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Cronarmerina - Dicembre 2015

A fussetta/2

I bottoni erano di diverso valore, c'erano quelli piccoli d l'aucch'tèra (abbottonatura dei calzoni, quelli piccoli delle camicie neanche erano considerati) da 1 patàcco, quelli medi da giàcca da 2 patàcchi, e quelli grandi di cappötti da 3 e 4 patàcchi, i più ricercati e ambiti, decisamente da scartare quelli di forma irregolare dei cappotti delle donne (poco regolari e inaffidabili... i bottoni!). I giocatori di alto livello non si accontentavano più di giocare per così "poco", allora alzavano la posta con monete di diverso taglio. Le più comuni erano da 5, 10 e 20 Lire, i più accaniti arrivavano alle 50 e persino alle 100 Lire, roba che le rare volte che si assisteva a tali sfide venivano i brividi, perché 9 volte su 10 ci scappavano i cazzotti col conseguente fuggi fuggi. Ho lasciato l'uso delle biglie di vetro per ultimo perché si usavano poco, sia per la scarsa reperibilità e sia perché poco indicate per i nostri "campi" da gioco. Bastava un granello di sabbia o na scagghiòla per cambiarne la direzione e quindi c'era poco "brio", pertanto, se proprio si volevano utilizzare le biglie su percorsi adatti e lisci, si aspettava di andare quella volta al mare sulle spiagge dorate di Gela, al lido "La Conchiglia" o a Macchitella, poi a Manfria, stando però alla larga, Déu n' scansa, dal pericolosissimo PUNTÍL! Questo gioco come gli altri, di cui sto parlando e parlerò su questo blog, presupponevano la frequenza assidua delle vie che allora non erano così trafficate come oggi. Al limite passava qualche mulo o carretto a bassa velocità, al quale ci si aggrappava per un passaggio di qualche decina di metri con relative imprecazioni, sempre molto contenute e gentili, del "pilota". Anche questo era considerato un gioco d'altri tempi, divenuto però un po' pericoloso quando il carretto fu sostituito dalla "velocissima" LAPPA. Gaetano Masuzzo/cronarmerina.it
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I bìf'ri

Frutto di vari colori e dalle svariate qualità, matura di solito, qui a Piazza Armerina, verso la fine di giugno e poi durano fino a metà luglio. E' un frutto ricco di semi che arrivano a maturazione rendendolo dolce e saporito. La pianta di origini arabe fu importata in Sicilia secoli fa, ha foglie grandi di superficie ruvida, i frutti ancora non maturi secernono una sostanza lattica, che può irritare la pelle e gli occhi, alla piazzese si chiamano scatagnòli perché brucia il muso. Quando andiamo in campagna dalle nostre parti, abbiamo sempre il piacere di raccogliere questo frutto delizioso e, come diciamo noi te cöggh chiddi ch' ànu a camìsa stazzàta cioè quelli leggermente più maturi e più dolci. Quelli che lo sono ancora di più sono i bif'ri m'l'ngiàni di colore viola scuro, dal gusto straordinariamente delizioso. Naturalmente ci sono anche quelli bianchi e gli altri che chiamiamo b'ffarìgni, che hanno la buccia sul verde marrone striato, buonissimi. Questo frutto è usato anche per fare marmellate e anche la mostarda in settembre, quando la pianta dà il suo frutto per la seconda volta  (n.d.r.: forse da questo il nome bi-f'ri = secondo fiore, secondo frutto). Roberto Lavuri 
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1937 - Studente fuori sede/2

Reparto aeronautico all'Industriale di Piazza, anni '30
"Ho avuto il piacere di visitare l'Istituto Industriale. Nel suo atrio vi è, sempre luccicante, un CR 42, l'ultimo aeroplano da caccia della squadriglia del leggendario maggiore Francesco Baracca, rimasto come ricordo della prima guerra mondiale. Pare che questo aereo-cimelio sia stato donato dal generale Diaz alla città di Piazza Armerina, alla memoria del piazzese generale Cascino, caduto nella presa di Gorizia alla testa della sua divisione di meridionali al grido di Siate la valanga che sale. Mussolini nell'agosto del 1936 si ferma alcune ore a Piazza Armerina solo per inginocchiarsi dinanzi alla tomba del generale decorato di medaglia d'oro. Sulla morte di questi, fino all'anno 1938, se ne parla tanto. Manca nella città normanna un monumento ad un generale i cui uomini sono i primi a riprendere Gorizia. Nella tomba di Piazza Armerina manca la salma di Cascino che invece riposa in uno dei cimiteri di Palermo, accanto alla tomba di Suor Maria Maddalena. Se a questo si aggiunge la maldicenza che serpeggia in città: << Cascino è sì morto da eroe, ma ha mandato al macello i figli di tante madri, e persino il figlio di sua sorella >>, la cosa, a distanza di molti anni mi sembra abbastanza chiara. Il generale Cascino è un grande generale siciliano che, di fronte all'accusa di tradimento lanciata dalle popolazioni del nord Italia contro i Siciliani, calabresi e sardi, dopo la ritirata di Caporetto, chiede ed ottiene da Diaz l'autorizzazione di organizzare una divisione formata da siciliani, calabresi e sardi (con i piazzesi in testa) per riscattare l'onore e l'amor di patria di tutti gli italiani del Sud. Nell'estate del 1956, tornando a Piazza per una breve visita al carissimo avvocato Michele Zuccalà, noto con sorpresa, entrando in città, il monumento al generale Cascino. Era tempo che i piazzesi riparassero!" 
 
Gaetano Masuzzo/cronarmerina.it

 

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A fussetta/1

 
 
Quello della fussètta o e buttuni era un gioco per specialisti. Anche se occorreva molto poco come spazio e attrezzatura, non era per giovani sprovveduti. Bisognava scavare un piccolo incavo, con bordi ben definiti e profondo non più di 5 cm. (perché doveva permettere il facile recupero) nel terreno possibilmente pianeggiante e senza imperfezioni per un raggio max di un metro, e il campo di gioco era realizzato. Se invece ci si trovava in una strada in discesa e cùi cut'cchiöngh (ciottoloni) che da noi non mancavano, allora erano problemi, in questo caso ci si attivava per togliere i puntàgghi sino a ricavare lo spazio necessario. Dicevo gioco per specialisti perché non era facile mandare in "buca", come si dice nel gioco del golf (forse questo derivò dall'altro o viceversa), il bottone, la biglia o la moneta messa in palio, da varie distanze, utilizzando le dita (il pollice e l'indice di solito) della mano predominante, tirando a turno, sino a quando si sbagliava, e vincere così tutta la posta che si era riusciti a mandare dentro con l'ultimo colpo. Bastava dare un'occhiata alle dita utilizzate dall'avversario al primo tiro, per rendersi conto del suo livello. Se avesse opposto il pollice per colpire con l'indice era vittoria assicurata. Se invece avesse opposto il medio per colpire col pollice, allora la partita sarebbe stata dura e alquanto difficile. I giocatori di basso e medio livello si limitavano a mettere in gioco i bottoni presi in "prestito" e prelevati dalle lattine o cofanetti dove le loro madri erano solite porre l'occorente per cucire. Se la riserva era scarsa, allora, solo allora, era "permesso" staccare delicatamente qualche bottone dai vestiti (le giacche erano le più indicate) dei padri, degli zii e dei nonni. Si doveva fare attenzione, perché se l'asporto del bottone avesse provocato degli strappi sulla stoffa, era cazziàda assicurata. Gaetano Masuzzo/cronarmerina.it 
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1937 - Studente fuori sede/1

Autobus della linea Caltanissetta - Piazza Armerina, anno 1936
Gironzolando su internet si trova di tutto. Eccovi le impressioni di un giovane studente della provincia di Caltanissetta che, nel 1937, si trasferisce a Piazza per frequentare il prestigioso Istituto Magistrale "F. Crispi" di via Umberto.
 
"La sera del primo ottobre 1937, dopo un nauseante ed estenuante viaggio in autobus (Caltanissetta - Piazza Armerina) che mi fa rimettere il primo latte, mio padre ed io giungiamo nella città normanna, sorpresi da un freddo cane. Dal facchino che mi scende la valigia dall'imperiale dell'autobus mi sento dire: "Donnmi cherch scios pur mangé!" (approssimativamente: Donne-moi quelque chose pour manger). E' ad attenderci un altro studente paesano della facoltà di magistero che vive a Piazza Armerina con le lezioni private. Alloggiamo dalla signora Falcone, vedova Zuccalà, in corso Umberto, vicino al Magistrale. In questa casa trascorrerò l'intero anno scolastico. Conoscenze: Cettina e Michele Zuccalà, adolescenti. Quest'ultimo sarà avvocato, docente universitario, senatore della Repubblica, membro della prima Commissione antimafia, quella presieduta da Girolamo Li Causi. Ricordo Paolo Falcone che studia per conseguire il diploma magistrale per entrare all'Accademia della Farnesina. A Piazza Armerina esiste già una piccola comunità di studenti del mio paese che studia al Magistrale. Piazza Armerina, fondata dai normanni, è una città i cui abitanti, sui 25.000, parlano con un forte accento di francese antico. E' uno dei più importanti centri di studio della Sicilia. Un Istituto Magistrale di ottime tradizioni. Tre quarti della sua popolazione scolastica proviene dalle province di Caltanissetta, Catania e Agrigento. Un Liceo Classico, un Liceo Scientifico e un Istituto Industriale."
 
Gaetano Masuzzo/cronarmerina.it
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A bedda ferrovia/3

Automotrice mod. Raln 60 a Diesel o Littorina
 
Galleria Casalotto, oggi percorribile in auto
 
Parte 3^ e ultima
(dalla Parte 2^) Tutto andava a rilento sino a quando, nel 1949, entrarono in funzione le automotrici Raln 60 (foto in alto) più veloci e comode, che fecero più che raddoppiare i viaggiatori. Queste automotrici col motore a Diesel sotto il pavimento, erano i modelli più recenti delle famose Littorine nate nel 1933, periodo che chiaramente ne spiega il nome. Ma contemporaneamente la linea non fu rinnovata e rimase quella di sempre con binari leggeri e vecchi. Nonostante tutto l'orario del 1957 prevedeva 7 treni di andata e ritorno tra Dittaino e Piazza e 5 tra Piazza e Caltagirone. Nel 1969 venne chiusa la linea Piazza - Caltagirone perché interrotta da una frana caduta 14 anni prima che aveva danneggiato un ponte mai riparato, obbligando il trasbordo dei viaggiatori con non pochi disagi. Due anni più tardi, nel 1971, fu la volta della Piazza - Dittaino chiusa tra le proteste dei Piazzesi e dei Carrapipani (abitanti di Valguarnera Caropepe) che, invece, ne chiedevano l'ammodernamento. Smantellata immediatamente, al suo posto fu costruita la Strada Provinciale Turistica, la famosa SP4, che tante "soddisfazioni" ci sta dando ancora oggi. Dall'altro versante, circa 8 Km del vecchio tracciato, da San Michele di Ganzaria a Salvatorello (6 Km da Caltagirone), sono stati trasformati in pista ciclabile nel 2001. Oggi della nostra BEDDA FERROVIA sono rimasti, oltre a qualche foto, soltanto il nome che ci si ostina a dare alla piazza Stazione, la galleria del Casalotto (foto in basso) percorribile in auto e tutti i ricordi delle partenze e degli arrivi, brutti e belli, che nessuno però potrà mai toglierci, almeno questi!
Gaetano Masuzzo/cronarmerina.it
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Famiglia Landolina

Partito d'argento e di nero. Al capo tre gigli d'argento in campo nero
La famiglia Landolina è tra le più antiche e nobili di Sicilia dove godette nobiltà in tantissime città. Il nome trae origine da Landolo I conte d'Asburgo figlio del principe normanno Guntramo. Fu portata in Sicilia da Rotlando Landolina, consanguineo e commilitone di re Ruggero nella conquista dell'Isola, ricompensato della carica di stratigoto di Messina e della baronia di Avola. Nel 1392 Rinaldo Landolina è a Noto ed è al comando di truppe del re aragonese Martino il Giovane. I Landolina appaiono la prima volta nel ruolo dei feudatari della Città di Placie nel 1408, anche se esistevano dei Lantalino tra i 101 militi del 1282. 1408 Luca de Landolina è sacerdote e Giovanni Landolina de Caltagirone, milite palermitano, è barone di Imbaccari del quale ne venderà metà (il Sottano) ai Paternò. Dopo il milite palermitano succedono Bartolomeo, 1453 Giovanni junior, 1520 Giovannella, la sorella di questa, 1530 ca. Claruccia, la figlia di questa, Giovannella, che si sposa con tale Calandra, 1606 il figlio di questi, Giacomo Calandra-Landolina. 1508 Giovanni Andrea Calascibetta-Landolina diventa barone del feudo Màrcato della Montagna (in territorio di Caltagirone). Nel 1510 il barone Giovanni Andrea muore lasciando senza figli la moglie Panfilia Spinelli. Questi dona 60.000 scudi alla Chiesa Madre (la nostra Cattedrale) e nel 1517 si fa monaca nel Monastero di S. Giovanni Evangelista. Intorno al 1530 a Noto due famiglie dei Landolina sono apertamente nemiche contrastandosi duramente con gravi perdite. 1605 ca. Francesca Landolina, vedova di Pietro Starrabba, si sposa con Fabio Trigona barone di Alzacuda e Sofiana. 1803 Mario Landolina, figlio di Sancio, è nominato, come il padre, Regio Custode delle Antichità delle Valli Dèmone e Noto. Di questa famiglia abbiamo a Piazza alcuni stemmi uniti a quelli di altre nobili casate della Città. Nella chiesa di S. Stefano, nel quadro sul primo altare entrando a sx, lo stemma dei Landolina si trova insieme a quello degli Starrabba-Trigona-Sortino; sull'arco della III cappella a sx della chiesa di S. Pietro insieme a quello dei Trigona di Cimia e nella chiesa della Catena a Palermo troviamo lo stesso di quello a S. Stefano di Piazza. Gaetano Masuzzo/cronarmerina.it
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Dedicata a Piazza

 

Panorama dal piano Sant'Ippolito

A Piazza Armerina

Ti inchini innanzi alla meravigliosa Cattedrale
che ti guarda dall'alto del colle ove si erge
come guardinga e attenta madre
Maria Santissima delle Vittorie ti protegge.
Vessillo glorioso ci guarda
con viso pietoso
e ci invita a pregare 
immagine sacra di Madre
per noi la più bella. 
Dalla virtude e dall'immenso amore
per noi Piazzesi tu sei la Bedda Matri.
Il 15 d'Agosto di ogni estati 
par tu ci incanti passannu ne stratti.
Quando sei bella tutta piena d'oro e illuminata,
con quel Bambino che pare che ti parla,
a Te per la storia e il gran dono che portasti
noi tutti siamo grati.
 
Roberto Lavuri 
 
cronarmerina.it
 

 

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A bedda ferrovia/2

Stazione di Piazza Armerina con locomotiva R. 370
Orario ferroviario del 1938
Parte 2^
(dalla Parte 1^) Il nuovo tratto ferroviario Piazza-Caltagirone del 1930 fu fatto talmente in economia che dopo breve tempo iniziarono le interruzioni per cedimenti e frane, tanto che dovettero essere fatti dei lavori di consolidamento per prevenire i deragliamenti. Per questa linea ridotta furono adottate delle apposite locomotive a vapore (gruppo R. 370, foto in alto) che raggiungevano al massimo i 30 Km/h nei rettilinei e solo in discesa. Come si può constatare dall'orario ufficiale del 1938 (foto in basso) la tratta Piazza - Dittaino di 45 Km si percorreva in circa 2 ore e 30 minuti, quella per Caltagirone di 36 Km, in 2 ore e 15 minuti, con 7 fermate  nella prima e 6 nella seconda. Se poi si volevano fare gli 81 Km tutti "d'un fiato" occorrevano quasi 5 ore. Cioè circa 16 Km all'ora, quando a piedi ad andatura normale se ne percorrono 6. Infatti, la velocità era tale, specie provenendo da Dittaino, che quasi si poteva scendere per qualche bisogno, per poi raggiungere la carrozza, rigorosamente di 3^ classe, e risalire di "corsa" più leggeri. Nelle fermate intermedie non era raro poter acquistare galline, uova, verdura, frutta, dai contadini che aspettavano lungo il percorso. Tutto il viaggio era un'avventura che spesso lasciava addosso il tipico profumo di carbone di cui tutti "andavano matti", soprattutto quando ci si affacciava dai finestrini della prima carrozza, quella subito dopo la locomotiva, per scendere all'arrivo quasi ciechi e anneriti dal fumo. Questa lentezza abbinata all'assenza di confort provocò la progressiva perdita di clientela, ma per noi abitanti sulle colline dell'interno dell'Isola, rimaneva una via di comunicazione di vitale importanza, viste le condizioni della viabilità stradale per Palermo e Catania. Basta ricordare la strada per quest'ultima destinazione, che prevedeva il passaggio da Aidone e Raddusa, con le indimenticabili curve e le interminabili soste sulle loro piazze "frequentatissime". (continua)
Gaetano Masuzzo/cronarmerina.it
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