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Gaetano Masuzzo

Gaetano Masuzzo

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U mastru di baccanu

La ghiandaia o càngh'ragià o carragià
 
 
L' AUCEDDI
 
Merli, marvizzi, chiuppi, turtureddi,
risignoli, cardiddi, pipituni,
e carcarazzi e poi carcarazzeddi,
pizziferri, spriveri e calandruni.
 
Pirnici, riddi, cucchi e quagghiceddi,
e beccafichi, rìnnini e tuduni,
ciàuli, gaddazzi e d'acqua gaddineddi,
"populu bassu" e qualchi ciciruni.
 
Ma nni chisti campagni è lu suvranu
'n auceddu murritusu chi truzzìa
l'armali gridazzeri e cantaturi.
 
Lu carragià ! Gran mastru di baccanu:
abbaja, frisca, canta, gnaulìa...
stu pappagaddu di li Paraturi !
 
Girolamo Giusto
(Chiazza li so campagni e la cugghiuta di li nuciddi, Officina Tip. "La Stampa", Catania 1937, p. 58)
 
(prossima poesia dello stesso autore: Comu si bugghi la pasta)
 
 
 
Gaetano Masuzzo/cronarmerina,it

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La trippa

Il dì dell'Assunta il piazzese pensò di far baldoria, e con due tarì in mano se ne andò in piazza per la carne, che la vedeva ogni cent'anni. Ma gira e cammina, i soldi eran pochi e non gli bastavano neppure per uno stinco; e non sapeva che farsi. Finalmente, vista a un punto una gran trippa appesa all'uncino, tutta verde come la mantella di San Pietro e annuvolata dalle mosche, domandò che fosse; e sentito che non carne era ma trippa mangereccia, e i soldi gli bastavano, se ne fece tagliare una bella falda e mettere in carta.
- Ma - domandò prima d'andarsene, che non lo sapeva - o come si fa cotesta? Cruda o cotta? a brodo o s'ha da arrostire sulla graticola?
Il macellaio a spiegargli come, che doveva essere stracotta, e lui a imbrogliarcisi sempre, e si scordava ogni volta di raschiarla, sicché ci sentiva l'odore del ventre.
- E voi - disse infine spazientito - scrivetemelo su un bigliettino come si fa, ch'io non ci penso, e a casa me lo fo leggere da chi ci vede.
Il macellaio così fece; e lui se ne andò per la sua strada, la dritta avanti col bigliettino e la manca dietro con la trippa. Cammin facendo, il duomo gli veniva alla passata, e come c'era festa e dentro predicavano, ci entrò a darci un'occhiata. Ma aveva appena passata la porta ed era ancora con mezza berretta in testa, che il predicatore dal pulpito si volse a lui di botto come lo aspettasse là, e indicandolo a tutti con tanto di dito, cominciò a sbraitargli contro: 
- O dove vai tu con cotesta carne? Tu, ti dico, che pensi sempre alla carne e vieni al cospetto del Signore con la carne. Buttala lungi da te, e pensa dunque alla tua anima.
Il piazzese si sentiva preso dai turchi, e gli occhi di tutti gli erano addosso, e il bisbiglio era grande; ma come quello non la smetteva con la carne di qua e la carne di là, finalmente non ne poté più e avanzando il braccio gliela mostrò che era.
- Che carne e carne - gridò - non vedete ch'è trippa, che me l'han data per tale?
Tutti lo zittirono, e non contenti di ciò, come voleva sbandierarla ch'era trippa e c'era anche scritto nel bigliettino, lo cacciarono fuori con scandalo e gli chiusero la porta in faccia. Tutto acceso in volto, lui gridava che intendessero la ragione; e come non volevano sentirlo, masticando minaccioso che non c'era più modo di vivere in pace, continuò pei fatti suoi come prima, la dritta avanti e la manca dietro. Andando così, un cane sentì l'odore della trippa e si mise a seguirlo passo passo, annusando: finché a un punto con una boccata non gliela strappò di mano, e via come una lepre. Il piazzese si volse a guardarlo senza scomporsi, con la manca dov'era; e levando in aria la dritta col bigliettino, gli gridò dietro: 
- Ahbo', baggiano, corri quanto vuoi! La trippa l'hai tu, ma il bigliettino è qua, e non sai come farla.
[Tratto da Francesco Lanza (1897-1933), Mimi Siciliani, Milano, 1928]
 
Gaetano Masuzzo/cronarmerina.it

Anche loro cambiano

U Saracìngh anni '60

 
 

 

 

U Saracìngh anni 2000
Come potete ben osservare anche i Saraceni cambiano col tempo. In alto quello del Palio dei Normanni degli anni '60. Sguardo accigliato con occhi grandi e furenti, pronto a destare paura ai cavalieri di Placia¹ che di lì a poco lo colpiranno con "precisione assoluta" ma, allo stesso tempo, con la bocca aperta dallo stupore per tutto il clamore e la cagnara al campo Sant'Ippolito. In basso quello del Palio dei Normanni dei nostri giorni, non più col tipico turbante bensì con una specie di bandana gialla, tanto di moda negli ultimi vent'anni. Lo sguardo sembra ormai di un Saraceno rassegnato, consapevole del ruolo assegnatogli ogni anno, stesso giorno e stessa ora, sempre sotto il sole d'agosto, ma con gli occhi azzurri sfavillanti da far concorrenza e invidia al suo peggior nemico, il Conte Ruggero d'Altavilla in persona. I grossi e grandi baffi hanno lasciato il posto a un più accurato look con barbetta e pizzetto hollywoodiano, forse per la presenza di una bella gran dama della Val di Mazara che lui ben ha frequentato per oltre 250 anni, ma l'espressione è sempre d'incredulità e sbalordimento come se si domandasse: "Perché tutti questi tamburi, trombe, trombette e tromboni?!".
 
¹ Vorrei ricordare ai miei concittadini che Placia è il più antico nome della nostra Città riscontrato in un diploma in latino del 1122. Il diploma è del conte Enrico Aleramico dove si legge di un testimone tal Gausonis de Placia. Invece quello di Plutia non ha alcun riscontro storico e non rientra neppure nei 24 appellativi che la nostra Città ha avuto dal 1122 al 1862, anno in cui si decise di chiamarla Piazza Armerina.
 
cronarmerina.it

E' tornato

 
 
 
 
In questi giorni nelle nostre campagne è tornato questo uccello molto elegante che per colori del piumaggio non ha nulla da invidiare a quelli tropicali. È il GRUCCIONE che prende il proprio nome dal suo tipico verso gru gru gru. È un uccello diffuso nel bacino del Mediterraneo soprattutto sulle colline e giunge nelle nostre zone tra aprile e maggio. Quest'anno nei mesi di giugno e luglio si è fatto vedere, e sentire, poco. Invece da qualche giorno ho notato nuovamente la sua presenza e la sua partenza definitiva, per quest'anno, è prevista ad agosto inoltrato. Il gruccione nidifica in cunicoli lungo le scarpate sabbiose o lungo le rive dei fiumi. È facile da fotografare sia in volo (l'apertuta alare arriva a 40 cm.) sia quando si posa sui fili della luce o sui rami senza foglie per riposarsi un po', per poi riprendere la caccia agli insetti in volo. Quando si tratta di insetti dotati di pungiglione, come le api, di cui sono ghiotti tanto da recare seri danni agli alveari, questi vengono ripetutamente sbattuti su una superficie dura, con l'ausilio del becco. Questo modo di nutrirsi e il colore nerastro del becco spiega il nome â ciaccësa: U P'ZZ'FERR (il becco di ferro). Quando iniziai a fotografarlo con uno zoom bello potente, non credevo ai miei occhi per quanto fosse colorato, troppo sgargiante rispetto a quelli a cui siamo abituati dalle nostre parti. Buona visione!
Gaetano Masuzzo/cronarmerina.it
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