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Cronarmerina - Aprile 2015

Santi senza r'zètt né r'spett

 
S. Gaetano a Brancaccio (PA)
 
Statua di S. Gaetano senza alcuna targa con dietro il vecchio mulino per il sale
Come ogni essere umano, le statue hanno la loro specifica storia. Quelle dei Santi non trasgrediscono questa regola e le sculture dedicate in particolare al mio Santo, San Gaetano, non si fanno mancare aneddoti curiosi sulle collocazioni e sugli spostamenti. E' il caso della statua di San Gaetano a Palermo. La statua del fondatore della Regola dei Padri Teatini, era stata scolpita dal maestro Giacomo Pennino a spese dei religiosi. Mentre il piedistallo, costruito su progetto dell'architetto Paolo Amato non aveva nulla a che vedere col santo. Infatti, originariamente, fu costruito e adibito a basamento della scultura che ritraeva Filippo V re di Spagna, destinata ad abbellire nel 1701 la piazzetta in prossimità della non più esistente Porta della Dogana, proprio davanti la chiesa di Santa Maria della Catena, alla Cala. Quando, nel 1720, al dominio degli Spagnoli in Sicilia era subentrato quello breve degli Austriaci, la statua reale venne divelta, non si sa bene se da un anti-ispanico o da un vandalo di passaggio, e depositata malconcia nei sotterranei della vicina Zecca. Il sontuoso piedistallo, rimasto inutilizzato per dieci anni, accese le speranze dei Teatini, i quali chiesero di ottenerlo in comodato per collocarvi proprio San Gaetano. Ottenuto il benestare dal governo, il santo e il basamento reale nel 1730 trovarono posto nell'angolo tra via Maqueda e via dell'Università, ben posizionati. Sia la statua che il basamento uscirono miracolosamente indenni anche dalla furia devastatrice scatenata dal popolo e dall'esercito nelle terribili giornate del settembre 1866, passate alla storia come la "Rivolta del sette e mezzo", appunto perché durò sette giorni e mezzo, quando in quella piazzetta chiamata San Gaetano fu trucidato Pietro Omodei, "primo martire del popolo insorgente". L'anno successivo, però, il santo ricevette un affronto inaspettato da parte dell'amministrazione comunale, guidata dal marchese Antonio Starrabba di Rudinì*, la quale avendo constatato, con un po' di esagerazione, che il monumento intralciava la viabilità (in quel periodo a circolare erano in prevalenza pedoni, carrozze, cavalli e portantine), ne decretò il trasferimento nei magazzini del Museo nazionale, dove rimase per venticinque anni, sottratto alla vista dei devoti, dei turisti e dei palermitani. A fine Ottocento venne finalmente individuata una nuova destinazione: il bivio tra la via Brancaccio, la via Conte Federico e la via S. Ciro (a Sud-Est del centro città). A dire il vero, non è proprio il centro storico della città, ma almeno il santo ha trovato collocazione vicino all'omonima parrocchia in cui molto tempo dopo operò il martire don Pino Puglisi. Non ne siamo sicuri ma, a suo tempo, San Gaetano ci sarà comunque rimasto un po' male nell'aver trovato posto vicino al fatiscente fabbricato un tempo adibito a mulino per il sale (foto in basso). Un prodotto della natura non proprio compatibile con i materiali marmorei che compongono statue e piedistalli ma anche con quelli che servono per costruire targhe con lo scopo di fornire notizie sui monumenti. Sicuramente il sale e lo smog hanno fatto la loro parte, e oggi il monumento ha bisogno di una salutare ripulitura. Tranne la targa informativa che nessuno si è mai sognato di affiggere e, aggiungo io, poi ci permettiamo di chiedere le grazie senza alcun ritegno! 
(tratto da Lino Buscemi, 11 dic. 2014,
http://lacittascoperta-palermo.blogautore.repubblica.it/)
 
*(1839-1908) Lontano discendente del principe piazzese Vincenzo Starrabba (m.1729) al quale fu intitolata a stràta ô Prìnc'p, odierna via Garibaldi. Quell'anno divenne Prefetto di Palermo e nel 1891 e 1896 fu Presidente del Consiglio dei ministri.    
Gaetano Masuzzo/cronarmerina
  • Pubblicato in Luoghi
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Edicola n. 22

La Madonna delle Lacrime di Siracusa è racchiusa nella semplice ma decorosa Edicola n. 22 che c'è nell'incrocio stradale in c/da Bellia (tra la SP. 12, la SS. 288 e il viale Conte Ruggero ex viale Gen.le Gaeta), dove anticamente c'era la chiesetta dedicata alla Madonna della Noce (in alcuni testi anche "delle Noci"). La tradizione vuole che fu proprio in questo luogo che fu eretto un tempietto alla Madonna, in seguito al rinvenimento di un'immagine della madre del Salvatore sotto un albero di noce nel lontano 1611, quasi 4 secoli fa. In ricordo di tale evento, i nostri antenati iniziarono ogni 8 settembre a festeggiarlo con una festa campestre. Due anni dopo, sempre nei pressi della chiesetta, fu spostata la Fiera Franca (esente da dazio) che si teneva davanti la Commenda di S. Giacomo d'Altopascio (di fronte l'ingresso del Cimitero della Bellia) e prima ancora davanti la chiesa di S. Pietro. La fiera, soprattutto di bestiame e attrezzi per l'agricoltura e la pastorizia, iniziava l'1 settembre e si concludeva l'8 dello stesso mese coi festeggiamenti alla Madonna della Noce. 
 
(chi volesse saperne di più sulle fiere di Piazza può leggersi i miei post "Le Fiere di Piazza" del 18-12-2012 e "La fiera in Piazza Duomo" del 24-5-2013)
 
Gaetano Masuzzo/cronarmerina
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U veru cazzaör' ciaccés

 

Una delle poesie in gallo-italico più note del poeta-falegname Carmelo Scibona (1865-1939) è quella dedicata al cacciatore concittadino, compare del poeta, Mario Mancuso. 

 
Làriu u Mancos
 
Làriu u Mancos è u prim' cazzaör',
C'u fatt' veru, è veru professör
Quann' a n cunigghju su pigghhja d' mira
Prima nz'rragghja l öggi e pöi gghj' tira.
L'an'malètt' ch' n'è già nfurmà
Gghj' fa na rr'satedda e s' n' va.
 
L àutra giurnada u vitti a M'rringh'
Era d' posta nô menz' u giardingh
Tutt'a na vota scarrisc' mp'cciòngh'
S' sus' e u pönta c'u pezz' u furcöngh'
Sémpr' cu l öggi 'nciosi, o sant' Lucca!,
Sbagghja o p'cciòngh' e nzerta na cucca.
 
Tutt' cuntént' s'ha mént' nei mai,
A va mustrann' a tutti i v'ddai
Cösti u talinu d' quant' è garrös
- Coss' cu è dò Lariu u Mancös?!
Èu s'a capisc', s' spénza a cudéra
Pighhja dda cucca e s'a mùccia darréra...
 
Carmelo Scibona
(U Cardubu, 1935)
 
(Ilario il Mancino /Ilario il Mancino è il primo cacciatore, /Per la verità, è vero professore. /Quando prende di mira un coniglio /Prima chiude gli occhi e poi gli spara. /L'animaletto che ne è già informato /Gli fa un sorrisino e se ne va. /L'altro giorno lo vidi a Merlino /Era appostato in mezzo al giardino /Tutto ad un tratto intravede un piccione /Si alza e lo punta col pezzo di forcone /Sempre con gli occhi chiusi, o san Luca!, /Sbaglia il piccione e colpisce una civetta. /Tutto contento se la mette tra le mani, /Va mostrandola a tutti i villani /Questi constatano quanto è stupido: /- Questo chi è don Ilario il Mancino?! /Lui capisce, alza la falda della giacca /Prende quella civetta e se la nasconde dietro...)
Carmelo SCIBONA a cura di Salvatore C. TROVATO, 1997, p. 154.
 
Gaetano Masuzzo/cronarmerina
 
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Fontanella Stazione c.da Ronza/n. 16

Questa è la Fontanella n. 16 e si tratta di quella esistente a pochi passi dall'antica e piccola Stazione Ferroviaria in c/da Ronza, proprio di fronte l'Area Attrezzata della foresta demaniale regionale "Parco Ronza", a ca. 8 Km. da Piazza. E' abbastanza evidente che è una costruzione molto recente, rispetto all'edificio che si trovava lungo la strada ferrata a scartamento ridotto, che collegava Dittaino-Valguarnera-Piazza Armerina e che continuava per Caltagirone. Quello della Ronza era il casello ferroviario che consentiva la fermata per prendere "fiato", subito dopo la lunga e impervia salita proveniente dalla miniera di Grottacalda. Adesso c'è un ristorante che serve birra artigianale, con accanto un maneggio per corsi di equitazione e, per chi ama l'avventura più tecnologica, escursioni lungo percorsi boschivi a bordo di quad fuoristrada.
cronarmerina.it     
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L'illuminazione a Piazza 2

 
Piano Santa Rosalia anni 30
A proposito dell'illuminazione nella nostra Città, vi riporto le righe dedicate al tema dal prof. Giovanni Contrafatto (1910-2004) nel suo libro Memorie Armerine del 1991: "Nel 1904 Piazza ebbe finalmente la luce. La centrale elettrica¹ fu impiantata nell'isolato di proprietà del Comune tra la discesa Pescheria e la via Santa Rosalia². La luce veniva erogata la sera, dall'imbrunire fino alle sette del mattino seguente. Per molti anni, ad avere la luce a casa erano pochi, essendo considerata un lusso che non tutti potevano permettersi. La maggioranza continuò a servirsi del lume a petrolio, della fioca luce delle steariche o della lucerna, alimentata perlopiù con morchia ed olio non commestibile. Per le strade passavano venditori ambulanti con due bidoni di latta contenenti uno petrolio e l'altro olio, che la povera gente comperarva a decilitri. Tanto, quasi tutte le famiglie di contadini ed operai, dopo il pasto serale, consumato al rientro a casa del capofamiglia, non tardavano a mettersi a letto. Purtroppo, allora, la giornata lavorativa dei contadini e degli operai iniziava appena giorno e si chiudeva al tramonto del sole. Solo dopo il 1929, col passaggio del servizio di illuminazione della città, dal Comune alla Società Generale Elettrica, gestita dai Fratelli Prestifilippo, Piazza Armerina potè avere la luce erogata 24 ore su 24".
A questo punto fanno la loro comparsa i primi contatori, di bachelite di colore nero e senza limitatore di potenza, appoggiati sopra una tavoletta e installati per una somma non di poco conto insieme a qualche raccomandazione. In questo modo molte famiglie che se lo possono permettere spengono i lumi e accendono qualche misera lampada di alcune candele o pochi Watt. Qualche decennio dopo vengono installati dei contatori a gettoni, come per i telefoni. Successivamente per il pagamento di quei pochi consumi elettrici c'è l'esattore³ che il mese prima passa con la pila tascabile per rilevare la lettura dei contatori, e il mese dopo ripassa, con la sua borsa di cuoio piena di monetine, per l'incasso dei consumi rilevati. Successivamente il pagamento viene effettuato presso l'esattoria che a Piazza si è sistemata in via Vittorio Emanuele al n. 11, dove poi si metterà il sig. Piana col suo negozio di materiale elettrico e tabacchi.
 
¹ Al secondo piano del grande edificio a sx nella foto. Tempo prima, al posto di questo edificio, sorgeva la chiesa (del1624) e il monastero (1742) delle Carmelitane di Santa Rosalia.
² Il rumore, specie per chi abitava nelle immediate vicinanze, era assordante. Ma dopo qualche tempo, al continuo "bum, bum" notturno del motore a nafta fecero tutti abitudine, anzi conciliava il sonno divenendo familiare. Ricordava mia madre che abitava lì vicino, che quando la centrale fu smantellata, a qualcuno spuntò persino qualche lacrima.   
³ Nei primi anni gli esattori a Piazza saranno quasi tutti ex operai e dipendenti della centrale elettrica a nafta di Santa Rosalia, molti di loro poi saranno impiegati come bidelli nelle scuole cittadine. 
 
Gaetano Masuzzo/cronarmerina.it 
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L'illuminazione a Piazza 1

 
L'addetto all'accensione dei lapioni a petrolio fissi
Lampione a petrolio mobile da posizionare con l'argano
 
Lume e lanterna a petrolio
Una comodità che tutti ormai consideriamo scontata, certa e ovvia, sino a un secolo fa e magari meno non era così semplice averla a portata "d'occhio". L'illuminazione delle strade sin quasi nei primi decenni dell'Ottocento era affidata a qualche torcia o braciere davanti ai conventi, ai castelli, ai palazzi di ricchi proprietari; nelle abitazioni c'erano soltanto lucerne ad olio, qualche candela e, nelle famiglie benestanti, qualche candelabro. Nelle vie il buio assoluto, tranne qualche rarissima lanterna portatile e qualche fanale ad olio, anche d'oliva (meglio se extravergine!). L'arrivo della lampada a petrolio o kerosene (dal greco keros = cera, miscela liquida di idrocarburi infiammabile chiamato anche petrolio lampante o bianco) a metà dell'Ottocento diede un po' più di luce sia nelle case che nelle strade. Nelle prime veniva usato il lume a petrolio (a sx nella foto in basso), nelle strade il lampione fisso (nelle foto in alto e in mezzo), sui carretti, sulle lettighe e a piedi la lanterna (a dx nella foto in basso). Qualcuno, che non ne poteva fare a meno, per spostarsi col buio si serviva ancora delle candele e delle torce, negli altri casi l'illuminazione notturna era affidata alla luna, con le sue alterne fasi e se non offuscata. Sia il lampione fisso che quello mobile (alzato e abbassato con un argano, vedi post del 16 ottobre 2013) erano piazzati nei punti strategici del centro urbano e nelle strade principali, nelle altre zone... nisba! Ovviamente la novità del petrolio creò nuove professioni: il lampionaio inteso pure fanalaru, ovvero l'addetto all'accensione e allo spegnimento dei lumi e alla ricarica del combustibile con una scala di legno e con la chiave per azionare l'argano; il pulitore (a Milano chiamato polidòr) che puliva i vetri dei lampioni quando non coincideva col primo; il venditore ambulante di petrolio e olio. 
(continua)
 
Gaetano Masuzzo/cronarmerina.it
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