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Cronarmerina - Dicembre 2015

La «Presentazione al Tempio» di Fundrò

Bottega siciliana XVII secolo, Presentazione al Tempio, particolare, Piazza Armerina, chiesa San Rocco (Fundrò)

Girolamo Alibrandi, Presentazione al Tempio (1519), Messina, Museo Regionale

Come avevo accennato in Conversazione Piazza Garibaldi/3, nella chiesa di San Rocco, altrimenti intesa anche di Fundrò, è presente, nella parete di sx, un quadro (foto in alto) a olio su tela di cm 140 x 160, rappresentante la Presentazione al Tempio. «Il dipinto apparterrebbe ad un ignoto pittore della prima metà del XVII secolo di bottega siciliana. L'autore della tela ha potuto probabilmente osservare direttamente l'opera dell'Alibrandi (foto in basso) interpretando in modo alquanto originale il tema trattato dal pittore messinese. Un'ulteriore e suggestiva testimonianza dell'eco prodotta in Sicilia dall'opera del valente pittore messinese. Alcune fonti ottocentesche testimoniano la presenza, all'interno della chiesa di San Rocco, di alcuni pregevoli dipinti legati a nomi di celebri pittori [...]. La copia in esame, insieme ad altri dipinti esposti all'interno della chiesa di San Rocco, faceva parte originariamente della collezione privata del vescovo di Agrigento (all'epoca Girgenti), monsignor Pietro Maria D'Agostino [1756-1835] che, intorno agli anni Venti-Trenta dell'Ottocento, fece dono della sua pregevole raccolta di quadri e disegni, acquistati in parte a Roma, alla congregazione cassinese del Monastero di Fundrò, a cui egli stesso apparteneva. Difatti, le motivazioni di questa ricca donazione sono da ricercarsi nel fatto che monsignor D'Agostino, vescovo di Girgenti, [...], è lo stesso Pietro D'Agostino da Sciacca che fu abate dal 1808 al 1824, menzionato da L. Villari (1988) nell'elenco degli abati della congregazione cassinese del suddetto Monastero. [...] A sostegno del fatto che il quadro di Piazza Armerina facesse parte della collezione privata del Monsignor D'Agostino disponiamo delle dimensioni della tela, 140 x 160 cm, assai più ridotte rispetto ai 452 x 351 cm della grande pala del 1519. Questo confronto dimostra che l'opera seicentesca non sia stata concepita per essere collocata all'interno di un luogo di culto, ma per diventare oggetto di devozione privata. [...] Quasi certamente il dipinto in esame non è di mano di un solo autore, ma è frutto di una collaborazione tra artisti provenienti dalla stessa bottega siciliana. Difatti, osservando le figure che compongono la scena, si rileva da subito la meritevole fattura dei ritratti dei protagonisti del rito [...], facendo emergere per contrasto lo scarso valore delle figure secondarie [...]. [...] Lo studio della pregevole opera dell'Alibrandi ha reso possibile non solo l'individuazione a Piazza Armerina, nella chiesa di San Rocco (Fundrò), del dipinto seicentesco opera di ignoto pittore siciliano (con aiuti e relativi rifacimenti), ma anche [...] a riflessione sull'influenza esercitata da questo valente pittore sul territorio siciliano, fortuna testimoniata dalla presenza in vari luoghi della Sicilia di artisti che hanno reinterpretato la Presentazione al Tempio messinese in maniera personale e originale. Si può conferire a pieno titolo al capolavoro dell'Alibrandi il merito di aver scritto una pagina di grande interesse nella cultura figurativa siciliana del XVI secolo. Messina, Piazza Armerina, Marsala, Taormina, Acireale sono solo alcuni dei centri nei quali tutt'oggi si possono osservare i segni tangibili dell'eco prodotta da questo celebre dipinto, diventato meta di attrazione e punto di riferimento di alcuni abili artisti per un ampio arco di tempo fino al XVII secolo» (Chiara FAUZIA, Echi alibrandeschi nell'entroterra siciliano: la copia seicentesca della Presentazione di Gesù al Tempio di Girolamo Alibrandi nella chiesa di San Rocco (Fundrò) di Piazza Armerina, in Archivio Storico della Sicilia Centro Meridionale, Anni IV-V, N. 8-9, Caltanissetta 2018, pp. 167-214).

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Conversazione Piazza Garibaldi/4

Chiesa di San Rocco o Fundrò, Piazza Armerina

Palazzo di Città ex Palazzo del Senato, Piazza Armerina

(dalla 3^ parte) Dal Calendario alla Ciaccësa della prof.ssa Lucia Todaro veniamo a sapere che a Piazza c’era questo «MÒDU CURIÖS D’ PAIÈ I DEB’TI», che io ho cercato di tradurre così:

  - MODO CURIOSO DI PAGARE I DEBITI (una specie di gogna) -

«Guardando i basamenti sotto il campanile della chiesa di Fundrò [nei riquadri in giallo foto in alto] o a fianco del portone del Circolo di Cultura, si capisce che prima vi dovevano essere dei sedili di pietra. Non servivano solo per sedersi, ma per fare una pratica di grande mortificazione per gli sventurati che vi capitavano! Si sentiva prima una tamburinata, per chiamare la gente. Poi veniva l’usciere con quello che doveva riscuotere i debiti. Il cattivo pagatore, strascinato, era spinto a forza nel sedile e lo si faceva sedere con tutti i sensi, tante volte per quanti debiti aveva, davanti a tutti, che gliene dicevano di tutti i colori. Da quest’usanza non tanto civile, viene il modo di dire che “se uno scivolava e sbatteva a terra per bene” vuol dire che aveva pagato tutti i debiti! Viene naturale pensare come potesse finire a noi di questi tempi, perché tutti siamo indebitati! Da questo viene l’origine della maledizione: "VA DÖNA CÖ CH’ T’ R’STÀ" che in italiano è "Vai a dare quello che ti è rimasto (di pagare)"». Però, aggiungo io, il "CÖ" alla ciaccësa può essere frainteso col "CÛ", quindi con «Vai a dare il culo… che ti è rimasto (da dare)».

Dopo la chiesa di Fundrò passiamo a un altro grande edificio presente nella nostra piazza Garibaldi: il Palazzo di Città. Prima era chiamato Loggia Comunale (foto in basso), poi fu ristrutturata per dar posto al Palazzo del Senato o «Casa senatoria». Il titolo di Senato fu concesso da re Ferdinando IV di Borbone nel 1777 ed era l’istituzione che deliberava le decisioni giurisdizionali, amministrative e legislative comunali. I componenti del Senato erano scelti tra i nobili, da cui scaturiva il governo municipale formato da 6 senatori, uno dei quali prendeva il titolo di Patrizio (il Sindaco dal 1821). Il primo Patrizio di Piazza fu il sacerdote Vincenzo Starrabba dei principi di Giardinelli, poi diventato I marchese di Rudinì (1730-1803). L’incarico della costruzione del Palazzo Senatorio fu dato, nel 1764, al catanese Francesco BATTAGLIA, architetto del principe di Biscari, Ignazio Paternò Castello. Il Battaglia è lo stesso architetto che tre anni dopo, nel 1767, completerà la cupola del nostro Duomo, progettata oltre un secolo prima dall’architetto romano Orazio Torriani. I maggiori fautori, col beneplacito dei vicini monaci Benedettini, furono tre appartenenti alla nobile famiglia dei Trigona della Floresta. Il Palazzo fu ultimato nel 1778, data riportata nell’affresco della volta nella sala consiliare¹ realizzato dal palermitano Salvatore Martorana. Al piano terra del Palazzo di Città oggi c'è la sede del Circolo di Cultura, da alcuni chiamato anche Circolo dei Nobili. Nel 1814 si chiamava Circolo Unione, nel 1835 vi si stabilì anche il Circolo Progresso. Nel 1910 di questi due circoli se ne formò uno solo, chiamato prima Circolo Operaio poi Circolo Indipendente che, dal 1922, divenne Circolo di Cultura Fascista sino al 1944, quando fu chiamato semplicemente Circolo di Cultura, come oggi. Una curiosità, durante l’ultima guerra mondiale, il circolo fu requisito e occupato dai militari che vi organizzavano anche serate da ballo. (continua)

¹ Il 21 luglio 2019 l'aula consiliare è stata intitolata a Boris Giuliano, il Capo della Squadra Mobile di Palermo nato a Piazza Armerina il 22 ottobre 1930 e assassinato dalla mafia il 21 luglio 1979.

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5 secoli fa a Perugia

Rocca (fortezza) Paolina, Perugia, dipinto XIX secolo

L'antico borgo medievale rimasto sotto la Rocca Paolina

Targa di indicazione via dell'antico borgo medievale ormai sotterraneo

Targa di indicazione via dell'antico borgo medievale ormai sotterraneo

Porta dell'antico borgo medievale, ormai sotterraneo, che sbocca sul viale Indipendenza

Scoperte in ritardo, ma sempre scoperte

Nell'ultimo viaggio a Perugia, dopo 42 anni dal viaggio di nozze, una cosa, tra le tante, che mi ha colpito particolarmente, è stata poter percorrere le strade di un borgo di 5 secoli fa. Sì, perché se prendete le scale mobili che portano nella parte alta della città umbra, nell'ultimo tratto a 20 m di profondità, avrete la possibilità di calpestare i mattoni in laterizio delle vie dell'antico borgo di Santa Giuliana, diventato in pochi anni i sotterranei della Rocca Paolina. Infatti, tra il 1540 e il 1543, per volere del papa Paolo III, fu realizzata una fortezza (per questo Rocca "Paolina") su quelle che erano le case dei Baglioni. Gli appartenenti a questa famiglia furono i principali rivoltosi contro il papa durante la guerra del sale (aprile 1540), ovvero per la tassa imposta sul sale dopo un periodo di estrema carestia, che causò il malcontento popolare e la conseguente scomunica, nonostante gli accordi già stabiliti con i pontefici precedenti. In realtà, il motivo principale fu quello di riconquistare la perduta autonomia e i privilegi goduti sino a pochi anni prima. La guerra si concluse con la sconfitta dei Perugini e la fine della loro indipendenza e, per riaffermare la sottomissione della città allo Stato della Chiesa, il pontefice volle che si costruisse una rocca (foto in alto) sul luogo dove sorgevano le case dei Baglioni. Per la costruzione della fortezza furono utlizzati i materiali dell'antico borgo di Santa Giuliana a sud della città, demolito per intero con relative chiese e conventi, mentre le case, le vie, le torri e i cortili, ricadenti nel perimetro della nuova fortezza, furono inglobati e coperti con possenti volte per dare maggiore stabilità alla nuova e grande costruzione. Dopo quattro secoli, durante i moti del 1848, la Rocca fu distrutta in parte, ma fu ricostruita nel 1860. Abbattuta dfinitivamente, dopo l'annessione dello Stato Pontificio al Regno d'Italia, diede spazio alla costruzione di molte vie e sistemazioni ottocentesche (piazza Italia, via Masi, giardini Carducci, viale Indipendenza), lasciando come ricordo della Rocca, che era articolata in tre parti (Palazzo Papale, Corridore e Tenaglia), solo i sotterranei del Palazzo Papale. Questi luoghi furono liberati dalle precedenti macerie tra il 1932 e il 1965, aprendosi al pubblico come "città sotterranea" e, dal 1983, attraverso un percorso pedonale percorribile con scale mobili, ha dato la possibiltà di collegare la stazione dei bus alla parte alta della città, liberandola dall'asfissiante traffico automobilistico. L'interessante approfondimento sull'antico borgo coperto e riportato alla "luce", è avvenuto dopo aver letto, nella penombra, le indicazioni nelle due foto di mezzo. A questo punto ho tratto questa considerazione: mentre a Pompei sono stati riportati alla "luce" le vie di venti secoli fa, a Perugia sono stati riportati quelle di cinque secoli fa "al buio".

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Conversazione Piazza Garibaldi/3

A sx Chiesa di San Rocco o Fundrò, a dx Municipio, Piazza Armerina

Chiesa di San Rocco o Fundrò, Piazza Armerina

(dalla 2^ Parte) Continuando la spiegazione della facciata dell'odierno Municipio, notiamo sullo stemma tondo di sx dei Padri Benedettini e sull'altro tondo delle due famiglie piazzesi Calascibetta e Villanova di dx (nei cerchi gialli della foto in alto) due cornici attorno a due lapidi in marmo, contenenti scritte fasciste che furono cancellate con lo scalpello subito dopo la guerra, in quella di dx ci sono ancora i fasci laterali. Nella porta di dx (nel cerchio celeste), c'era il Corpo di guardia daziaria, poi il salone del barbiere Garigliano, il Bar Sport di Gino Giusto, quello di Scarantino e oggi c'è il Caffè del Centro del sig. Manuella. Nella porta di centro (cerchio verde) c'era il Bar di Valentino Conti, poi la Società dei Mutilati e Invalidi di guerra, oggi il Caffè del Centro. Subito sulla sx, attaccata all'ex monastero dei Benedettini oggi Municipio, troviamo la chiesa che i Piazzesi, nel 1572, innalzarono e intitolarono a San Rocco, per essere stati liberati dalla peste (foto in basso). Il campanile fu costruito al posto delle case cedute dal magnifico Antonino Saitta, antenato del piazzese, gesuita, missionario e martire, morto in Messico nel 1695, P. Francesco Saverio Saetta (o Saitta). Entrando in chiesa sull'altare di sx si trova la statua di San Rocco, santo taumaturgico francese del XIV sec. (terziario francescano) patrono degli appestati, protettore dalla peste, dalle malattie gravissime e dalle epidemie, che a Piazza si ripetevano quasi ogni 5-6 anni, alternandosi alla siccità e alle carestie. Dopo sei anni, nel 1578, la peste nel quartiere Canali provocò altre 550 vittime. Nella chiesa di Fundrò quando venne completata e aperta al culto, nel 1640, i PP. Benedettini fondarono la Congregazione dei Maestri Umiliati del SS. Sacramento che, assieme alla Congregazione dei Nobili del Sacramento e alla Compagnia dei Bianchi, subentrarono nel Circolo delle Quarantore all’Arciconfraternita del Sacramento, soppressa nel 1627. Il Circolo delle Quarantore era l’ordine di esposizione con l’ostensorio del SS. Sacramento nelle chiese della città per una settimana ciascuna. Si concludeva la Domenica, con una processione, detta la Levata delle Quarantore, a cui doveva prendere parte immancabilmente l’Arciconfraternita del Sacramento, che ne aveva il Patronato. Grazie al prof. Ignazio Nigrelli sappiamo che per la celebrazione del SS. Sacramento o Corpus Domini, erano effettuati due festeggiamenti solenni. Il primo, nel giorno della ricorrenza religiosa con grandiosa processione diurna, dalle ore 10 alle 13,30 del mattino, con la partecipazione di tutti i confrati che, nell’occasione, indossavano le loro caratteristiche tuniche bianche con lunghi strascichi spiegati; il secondo, all’ottava successiva, con altra solenne processione serale (dalle ore 20 in poi) con due addobbatissimi altari che venivano allestiti in piazza Monte e alla “Cr’s’varìa” (oggi via Marconi). Questa chiesa possiede quattro opere particolari: la prima si trova nella facciata. È la grande e bellissima Meridiana (in realtà si chiama Orologio Solare, perché la Meridiana segna solo le ore 12:00) scolpita sulla pietra arenaria (nel cerchio giallo della foto in basso). La seconda opera è il pregevole dipinto raffigurante la «Presentazione di Gesù al Tempio», copia seicentesca della celebre pala dipinta nel 1519 dall’artista messinese Girolamo Alibrandi, che alcuni suoi biografi hanno chiamato il «Raffaello di Sicilia», per una chiesa di Messina¹. Infatti, la copia sarebbe di un ignoto pittore della prima metà del 1600 di bottega siciliana, che poté osservare direttamente l’opera del «Raffaello di Sicilia». Inoltre, alcune fonti dell’ottocento testimoniano la presenza all’interno di questa chiesa di alcuni pregevoli dipinti legati a nomi di celebri pittori: Giulio Romano, Domenico Zampieri, Raffaello, Rubens, Tiziano ed altri. Queste notizie ce le ha fornite, in uno suo recente studio, la giovane prof.ssa piazzese Chiara Fauzia, che ringrazio. La terza opera è molto particolare e unica a Piazza per il genere pittorico adottato nel dipingere l’alta parete dietro l’altare. La tecnica si chiama trompe-l'oeil (in italiano: inganna l’occhio) che la fa sembrare invece bombata. La quarta opera pregevole conservata nella chiesa di San Rocco/Fundrò, è la statua in marmo della Madonna con Bambino, posta sull'altare maggiore, che si presume sia di un Gagini o di un appartenente alla loro scuola. La statua, chiamata «Madonna del Bosco», era ospitata nella chiesa di Santa Maria presso il borgo di Fundrò, da dove fu portata nella nostra città, allora chiamata Platia, il 18 aprile del 1622 dai Benedettini che, per secoli, considerarono questo giorno festivo. (continua)

¹ Dietro segnalazione dell'amico Antonio Barbera di Messina, sempre attento e interessato lettore, abbiamo saputo il 15 luglio 2019, che «le chiese messinesi che hanno ospitato l'opera di Girolamo Alibrandi sono state in origine la Chiesa della Candelora e successivamente la Chiesa di San Nicolò dei Gentiluomini. Entrambe le chiese furono distrutte dal terremoto (n.d.r. del 1908) e l'opera fu recuperata in frammenti e approssimativamente ricomposta». Nel suo studio la prof.ssa Fauzia conferma la provenienza dalla chiesa di San Nicolò dei Gentiluomini e l'attuale collocazione presso il Museo Regionale di Messina. Inoltre precisa che l'opera a tempera su tavola, di cm 452 x 351, firmata e datata 1519, riporta la seguente iscrizione: Jesus Hyeronimus de Alibrando/Messanus faciebat.

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Conversazione Piazza Garibaldi/2

A sx Chiesa di San Rocco o Fundrò, a dx Municipio, Piazza Armerina

Stemma famiglia Calascibetta/Villanova, facciata Municipio, Piazza Armerina

(dalla Parte 1) Aumentando la popolazione, lo slargo Piano del Borgo è chiamato Foro Centrale, oppure Piazza Maggiore che, a metà del Cinquecento, assume pure la denominazione di Piazza Pescara, di cui ci parla il generale Litterio Villari nella sua opera¹: «La nostra città accolse il viceré don Francesco Ferdinando de Avalos d’Aquino, marchese di Pescara, nell’anno 1569, ottenendone l’approvazione del progetto di costruzione dell’attuale piazza Garibaldi, che allora era detta Foro Centrale ed in seguito Foro Pescara». Accanto alla citazione, però, non viene menzionato il documento da cui il Villari trae questa notizia, mentre, per altre notizie dello stesso anno, ci rimanda al Libro dei Privilegi ma, avendolo consultato di recente, non è stata rintracciata quella inerente al nome di Piazza Pescara. Inoltre, nella stessa pagina, si parla del rivelo o censimento voluto dal viceré e riportato dal paleografo Garufi, che registrava a Piazza 13.817 abitanti, quando Catania ne contava 26.000. L’altra tesi, un po’ meno prestigiosa, dei primi del Novecento, dice che si sarebbe chiamata Piazza Pescara, per la presenza della pescheria o mercato del pesce dalla parte opposta del Palazzo di Città, per intenderci dove c’era il negozio di giocattoli e profumi del sig. Valentino Alessandro. Potrebbe darsi, come dice qualcuno, che il Villari abbia inteso Pescara invece di Pescheria, conoscendo l’interessamento del viceré de Avalos per la città in quel periodo. A questo punto occorre, per il principio che senza documenti non si perpetuano errori di date, nomi e avvenimenti della tradizione, prendere le distanze e aspettare ulteriori ricerche e approfondimenti a tal proposito. Questo piano del Borgo o Piazza Maggiore rimase il centro della nuova città in espansione sino ai nostri anni Sessanta/Settanta, sino a quando il centro si trasferì nell’attuale Piazza Generale Cascino, prima intesa come Butt’ghèddi, per una serie di botteghe in piccole baracche di legno prima, casette in muratura poi, mentre la nuova strada mastra divenne l’odierna via Marconi assieme alla via Garibaldi. Adesso passiamo alla descrizione vera e propria. Nella nostra piazza Garibaldi esistono palazzi ecclesiastici e civili. Iniziando da dove finisce la via Marconi, prima chiamata Cas’varìa, abbiamo il prospetto ovest dell’attuale Municipio, dal 1622 monastero e abbazia dei Benedettini provenienti da quello di Fundrò, borgo e casale a metà strada lungo l’antica trazzera che collegava Piazza ad Enna. L’abbazia nel borgo di Fundrò era stata fondata nel 1418 dal piazzese frate benedettino Guglielmo Crescimanno. Dieci anni prima del loro arrivo, nel 1612, i Benedettini avevano manifestato la volontà di trasferirsi in un centro abitato perché, da quando dopo un incendio, a metà Cinquecento, il casale era andato distrutto, le vie e le trazzere senza manutenzione erano diventate impraticabili e pericolose, e l’abbazia di conseguenza rimaneva isolata e scomoda e, quindi, aperta a possibili attacchi di bande di malfattori. La scelta tra Piazza ed Enna cadde sulla nostra città che doveva garantire dei locali per il monastero e una chiesa attigua. Nel 1622, il monastero si sistemò nelle case donate dalla famiglia Tirdera, che stavano accanto alla chiesa di San Rocco. Nove anni dopo, nel 1631, si aggiunsero i locali donati dal nobile Placido Villanova, figlio di Francesco Villanova e Silvia Calascibetta. Ecco spiegato lo stemma delle due famiglie che si può ammirare ancora oggi sulla porta del Caffè del Centro (foto in basso). (continua)

¹ Litterio Villari, Storia della città di Piazza Armerina, IV edizione, IBN Editore, Roma 2013, p. 347.

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Conversazione Piazza Garibaldi/1

CONVERSAZIONE PIAZZA GARIBALDI/1

Conversazione tenuta presso l'Università del Tempo Libero «I. Nigrelli» il 9 maggio 2019 dal prof. Gaetano Masuzzo

A mano a mano che il nostro centro abitato si è ingrandito, dai primi decenni del 1200 i centri di aggregazione e gli spazi pubblici dei Piazzesi si sono spostati, così come le "strade mastre" (foto in basso). Si è passato dal piano davanti la chiesa di San Martino, collegata alla zona dove esisteva un castello a guardia della valle Rocca, attraverso la strada mastra di allora, l’odierna via Misericordia, al piano Monte, oggi piazza Gen.le Giunta, collegato con San Martino attraverso la nuova strada mastra, oggi via Crocifisso (1300-1400), al piano Duomo collegato con la nuova strada mastra, oggi via Monte (1500), al piano del Borgo, oggi Piazza Garibaldi, collegato con l’antico centro abitato, per mezzo della nuova strada mastra: da piazza Duomo, piazza Castello, via Vittorio Emanuele chiamata, dai primi anni del 1600, Discesa o Salita del Collegio per la presenza del Collegio dei Gesuiti. Un’alternativa a quest’ultima fu l’odierna via Cavour, intesa dai piazzesi come via Santa Rosalia nel primo tratto, di Santa Caterina nel secondo tratto. Dell’esistenza nel XIII secolo di un Borgo verso valle, ce lo accenna il prof. Ignazio Nigrelli quando dice che «in documenti notarili del 1263 si parla del borgo, detto Borgo di Piazza, e di uno slargo presente in questo luogo chiamato piano del Borgo, distinto e distante dalla Città del Monte, l’odierno quartiere». Questo Borgo non farà parte del Borgo Vecchio, quello della Castellina, sino al 1337, quando inizierà la costruzione delle nuove mura per una città di quasi 6.000 abitanti. Nel frattempo le case dell’altra valle, verso sud (oggi quartiere Canali) sono aumentate per l’arrivo di numerosi gruppi di Ebrei. Un altro incremento ci sarà alla fine del secolo, quando nel 1396 gli Aragonesi, distruggendo i casali ribelli di Gatta, Polino, Fundrò e Rossomanno, costringeranno gli abitanti scampati alla morte dei primi due casali a rifugiarsi in questa valle, formando l’odierno quartiere Canali e facendo raggiungere, nel 1464, gli 8.000 abitanti. (continua)
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I buchi nei pilastri dei balconi

Buchi nei pilastri di un balcone nel centro storico di Piazza Armerina

Altro esempio di buchi nei pilastri di un balcone nel centro storico di Piazza Armerina

Esempio di grata in una finestra con la parte inferiore aperta²

Quando i buchi sono nella metà inferiore della finestra³

Che gran parte dei pilastri con buchi a diverse altezze, che vi ho fatto vedere nelle mie foto scattate a Piazza (foto in lato e in mezzo), siano riciclati, è assodato. Prima, tutto poteva servire per altri scopi, non si gettava alcunché. Ma che in altri posti fossero quelli originari e per uno scopo ben preciso, è altrettanto sicuro. Infatti, come dice il nostro amico Franco Calì¹ «In quei buchi era fermata una grata che proteggeva la presa luce [in alto o in basso] quando i balconi erano chiusi». Stiamo parlando di aperture del Cinquecento e del Seicento, quando non c’erano il benessere e le comodità di oggi, e fare entrare di più la luce e, quindi, il sole, nelle ampie stanze fredde e umide, era di vitale importanza, anche se, fare grandi balconi e grandi finestre, aveva spese enormi, infatti i palazzi erano sempre di famiglie benestanti se non ricche. Nella foto in basso si vede come nella parte inferiore la grata non sia fissata (come si presume sia stata in quelle del nostro centro strorico) ma sia rimasta con i tondini retti e acuminati².

¹ Facebook, commento del 19/06/2019.

² Grata a protezione di una finestra di Sant'Anna a Le Guerno-Francia nord-occidentale, fonte Wikipedia.

³ Finestra fotografata ad Assisi.

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Il VI Orologio solare di Piazza

L'orologio solare o sciotère sulla facciata dell'I.I.S. Majorana-Cascino di Piazza Armerina

Questo nella foto è l'orologio solare affisso¹ sulla facciata dell'odierno Istituto d'Istruzione Superiore Ettore Majorana - Gen.le Antonino Cascino in Piazza Senatore Marescalchi (ex Piazza Stazione Ferroviaria) ed è il VI esistente a Piazza Armerina. Dalle scritte sappiamo che è stato fatto il 4 giugno del 2009 con la collaborazione del prof. Giacinto Bitetti del Gruppo Astrofili Catanesi, per il programma "Scuole aperte" a.s. 2008-2009 previsto dal Ministero Istruzione Università Ricerca. In alto a sx ci sono i loghi dell'istituto e del ministero, in basso a dx c'è la rosa dei venti e le coordinate per le quali l'orologio è stato tarato. In alto a dx è posto lo gnomone che proietta l'ombra solare sulla superficie solcata dal tracciato delle linee orarie, su una delle quali c'è la frase «È pìù tardi di quanto pensi», di monito a coloro che si accingono a varcare l'ingresso. Non so quanti alunni e operatori scolastici abbiano notato, in dieci anni, la presenza di questo orologio solare incombente sulle loro teste.

¹ Alla fine di maggio 2019 è stato tolto dalla facciata.

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La conversazione sulla via Marconi

La via Marconi, ex Cas'varìa, a Piazza Armerina, negli anni Sessanta

Alla fine del Seicento il centro della nostra Città passa dal piano prospicente la chiesa di San Martino alla piazza Duomo, poi al Piano del Borgo che poi, nei secoli, è chiamata Piazza Maggiore o Foro Centrale. Questa piazza dal 1569, ma la notizia è da verificare, diventa Piazza Pescara, perché il viceré don Francesco Ferdinando de Avalos D’Aquino, marchese di Pescara, approva il progetto della sua ristrutturazione e sistemazione, oltre a quello per la rete fognaria nelle zone più importanti della città. Questa va ampliandosi verso il piano del Patrisanto o dei Teatini, dove esistono Monasteri e Conventi con le relative chiese e dove esiste una delle (almeno) 7 Porte della Città, quella a oriente, forse la più importante. È quella accanto alla Commenda dei Cavalieri Ospedalieri di San Giovanni Battista, che prende appunto il nome di Porta di San Giovanni Battista. Questa porta poco tempo dopo è abbattuta, per aprire la città verso la Piana delle Botteghelle e verso il quartiere del Casalotto, sino al 1598 di proprietà di don Francesco Branciforti, conte di Mazzarino, che ottiene, in cambio, l’uso dell’acqua del fiume Gela per i suoi mulini. Le vie principali di questo periodo sono: la salita di Santa Rosalia e di Santa Caterina, oggi via Cavour, che collega piazza Pescara al Duomo; la discesa del Collegio (calàda ô Culègiu) oggi via Vittorio Emanuele II; la strada dei fondachi o ferrerìa, oggi via Roma; la strada che, nel 1711, prederà il nome di Strada del Principe; la carrèra o via dei gessai, oggi via Mazzini; la strada della fiera poi dei mercanti, oggi via Umberto; la Cas’varìa, oggi via Marconi. Quest’ultima nel comune parlare degli abitanti e nei documenti ha 5 varianti: Corbiserìa, Cresiverìa, Crasvarìa, Cr’s’varìa e Cruvisarìa (quest'ultima su una pianta della città del 1689). Tutte derivano da Cr’v’sarìa  che vuol dire «via dove si trovano i cr’v’sèri o calzolai». Il piazzese cr’v’ser e il siciliano curvisèri o cruvisèri, che vogliono dire calzolaio, derivano dal francese antico corveisier/courvesier (ciabattino), derivato di corveis/corvois, ovvero cuoio di Cordova, pellame usato dai ciabattini nelle loro manifatture. Sono voci ormai scomparse dall’uso comune però, nel passato, erano molto conosciute perché il sito era molto popolato e frequentato. A tal proposito lo storico prof. Ignazio Nigrelli nel 1989 ci ricordava l’esistenza di un’usanza particolare in quel tratto di strada «In quel luogo si faceva a mascarïada d’a Cr’v’sarìa che consisteva nel beffeggiamento di quanti passavano nei giorni di Carnevale per l’attuale via Marconi da parte dei calzolai (cr’v’sèri) dove avevano i loro laboratori. Siccome mascariäda vuol dire anche tinteggiatura, forse doveva esserci anche qualche lancio di sostanze polverose, più o meno profumate (cipria, borotalco, cuoio, segatura, lucido)». A proposito dei Calzolai, uno dei due Sodalizi o Confraternite (gruppo di persone dello stesso mestiere che si mettevano insieme, riunendosi in un oratorio o chiesa, per la cura e riparazione di questi luoghi, per pregare, discutere dei loro problemi lavorativi, trovare soluzioni per aiutarsi a vicenda dal punto di vista economico e spirituale e, non ultimo, per pensare alla loro decorosa sepoltura una volta conclusa la loro vita terrena) più antichi della città fu quello, incentivato nel 1400 dai frati Domenicani, dei conciatori di pelli, calzolai e calzettieri sotto la protezione dei Santi Crispino e Mercurio con sede presso la chiesa di San Vincenzo Ferreri, I Santo Compatrono della Città. Sino a primi decenni del Novecento, l’odierna via Marconi era un tutt’uno con la via che andava verso San Giuànn o verso la Porta d’ San Giuànn (Battista), poi chiamata a stràta ô Prìnc’p (la strada del Principe, in onore di don Vincenzo Starrabba barone di Scibini e principe nel 1711 di Giardinelli che, alla fine del XVII secolo vi aveva costruito il proprio palazzo, quello di fronte le suore di Maria Ausiliatrice) e che poi, dopo l’arrivo dei Savoia, le fu dato il nome di via Giuseppe Garibaldi. Dopo la morte nel 1937 del fisico e inventore Guglielmo Marconi gli fu intitolato, negli anni ’40, il tratto di strada che va dall’odierna piazza Garibaldi all’odierna via Garibaldi. Su una cartolina della via Marconi negli anni ’40, ancora troviamo “Corso Garibaldi” e, ancora dopo, anche piazza Guglielmo Marconi. Circa sessanta metri che hanno significato molto per la storia della nostra Città e dei nostri concittadini, che vi avessero o meno una attività commerciale o ricreativa di ogni genere: calzolai, barbieri, caffè, pasticcerie, banche, farmacie, agenzie, mercerie, fotografi, armerie, benzinai, apparecchi radio, tabaccherie e società di mutuo soccorso. (Nella conferenza “A SPÀSS PA CAS’VARÌA – La nostra via Marconi” tenuta dal sottoscritto il 30 maggio 2018, presso la S. M. “Cascino” per l’Università del Tempo Libero “I. Nigrelli”, sono stati elencati, inoltre, grazie alla memoria storica di mio padre, il falegname e negoziante di ferramenta Gino Masuzzo classe 1921, che non c’è più dal 2015, e del mio amico Tanino Santangelo, i negozianti presenti in questo tratto porta per porta, dagli anni Trenta del secolo scorso ai nostri giorni).

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Gli stemmi nel chiostro dei Carmelitani-7

Stemma P. Bartolomeo Ragusa, portico nord, chiostro del convento dei Carmelitani, XVI sec., Piazza Armerina

Stemma P. Girolamo Amoroso, portico nord, chiostro del convento dei Carmelitani, XVI sec., Piazza Armerina

GLI STEMMI NEL CHIOSTRO DEI CARMELITANI-7

(dalla 6^ parte) Come abbiamo visto nel post precedente, durante il primo mandato priorale (1574-1578) del piazzese carmelitano P. Giovanni Pietro La Vaccara, furono costruiti i due portici a nord e a est. Mentre in quello a est non troviamo blasoni ma solo la data "1575" nell’arcata centrale tra la 3^ e la 4^ colonna, in quello a nord P. La Vaccara fece murare i blasoni di due Provinciali di quel periodo, Padre Bartolomeo Ragusa (o Rausa) da Mazzara (torre in punta e il sole nascente in capo) sull'interstizio tra la seconda e la terza arcata, e Padre Girolamo Amoroso da Calatafimi (asta con due stelle ai lati, in punta due colombi sopra un giglio) sull'interstizo tra la terza e la quarta arcata. Entrambi i Padri carmelitani, furono Provinciali di Sicilia¹, dopo P. M. Egidio Scrigno (1563-1568). Di P. Bartolomeo Ragusa sappiamo dall’elenco dei vescovi e dei vicari generali nella Diocesi di Mazzara dal 1317 al 1646 (al n. 11), che fu, durante il governo del vescovo Antonio Lombardo, vicario generale della Diocesi dal 1573 al 1579 :«Forbito oratore, facondo scrittore, è considerato un vero decoro e ornamento della famiglia dei Padri Carmelitani. Il vescovo Lombardo lo volle accanto a sé e dal Pontefice Pio V  fu inviato come Visitatore Generale della Chiesa agrigentina. Nell’arco di un decennio riuscì a riformare l’Ordine dei carmelitani e fu per dieci anni Priore dell’Ordine nella Sicilia. Morì a Roma nel 1581 dove si era recato per partecipare all’elezione del nuovo generale dei Carmelitani»². Inoltre, in un commento su un blog, veniamo a sapere che «A Mazara i Padri Carmelitani edificarono Chiesa e convento attorno al 1450, nel 1455 Convento e comunità erano già formati poiché il convento fu sede di un Capitolo Provinciale dell'Ordine, l'edificazione non era sul luogo attuale ma nel quartiere San Giovanni, accanto la chiesa di San Bartolomeo, successivamente nella seconda metà del XVI secolo i Carmelitani si spostarono dove ora sorge la chiesa ed il convento, la nuova chiesa fu intitolata all'Annunziata come quasi tutte le loro chiese, principali fautori nella nuova costruzione furono due fratelli entrambi frati Carmelitani Bartolomeo e Pompeo Ragusa, Bartolomeo fu anche Provinciale dell'Ordine, eletto ad Enna il 2 maggio 1568, Pompeo divenne Procuratore dell' ordine Carmelitano,e Reggente dell'Università degli Studi di Parigi nel 1569 e nel 1575 Reggente dell'Università di Pavia, morì a Mazara nel 1600 e venne sepolto nella chiesa dell'Ordine»³. Per quanto riguarda P. Girolamo Amoroso da Calatafimi non si hanno altre notizie oltre a quelle riportate sopra.


¹ Prima della divisione, nel 1585, in due: Provincia occidentale intitolata a Sant'Angelo di Sicilia e Provincia Orientale intitolata a Sant'Alberto da Trapani.

² www.diocesimazara.it/pls/mazaradelvallo/v3_s2ew_consultazione.mostra_paginawap?id_pagina=28848 (consultazione del 17/04/2019).

³ http://bypassdue.blogspot.com/2010/08/sede-del-comune.html T.O.C.-Marcella Spanò 30/08/2014 (consultazione del 17/04/2019). La sigla T.O.C. sta per Terzo Ordine Carmelitano.

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