregevole fattura, di bottega siciliana, reca la data 1541 in calce al cartiglio che si srotola al centro della composizione, sotto il trono della Madonna. [...] Il dipinto denota da parte dell'autore un retroterra di raffinata ed elegante cultura di gusto antiquario, nordico, per i dettagli ornamentali quali la decorazione a candelabra delle colonne del tempio, la veste della Madonna impreziosita da un decoro d'oro, le pose manieratamente atteggiate degli angeli avvolti da tuniche eleganti, mollemente avvinte alle colonne, per nulla in contrasto con i poveri sai dei frati, figure sdutte ai lati del trono della Vergine. La visione dello spettatore viene infatti catturata dalla sottile struttura a traforo dell'aureola dorata che dona un tocco di insospettata signorilità alle umili figure laterali. L'eleganza dell'insieme fa pensare quasi a una trasposizione tardo-rinascimentale, in cui si risente l'nfluenza di Gerolamo Alibrandi (detto anche Raffaello da Messina), divulgatore in Sicilia dei caratteri più appariscenti di Leonardo e Raffaello, da lui acquisiti durante i suoi viaggi per tutta l'Italia. Nella tavola si nota una particolare e minuziosa cura del paesaggio alle spalle della Vergine. L'opera, in periodo imprecisato, è stata resecata alla base per far posto all'edicola lignea, che contiene l'effige stante di Gesù Bambino in ceroplastica. Il danno ha modificato in modo irreversibile l'opera pittorica»¹. Considerando che «i Cappuccini si stabilirono in città nel 1538 prendendo dimora in contrada Rambaldo, a 500 metri a nord-est del convento di S. Maria di Gesù, in una modesta casa colonica sita in un piccolo appezzamento di terra, che avevano avuto in concessione dal piazzese Giovanni Filippo Jaci, nei pressi dell'antica Torre di Renda»²; che la comunità abitò qui «sino al 1592 (Chiarandà), anno in cui passò nei locali annessi alla chiesetta della Madonna delle Grazie al piano Sant'Ippolito [chiesetta, quindi, già esitente? ndr], e che venne a Piazza nel 1603 (P. Samuele da Chiaramonte), trasferendosi definitivamente nel nuovo convento nel 1606 (Franchino)»³ sarebbe interessante sapere quale fosse il sito originario del quadro della Madonna di Loreto, datato 1541. E, inoltre, sapere da chi e per quale occasione fu commissionato e installato nella chiesa del convento che, nel giro di pochi decenni, «divenne fra i principali della Provincia francescana, con una ricchissima biblioteca di oltre 3.000 volumi e che ospitò ben nove dei sedici capitoli provinciali celebrati a Piazza»4.      

¹ Vittorio Malfa, La Chiesa di Maria SS. delle Grazie a Piazza Armerina, in Archivio Storico della Sicilia Centro Meridionale, Anno I - N. 1 Aprile 2014, pp.134-135.

² Ivi, p. 119.

³ Ibidem.

4 Ivi, pp. 119-120.

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Tutta bella sei ai Cappuccini/2

Madonna di Loreto, particolare, 1541, Piazza Armerina, Chiesa Maria SS. delle Grazie o dei Cappuccini

2^ Parte

Quello che colpisce maggiormente chi osserva l'opera d'arte, di cui abbiamo parlato nella 1^ Parte, è un CARTIGLIO bianco (nella foto) che si srotola da un'architrave posta tra le prime due colonne di otto, che formano un colonnato che dà profondità all'ingresso della SANTA CASA della Madonna di Loreto. Sul cartiglio si legge una scritta di undici parole e, alla fine, dei numeri che rappresentano l'anno di esecuzione del quadro, 1 5 41 (1541). Le undici parole, intervallate da piccole croci, sono: «TOTA PULCHRA ES AMICA MEA ET MACULA NOΩEST IN TE». Ebbene, esse rappresentano le prime parole dell'antifona gregoriana dedicata a MARIA IMMACOLATA, dove vengono applicati i versetti 7.8.11.10 del Capitolo 4 di 8; e i versetti 11.13 del Capitolo 2 di 8; presi dal CANTICO dei CANTICI, ovvero da un testo, contenuto nella Bibbia ebraica e cristiana e attribuito al re Salomone, che comprende poemi d'amore in forma di dialogo, tra un uomo e una donna, ampiamente riscoperto nel XVI secolo. Questo è il testo completo in latino, seguirà la traduzione italiana: «Tota pulchra es, amica mea, et macula non est in te. Favus distillans labia tua, mel et lac sub lingua tua. Odor unguentorum tuorum super omnia aromata. Iam enim hiems transiit, imber abiit et recessit; flores apparuerunt, vineae florentes odorem dederunt, et vox turturis audita est in terra nostra. Surge, propera, amica mea: veni de Libano, veni, coronaberis» (Tutta bella tu sei, amica mia, e nessuna macchia è in te. Le tue labbra un favo stillante, c'è miele e latte sotto la tua lingua. L'odore dei tuoi profumi sorpassa tutti gli aromi. Ormai l'inverno è passato, è cessata la pioggia, se n'è andata; i fiori sono apparsi nei campi, le viti fiorite spandono fragranza, e la voce della tortora ancora si fa sentire nella nostra campagna. Alzati, affrettati, amica mia: vieni dal Libano, vieni, sarai incoronata). L'antifona TOTA PULCHRA ES celebra tutta la vita di Maria Vergine, esaltadone la bellezza di Immacolata, senza macchia di peccato, sposa dolcissima come miele e profumata pronta per il suo sposo, richiamata dalla morte alla vita, per andare incontro a Cristo in cielo, per essere incoronata regina del cielo. I Francescani, a cui appartengono i Cappuccini, hanno da sempre sostenuto il titolo di Immacolata per la Madre di Dio, considerandola regina e patrona dell'Ordine. Per questo motivo hanno composto il loro canto mariano TOTA PULCHRA, mettendo insieme alcune antifone dei Primi Vespri della festa dell'Immacolata Concezione, tratte dal Cantico dei Cantici e dal libro di Giuditta: «Tota pulchra es, Maria. Et macula originalis non est in Te. Tu gloria Ierusalem. Tu laetitia Israel. Tu honorificentia populi nostri. Tu advocata peccatorum. O Maria, o Maria. Virgo prudentissima. Mater clementissima. Ora pro nobis. Intercede pro nobis. Ad Dominum Iesum Christum» (Tutta bella sei, Maria, e il peccato originale non è in te. Tu sei la gloria di Gerusalemme, tu letizia d’Israele, tu onore del nostro popolo, tu avvocata dei peccatori. O Maria! O Maria! Vergine prudentissima, Madre clementissima, prega per noi, intercedi per noi presso il Signore Gesù Cristo). La prima antifona Tota pulchra es Maria et originalis macula non est in te è tratta dal Cantico dei Cantici (4,7) e la terza Tu gloria Jerusalem, tu letitia Israel, tu honorificentia populi nostri e tratta da Giuditta (15,10): Tutta bella sei, o Maria, e non vi è in Te alcuna macchia. Tu gloria di Gerusalemme, Tu letizia di Israele, Tu onore del nostro popolo. A queste antifone la tradizione francescana ha aggiunto l'invocazione Tu avvocata dei peccatori. O Maria! Prega per noi, intercedi per noi presso il Signore Gesù Cristo. Cantato dai frati francescani, in semplice melodia gregoriana, il canto mariano si è diffuso ininterrottamente tra i fedeli per essere eseguito nelle Chiese e Cattedrali per la novena all’Immacolata. I Francescani, infatti, si sono sempre distinti per la loro particolare devozione alla Vergine Immacolata. Un'ultima considerazione, non per questo meno importante, è la constatazione che in questo quadro mariano di metà Cinquecento è anticipata la concezione post Concilio di Trento (1545-1563) «che - nel dipingere il Mistero Mariano - si deve sempre aggiungere a questo tipo di dipinti l'iscrizione Tota pulchra es, amica mea, poiché la Vergine essendo la creatura più bella creata da Dio, possiede sia la bellezza del corpo che dell'anima»¹. (continua)

¹ Cfr. Francesca Lanza, La Tota pulchra, in L'iconografia dell'Immacolata Concezione a Savona e nel territorio della sua Diocesi, Tesi di Laurea, Università degli Studi di Genova 2015, p. 26.

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Premio Agorà - Novena 2018

La Novena della Castellina 2018

PREMIO AGORÀ NOVENA 2018

Quest'anno le novene, uno dei simboli più importanti che contraddistinguono la società piazzese nel periodo natalizio, sono state oggetto di valutazione per l'assegnazione del «1° Premio Agorà Novena 2018». Sia io che i seguenti membri, Caffarelli, Curcuraci, Lionti, Bonanno e Piazza, siamo stati coinvolti, con piacere aggiungo io, in questo simpatico momento di riscoperta delle nostre tradizioni, dalla ideatrice, nonché finanziatrice del premio, Raffaella Motta, che mi sembra di avere già intravisto tra noi. Le novene sono state 11, dislocate in tutti i quartieri di Piazza. Tutte hanno mostrato il tipico entusiasmo che sta alla base di queste manifestazioni popolari che, lo ricordo, hanno origine sempre in un voto, in una promessa religiosa a Dio e, in questo caso, alla Sacra Famiglia che viene esposta, infatti, nella novena. Quando si parla di voto, ci si può allacciare alle tantissime Edicole Votive presenti ad ogni angolo, più o meno esposto e visibile, della nostra città. Io personalmente ne ho già censite 84, e la commissione del premio Agorà sta valutando di proporre il premio per «l'Edicola Votiva 2019». Tornando alle novene, tra le 11 la commissione ne ha dovuta secegliere una, trattandosi di premio unico, pertanto le altre 10 sono da considerarsi classificate al secondo posto a pari merito. La Commissione da me presieduta, in maniera concorde e senza pregiudizi, valutando l'entusiasmo, il rispetto delle tradizioni, l'attenzione profusa nell'accoglienza dei passanti e dei visitatori, la cura nell'ornamento e nella decorazione e, soprattutto, nella creazione della tipica atmosfera natalizia, ha deciso di premiare, col premio «Agorà Novena 2018» la novena della CASTELLINA. Piazza Armerina, 6 gennaio 2019. Prof. Gaetano Masuzzo

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Tutta bella sei ai Cappuccini/1

Madonna di Loreto, particolare, 1541, Piazza Armerina, Chiesa Maria SS. delle Grazie o dei Cappuccini

1^ Parte

Nella chiesa di Maria SS. delle Grazie dei frati Cappuccini a Piazza Armerina, tra i tanti gioielli, c'è un grande quadro (nella foto) sul secondo altare di dx. Questo quadro rappresenta, e la scritta al centro sotto l'architrave bianca «S M DALORETO» ce lo indica, la MADONNA DI LORETO, che si trova tra «S FRANCISI» (S. Francesco) a sx, e «S ANTONINUS DE PADUA» (Sant'Antonio di Padova) a dx; queste scritte, in latino, si trovano ai piedi dei rispettivi Santi. La Madonna sta seduta sulla SANTA CASA e tra le braccia ha il Bambino Gesù in piedi. Nella mano dx la Madonna tiene un fiore, con la sx sorregge un libro dalla copertina rossa. Il Bambino Gesù, con collana e bracciali rossi, sostiene sulla mano sx una sfera fasciata sormontata da una croce, come segno del mondo su cui Cristo esercita la sua potenza divina. In alto a dx è rappresentato IL CASTELLO DI SANTA MARIA DI LORETO, ovvero l'imponente sistema difensivo sorto a più riprese, in difesa del Santuario della SANTA CASA di Loreto, tra il 1488 e il 1522. A partire dal 1453 infatti, quando i Turchi occuparono Costantinopoli provocando la caduta dell’impero Romano d’Oriente, la presenza mussulmana in Adriatico si fece schiacciante, esigendo la costruzione di architetture capaci di far desistere, con la loro imponenza, le navi turche dallo sbarco. Su incarico di papa Sisto IV in un primo momento e, quindi, su ordine di papa Leone X in un secondo, il Santuario di Loreto fu adeguatamente munito di insuperabili fortificazioni. Questo impressionante sistema militare, che fece della basilica di Loreto l’unica chiesa fortificata del mondo, ebbe in architetti come Baccio Pontelli, Cristoforo Resse da Imola e Antonio da Sangallo il Giovane i propri geni costruttori, che qui applicarono le principali teorie balistiche a cavallo tra Medioevo e Rinascimento. Il Santuario lauretano sorse nel luogo in cui, secondo la leggenda, la dimora a Nazareth della Vergine Maria sarebbe stata trasportata prodigiosamente dagli Angeli nella notte tra il 9 e 10 dicembre del 1294. La convinzione di questa miracolosa traslazione “volante” spinse papa Benedetto XV a nominare la Beata Vergine di Loreto "Patrona di tutti gli aeronautici". La festa liturgica della Madonna di Loreto ricorre il 10 dicembre, in ricordo della data dell’arrivo della SANTA CASA di Nazareth a Loreto. Le origini dell'antica e devota tradizione della traslazione della Casa dalla Palestina alla città marchigiana, risalgono al 1296, quando in una visione, ne era stata indicata l’esistenza e l’autenticità ad un eremita, fra' Paolo della Selva, e da lui riferita alle Autorità. Ciò ci è narrato da una cronaca del 1465, redatta da Pier Giorgio di Tolomei, detto il Teramano, che a sua volta l’aveva desunta da una vecchia tabula consumata, risalente al 1300. Si riportano alcuni passi più significativi, che poi sono stati tramandati nelle narrazioni, più o meno arricchite nei secoli successivi: «L’alma chiesa di santa Maria di Loreto fu camera della casa della gloriosissima Madre del nostro Signore Gesù Cristo… La quale casa fu in una città della Galilea, chiamata Nazaret. E in detta casa nacque la Vergine Maria, qui fu allevata e poi dall’Angelo Gabriele salutata; e finalmente nella stessa camera nutrì Gesù Cristo suo figliuolo… Quindi gli apostoli e discepoli consacrarono quella camera in chiesa, ivi celebrando i divini misteri… Ma dopo che quel popolo di Galilea e di Nazaret abbandonò la fede in Cristo e accettò la fede di Maometto, allora gli Angeli levarono dal suo posto la predetta chiesa e la trasportarono nella Schiavonia, posandola presso un castello chiamato Fiume (1291). Ma lì non fu affatto onorata come si conveniva alla Vergine… Perciò da quel luogo la tolsero nuovamente gli Angeli e la portarono attraverso il mare, nel territorio di Recanati (1294) e la posero in una selva di cui era padrona una gentildonna chiamata Loreta; da qui prese il nome la chiesa, "Santa Maria di Loreta"». Per altri Loreto deriverebbe dal «sito circondato da lauri» nei pressi di Recanati dove, «Fin dal 1193, esisteva una chiesetta chiamata S. Maria in fundo Laureti [...]. La pia leggenda attorno alla Casa di Loreto non trova però suffragio in dati storici»¹. (continua)

¹ Cfr. Vittorio Malfa, La Chiesa Cappuccina di Maria SS. delle Grazie a Piazza Armerina tra Storia e Arte, in Archivio Storico Sicilia Centro Meridionale, Anno I - N° 1 Aprile 2014, pp. 117-137, in part. p. 135.

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Edicola n. 65

L'Edicola Votiva n. 65 si trova in via Don Milani, prima chiamata via Padova. Il cambio di denominazione avvenuto alcuni anni fa, ha creato non pochi disagi agli abitanti. Sarebbe stato più accorto lasciare il nome precedente e dare il nuovo a un'altra via nella parte della città in espansione, a nord e a sud. Infatti, tutti la continuiamo a chiamare via Padova. Anche la targa stradale "Via Padova" non ne vuole sapere del cambio, ancora fa bella mostra sul muro all'angolo delle Scuole elementari di San Pietro. L'edicola si trova sul muro di recinzione accanto all'ingresso di un'abitazione, salendo sulla dx. Nella nicchia chiusa da uno sportello di ferro e vetro, ci sono le tre statuette della Sacra Famiglia e nel complesso è mantenuta in buone condizioni.

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Fontana 2 Torre di Renda/n. 69

Questa è la 2^ Fontana presente nell'Azienda Agrituristica "Torre di Renda". È la fontana con mascherone che abbellisce il bordo della piscina, ma dal tubo in metallo del mascherone non fuoriesce acqua. Nella 1^ Fontana , già nel mio censimento, racconto la storia della zona e parlo dei proprietari dell'Azienda, a pochi chilometri dal centro di Piazza, dal Gran Priorato di Sant'Andrea e dal Convento e Chiesa francescana di Santa Maria di Gesù. 

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