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Gaetano Masuzzo

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Mobili artigianali ed emozioni eterni

 
 
 
 
 
 
Qualche giorno fa mi sono arrivate dal Nord Italia alcune foto relative a un comò, a ciaccësa 'ncantaràngh. A prima vista nulla di particolare, se non un mobile della prima metà del secolo scorso, ancora in ottimo stato che fa bella mostra perché bello sia nella forma, sia nello stile e nel colore, insomma un buon pezzo d'antiquariato. Invece, le foto erano accompagnate da una lettera scritta a mano da una signora di origini piazzesi che, oltre a indicare minuziosamente le misure del mobile, mi segnalava, come le ripetevano spesso in famiglia, che era stato costruito da mio nonno falegname ed ebanista Tatano Marino Albanese (1889-1958), ai più conosciuto come Ciucciuledda (nella foto del 1956). Glielo ricordavano in tante occasioni, soprattutto "quando si parlava della non resistenza dei mobili moderni e prodotti industriali". La signora, forse mia coetanea, continuava facendomi sapere che gli acquirenti erano stati i suoi nonni, sposatisi nel primo decennio del Novecento, ma l'acquisto però potrebbe essere stato a metà degli anni 30, in occasione del loro ultimo trasloco in via Cavour. A questo punto mi rivolgo per saperne di più a mio padre classe 1921, giuv'n falegname nella bottega di mio nonno proprio in quegli anni lontani. Ed ecco le conferme: a casa di mio nonno di quel comò ce n'era un altro simile nella camera di mia mamma da signorina, costruito nella falegnameria di via Roma al n. 108; ricordava benissimo quella famiglia, ma non dei nonni, bensì dei genitori della signora, perché vicini di casa appena sposati nel 1944, lui un signore molto alto, distinto e che vestiva sempre di scuro. Questo è un esempio di come il web, usato con le dovute cautele, possa contribuire a risvegliare ricordi lontani, sia nel tempo che nello spazio, confermandoci, se ce ne fosse stato bisogno, che il lavoro fatto con serietà e competenza, p' na far malif'guri, alla lunga paga più di quelli superficiali e raffazzonati che, per questo, rimarranno anonimi per l'eternità. Infatti, per un artigiano e, quindi, per un parente di questi, non c'è cosa più essenziale e vitale di vedere, con grande soddisfazione, la propria "creatura" immutata e perfettamente funzionante come il giorno d'uscita dal laboratorio, suscitando sempre grandi emozioni, come quelle vissute dalla signora "su quel comò trovavo ogni anno i regali dei morti" e "dalla camera da letto dei nonni passò in quella dei miei genitori, quando i nonni non ci furono più e adesso si gode, resistendo bene, le nebbie del Nord". A nome di tutti gli artigiani seri, competenti e onesti, e dei loro parenti, 
Grazie, Signora del Nord.  
 
Gaetano Masuzzo/cronarmerina           

La Catradali

1605-1767, lavori minori sino al 1884¹
Oggi la prima poesia di tre che il poeta Girolamo Giusto dedica alla nostra maestosa Cattedrale

 LA CATRADALI

Dunni tu trasi trasi colossali,
supra un puntu di Chiazza lu chiù âtu,
la gran viduta di la Catradali
tutta si para all'occhiu tò 'ncantatu.
 
Ma chiù 'mpunenti e chiù monumentali
la fa ddu campanili mintuatu;
e la cùpula poi tant'oru vali
quantu va Chiazza e tuttu lu sò statu.
 
Sta chiesa granniusa ed eleganti
inchi lu celu e pari 'na furtizza
chi pruteggi di Chiazza l'abitanti.
 
S'adura cca Maria di la Vittoria;
sta bedda Chiesa ccu la sò grannizza
nni canta li miraculi e la gloria.
 
 
Girolamo Giusto
(Chiazza li so campagni e la cugghiuta di li nucciddi, Officina Tip. "La Stampa", Catania 1937, p. 22)

¹ I lavori iniziati nel 1605 dall'architetto carrarese Giovanni Maffei, sul progetto redatto in collaborazione con altri due architetti, i messinesi Simone Gullì e Natale Masuccio, proseguiranno molto lentamente sino al 1627, quando verrà confermato, dopo la consultazione di un'altra decina di architetti da tutta Italia, l'architetto di Bracciano (Roma) Orazio Torriani, il quale si servirà dell'opera dei capomastri Cappelletti milanese, Costa messinese e Nicossia catanese. In seguito i lavori saranno diretti da altri architetti e diversi capomastri, sino al definitivo completamento delle scalinate ai tre ingressi nel 1881 e del piano antistante nel 1884. 

(prossima poesia dell'autore: La Cùpula virdi di la Catradali)

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Fontanella Chiostro Sant'Anna/n. 10

Questa fontanella si trova in un angolo di quello che fu il chiostro del Monastero femminile delle Agostiniane di Sant'Anna. La fontanella prima era posta al centro del chiostro che, per molti anni del Novecento, fu il cortile delle Scuole elementari femminili, mentre quelle maschili erano nel plesso Trinità (altro ex Monastero femminile, ma di Benedettine). Nonostante questa separazione, le classi prime dei maschi, come quella mia del 1959 con la maestra Maria Minacapilli in La Cara, frequentavano solo per un anno queste aule e questo cortile sempre ombroso. Prima di diventare il VII Monastero di Agostiniane in Sicilia nel 1642, le suore si riunivano in un Ritiro, chiamato "Ritiro di Donne" e confinante con l'Oratorio di Sant'Anna, fondato nel 1605 nella propria abitazione dal nobile Pietro Calascibetta dei baroni di Cutomino*. Qualche anno più tardi il Ritiro si trasformò in "Ritiro della Congregazione di Santa Brigida" per tenere lontane dalle lusinghe del mondo le donne e le ragazze nobili di Platia e venne riunito all'Oratorio dal nobile Andrea Trigona dei baroni di S. Cono, dietro suggerimento dei dirimpettai Padri Gesuiti. Il Calascibetta era rimasto vedovo con sette figlie e già da qualche anno ne aveva avviato alla vita religiosa tre nel vicino Monastero Benedettino di Sant'Agata, le restanti quattro furono le prime a essere ammesse nel nuovo Ritiro, poi diventato Monastero dietro autorizzazione di papa Urbano VIII. Sia il Trigona che il Calascibetta si fecero sacerdoti avanti negli anni e quest'ultimo entrò anche a far parte della Congregazione Francescana.

*Feudo che si trova a ca. 20 Km. a Sud di Piazza, verso Gela.

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