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Cronarmerina - Luglio 2017

Un'altra lapide torna alla "luce"

Breve storia del monastero di S. Giovanni Evangelista

Grazie alla lapide (nella foto) affissa internamente¹, a pochi metri sulla sinistra dal portone d’ingresso dell’attuale Ostello del Borgo, sappiamo che proprio il 29 luglio del 1608, quindi quattro secoli fa circa, moriva la badessa (o abbatessa) Fulgenzia LI GREGNI. Eccovi la traduzione in italiano della scritta in latino:
<<PER MEZZO DI DIO, IL PIÙ BUONO, IL PIÙ GRANDE
A suor FULGENZIA LI GREGNI,
esempio di vita purissima,
per 54 anni diligentissima badessa
di questo monastero per concessione papale.
Per lei, le suore, figlie addolorate, posero (questa lapide).
Morì l’anno del Signore 1608
il 4° (giorno) K (delle calende) di agosto (ovvero il 29 luglio)
all’età di 78 anni>>.
Grazie alle notizie raccolte dallo storico gen.le Litterio Villari nel suo prezioso volume Storia Ecclesiastica della città di Piazza Armerina, Messina 1988, da p. 312, sappiamo che suor Fulgenzia Li Gregni venne eletta badessa (la 3^ su un totale di 16) del Monastero di S. Giovanni Evangelista di Piazza all’età di ventiquattro anni, quindi nel 1554. Allora il monastero operava ancora negli edifici ereditati dalla fondatrice, Florenzia Caldarera vedova del regio milite Giovanni Caldarera. La pia signora Florenzia nel 1361 aveva fondato nella propria casa, dove anticamente c’era l’Oratorio intitolato a S. Giovanni Evangelista, il Monastero del medesimo Santo dotandolo del proprio feudo di contrada Braemi-Rabottano. L’istituzione ebbe l’autorizzazione vescovile adottando la regola di S. Benedetto e dopo circa un secolo dalla fondazione, nel 1450, le sole professe arrivavano ad oltre cento, senza contare le educande e le converse che provenivano esclusivamente da famiglie nobili di Piazza e della Comarca lombarda. La nuova badessa Fulgenzia, monaca di grandi iniziative, progettò nella seconda metà del Cinquecento un grosso ampliamento del monastero, in modo da dare ad ogni consorella una cella e a tutte una permanenza gradita e serena. Durante i suoi 54 anni di governo della Badia portò a compimento l’opera, costruendo al posto dell’antica abitazione Caldarera la nuova chiesa, adattando l’oratorio a refettorio, migliorando il giardino e innalzando una nuova ala dormitorio prospiciente la “stràta a fèra” o “dei mercanti”, l’odierna via Umberto. Poi nel 1664, quindi sessant’anni dalla morte della badessa Fulgenzia, la badessa Maria Stella Episcopo ingrandì ulteriormente l’ala sulla via “dei mercanti” aggiungendo altre 14 celle, dei magazzini e l’infermeria. Dopo il terremoto del 1693, la badessa Margherita Solonia dei baroni di Bonfalura ricostruì il muro di cinta lungo la salita S. Giovanni chiamata “scalazza”. Nel 1697 la badessa Ottavilla (o Ottovilla) La Valle dei baroni di Gerace e Geracello spese 390 onze, dietro autorizzazione vescovile, per restaurare il dormitorio lungo la “stràta û Prìnc’p”, oggi via Garibaldi. All’inizio del Settecento, sotto il governo della badessa Ottovilla Torricella, furono ultimati i lavori di completamento della chiesa, mentre fu rinviata la realizzazione del campanile per l’indisponibilità dei mezzi finanziari. Nel 1715 ritorna la badessa suor Margherita Solonia e realizza due oratori, al piano terra e al primo piano. Poi, nel 1721, nell’occasione di una eredità di 400 onze pervenuta all’anziana suora Ottavilla La Valle, l’abbatessa Angelica Cremona utilizzò la somma per il completamento e l’abbellimento della chiesa chiamando il pittore fiammingo Guglielmo Borremans (1670-1744) che lavorava in quel periodo a Caltanissetta, per gli affreschi. Qualche anno dopo fu progettato e ultimato (nel 1730 ca.) il campanile, come torre campanaria isolata nell’interno del monastero, sotto il governo di suor Eletta Cremona sorella di Angelica. Da allora, dall’alto della torre, le diverse campane suonate all’alba dalle converse, iniziarono a svegliare i Piazzesi che le chiamavano “i campàni da batìa”. Nel 1759, sotto il governo della badessa Maria Crocifissa Cagno, per minaccia di crollo fu abbattuto il dormitorio sull’odierna via Garibaldi per ricostruirlo ex novo. Un secolo dopo, nel 1860, venne demolito il dormitorio sull’odierna via Umberto per ricostruirlo su due piani, come lo vediamo oggi. La vita economica del monastero poteva contare sui proventi di feudi, terre seminative, noccioleti, orti, mulini, raccolte di legna, operazioni finanziarie della propria “Cassa di li Capitali” che operava come un vero e proprio istituto di credito, specie dal 1709 quando col nome di “Cassa di S. Giovanni” l’attività aumentò in misura notevole superando decisamente quella del Monte di Pietà cittadino. All’istituto delle suore si rivolgevano la Deputazione frumentaria del Comune, l’amministrazione Comunale, quella Fidecommissaria della Chiesa Madre (Duomo poi Cattedrale), quelle delle varie Case religiose (Teatini, Gesuiti). C’era anche il reddito proveniente dalle attività artigianali delle monache come dolci e manufatti cuciti e ricamati e delle scuole femminili (magistrale, professionale e musicale per l’apprendimento del clavicembalo, dell’organo, della viola e del violino). Tra le entrate più importanti, c’era anche quella proveniente dalla “dote” che ciascuna monaca portava al momento dell’entrata al monastero che non poteva essere inferiore alle 200 onze. Un’onza corrispondeva a ca. 180 Euro di oggi. Nel 1867 con le leggi Siccardi il nuovo Governo Piemontese confiscò tutti i beni dei monasteri e dei conventi e quello di S. Giovanni Evangelista raccolse tutte le monache sfrattate dagli altri monasteri. Le monache, minacciate di galera e trattate con durezza, ebbero soltanto una minima sovvenzione per sopperire alle più urgenti necessità. Tutto ciò le costrinse a farsi coraggio e a tirare avanti con il loro lavoro di cucito, ricamo, dolceria e scuola di musica. Sino al 1916, quando il Comune, per dare alloggio ai prigionieri di guerra, ordinò alla badessa di allora, suor Marianna Ciancio, di lasciare libero da cose e da persone il monastero entro 8 giorni, dopo ben 555 anni. 

¹ «Quella lapide l'ho fatta collocare io circa otto anni addietro, proprio per evitare che andasse perduta. Il primo che parlò del monastero fu Alceste Roccella e poi, agli inizi del 900, Mons. Calogero Minacapelli pubblicò un libro molto dettagliato sulla storia del monastero e della chiesa nel quale si legge anche della lapide e di tantissime altre notizie molto interessanti. A questo libro attinse molto il Generale Villari». (Prof. Marco INCALCATERRA, agosto 2017)

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Edicola n. 55

L'Edicola Votiva n. 55 si trova in via Aguglia. E' stata ricavata da una ex finestra al primo piano di un immobile a pochi passi da due Edicole Votive, la n. 39 e la n. 40, che si trovano in via Ortalizio, la discesa che dallo Stradonello porta alla provinciale n. 15 per Barrafranca. L'edicola racchiude un quadro con la stampa di S. Giuseppe con Gesù Bambino e un vasetto con dei fiori in plastica. Il tutto è protetto da un telaio con due sportelli in ferro che stanno quasi sempre aperti. L'ho potuta censire grazie alla segnalazione di un'amica che frequentava quella zona, altrimenti non avrei potuto perché non è tanto visibile ai passanti. Nella sua semplicità devo dire che è tenuta bene, grazie al proprietario dell'immobile che la ospita. Colgo l'occasione per ricordare che del cognome Aguglia nella nostra Città si ha notizia sin dal 1546, quando al Viceré di allora, don Giovanni de Vega, fu segnalata la spietata lite tra due grosse fazioni piazzesi per grossi motivi di interessi economici. Le due fazioni contrapposte erano formate da un lato dalle famiglie Aguglia, Trigona, Crescimanno, Zebedeo, Bonaccolti, de Amore, Sanfilippo, Bisazza, Pillotta e La Torre, dall'altro dalle famiglie de Assaro (la famiglia della futura moglie del barone Marco Trigona, Laura) e Lo Bosco. Solo nel 1555 furono firmati nella chiesa maggiore i "capitoli di la pachi" (capitoli di pace) alla presenza del figlio del Viceré, Ferdinando de Vega.

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Le vie di Piazza/P - Q

Piazza Giuseppe Paladino

Dal 20 ottobre 2016 ho iniziato ad elencare tutte le strade di Piazza Armerina, con scritto accanto da dove iniziano sin dove arrivano, per meglio localizzarle. Lo scopo principale è quello di far conoscere ai Piazzesi e non il nome sia delle strade conosciute, sia delle tante sconosciute ai più e con nomi particolari. Ogni post elencherà le vie in ordine alfabetico e, per quanto è possibile, è stato messo a chi è stata intitolata. Si accettano segnalazioni di eventuali vie sfuggite nella compilazione.

P

Via PAPA PACELLI, (pontefice) da via C. Di Marco a via I. Granato
Via PADOVA, (dal 2011 via Don Milani) da via Gen. Ciancio a via Toselli
C.le PAGLIARO, nella via Carbone
P.zza PALADINO GIUSEPPE, (pittore) da via Umberto I a via Seminario
Via MONS. PALERMO, (vescovo di Piazza) da via P. Intorcetta a c.da S. Giorgio
Via PAPÈ ANTONIO, (piazzese valoroso) da via F. Cagno a via Monza
Via PAPINI GIOVANNI, (scrittore) traversa di via F. De Santis
C.le PAPPALARDO, (Salvatore, docente Regio Liceo) nella via Cucuccio
Via PARISI, (famiglia) da via Monte a via Tudisco
Via PARISI UMBERTO, da p.zza A. De Gasperi a c.da Domartino
Via PARLAGRECO CARLO, da via dr. S. La Malfa alla stessa via
Via PARLASCINO, (Mario, caduto 2^ G.M.) da via G. Matteotti alla stessa via
C.le PARLATO,(Raffaele, sindaco poi podestà) nella via Umberto I
Via PASCOLI GIOVANNI, (poeta) da via B. Croce a c.da Costantino
Vico PATERNICÒ, (famiglia) da via S. Nicolò a via Campagna di S. Martino
Via PATERNICÒ FILIPPO, da via G. D'Annunzio a via Mons. Catarella
Vico PATERNÒ, (famiglia) da piano F. Sottosanti a c.da Domartino
Vico PATRÌ, (famiglia) da via Tudisco a via Ferrante
Via PAVONE, da piano Carcere a via Muscarà
C.le PECORA, (Vincenzo, caduto 1^ G.M.) nella via G. Matteotti
Vico PECORELLA, da via Emma a vico Abisso
Via PERGOLA, da p.zza Gen. Cascino a via Celso
Vico PERGUSA, nella via S. Giorgio
Discesa PESCHERIA, da p.zza S. Rosalia a via Giurbino
C.le PETRALE, nella discesa La Rosa
Via PETRARCA FRANCESCO,(poeta) da via Machiavelli a c.da Costantino
Via PIACENZA, da via Vitt. Veneto a via Caltanissetta
Via PIAZZA FILIPPO, (sacerdote, professore e storico locale) da via L. Gebbia a c.da S. Pietro
Via PIAVE, da v.le Gen. Ciancio a v.le Gen. Muscarà
Vico PILOTTA, (Salvatore, caduto 2^ G.M.) da via S. Agostino a Largo Salvatore
Via PIRANDELLO LUIGI,(scrittore) da via S. Filippo a c.le Giarrizzo
Via PIRRO ANTONIO, (protomedico piazzese, nel 1527 operò per debellare la peste in Sicilia) da via G. Montalto a c.da Dommartino   
Via PISA, nella via Mendozza
Arco PISTOIA, da via Cannizzo a via S. Lucia
C.le PITTÀ, (Paolo, canonico insegnante Regio Liceo) nella via Iaci
Via PITTÀ, (Filippo, musicista maestro di cappella in Cattedrale) da p.zza Duomo a c.le Taormina
Arco PLATAMONE, (famiglia) da via Garibaldi a via Umberto I
Via POCOROBBA, (Concetto, caduto 2^ G.M.) da via Tudisco a via Stradonello

Largo PORTA CATALANO, da via Stradonello a via Costa Vallone di Riso

Via PORTA CATALANO, dalle vie Muscarà e Tudisco a via Stradonello
Via PRINCIPATO SALVATORE, (maestro antifascista fucilato nel 1944) da p.zza A. De Gasperi a piano Canali
Via PROCACCIANTI, (famiglia) da via S. Lucia a c.le Sottile
C.le PULICI PIETRO, (benefattore piazzese dell'Ottocento) nella via Castellina

Q

Via QUASIMODO, (Salvatore, poeta) da via Col. Tuttobene a via P. Nenni

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Aguzzate la vista n. 27

La croce mai vista nella chiesa più antica della Città

È vero, all'occhio allenato del curioso nulla sfugge. L'altro giorno mi trovavo in piazza Martiri d'Ungheria, meglio conosciuta come piazza Teatini, in attesa che aprisse l'agenzia assicurativa e pensavo a quanta storia ci fosse in queste poche decine di metri quadrati. Un convento, un monastero e una Casa/Collegio con le rispettive chiese, palazzi nobiliari e una torre con le vecchie mura della città attorno alla piazza chiamata anche "del mercato settimanale", al di sotto della quale durante la seconda Guerra Mondiale era stato ricavato un rifugio antiaereo. E mentre pensavo, mi chiedevo se, guardando molto più attentamente il muro millenario della chiesa che avevo davanti, avessi potuto scoprire qualche dettaglio ancora sconosciuto. Ho avuto fortuna e gli occhi sono caduti su un piccolo blocco di pietra arenaria dove è scolpita una croce, chissà quando e da chi. La croce è quella nella foto in alto ed è la tipica "croce greca" formata da quattro bracci di uguale misura che si intersecano ad angolo retto. Questo "ritrovamento" mi dà lo spunto per riassumere la millenaria storia di questa prestigiosa ma dimenticata chiesa, riportando brani tratti dal libro dello storico Litterio VILLARI, Storia Ecclesiastica..., 1988, pp. 358, 359. La chiesa di S. Maria al Patrisanto concessa ai Teatini era ed è la più antica della città. Costruita sul finire del secolo XI (1090 ca.) fu donata¹ dal conte Simone Aleramico, dei marchesi del Vasto e di Savona, alla chiesa episcopale di Catania nell'anno 1142. Nulla ci è dato sapere sull'attività religiosa nel periodo normanno-svevo però, da un documento dell'antipapa Nicolò V del 1329 sappiamo che la chiesa è costituita a rettoria, cioè sacramentale o suffraganea della Chiesa Madre e che si trova nel borgo abitato chiamato "il Patrisanto" situato nel pendio fra la torre e la "Taccura", in quella striscia di terra detta anche "Casette". Nel secolo XVI (1500) la chiesa cambiò nome da S. Maria al Patrisanto² a quello di S. Lorenzo Martire in omaggio alla famiglia aidonese dei Gioeni che proprio allora ne ereditava dai Branciforti il patronato. Con l'arrivo dei Teatini nel 1609 il titolo di chiesa sacramentale passò alla vicina chiesa di S. Stefano. Della primitiva costruzione, opera architettonica normanna, si sono conservati i muri esterni³; in particolare il lato a sud (quello sulla piazza) mostra i segni del primo periodo del gotico siciliano nel caratteristico portale ad arco acuto e nelle quattro finestre-feritorie, delle quali tre trovansi ad un metro dall'antico tetto, mentre la prima è situata più in basso e pare sia servita ad uno scopo speciale. Queste finestre-feritoie sono "molto simili alle finestrelle della chiesa di Sant'Andrea" (prof. Onofrio PRESTIFILIPPO) e si riscontrano "affinità con l'architettura di Sant'Andrea e della Commenda" (Walter LEOPOLD). L'interno e la facciata incompleta sono di epoca barocca, ricostruiti nel secolo XVII (1600) dai Teatini. L'interno, originariamente a tre navate, con antichi affreschi4 che affiorano di tanto in tanto sulle pareti, venne ristrutturato sul modello della chiesa teatina romana di S. Andrea della Valle. A lavori ultimati, circa l'anno 1650, assunse l'attuale configurazione di chiesa ad una vasta navata centrale di cui parlerò, dettagliatamente, un'altra volta. 

¹ <<Il diploma di donazione fu scritto in lingua greca e ciò lascia intendere che la zona era abitata da persone che parlavano greco (gli antichi bizantini)>>. (Onofrio. PRESTIFILIPPO, Notizie sulla Chiesa dei Teatini, Dattiloscritto, 2006?, p. 1) 

² In qualche testo è detta erroneamente di Santa Maria del Gorgo Nero confondendola con un'altra, sempre esitente nel piano del Patrisanto, chiamata appunto di S. Maria del Gorgo Nero (in qualche testo anche della Fonte di Vico), ma andata distrutta proprio nello stesso XVI secolo. Quest'ultima chiesa custodiva una grande immagine di stile bizantino della Madonna che, a causa della distruzione, fu portata nella chiesa di S. Barbara. In seguito, dopo l'arrivo dei Teatini, l'immagine fu riportata in S. Lorenzo al Patrisanto. Nel 2000, il vice-presidente della Casa di Riposo S. Giuseppe, prof. Onofrio PRESTIFILIPPO, mentre faceva <<pulire la Chiesa dalle sozzure provocate dai piccioni e risistemare le chiusure delle porte>> trovandosi a <<rovistare tra l'intercapedine tra il muro Medievale e il muro seicentesco ho trovato due tele mal ridotte, esse sono: la famosa Madonna del Gorgo Nero e San Michele Arcangelo>>. Per essere più sicuro dell'originalità del quadro il professore chiese aiuto al gen.le Villari che, dopo qualche mese di ricerche, gli indicò un libro nella nostra Biblioteca Comunale dove <<troverà una fotografia della Madonna>>. Fu così che il professore Prestifilippo aveva ritrovato la famosa tela bizantina del XII secolo <<in mezzo agli escrementi di piccione>> (Ibidem, p. 8).

³ <<Infatti dovete sapere che tra il muro medievale prospiciente il piano Teatini e la ricostruita chiesa seicentesca esiste un'intercapedine che corre lungo la parte laterale della chiesa fino alla facciata principale. Esistono, insomma, due muri. Quindi è da ritenere che i Teatini procedessero a una demolizione e ricostruzione progressiva dell'intera chiesa medievale, così da garantire sempre uno spazio utile per la celebrazione della messa. A proposito del muro medievale voglio ricordare a tutti che la parte finale dell'intercapedine è usata attualmente come camera mortuaria della chiesa di S. Stefano con una porta costruita in epoca successiva (n.d.r. sottostante la piccola finestra-feritoia con la croce accanto, nella foto in basso)>>. (Ibidem, p. 12)

4 <<Nel mese di dicembre del 1767 Donato Del Piano (n.d.r. l'organaro) è a Piazza Armerina dove è chiamato dai fidecommissari della chiesa matrice per eseguire alcuni rifacimenti agli organi da lui costruiti tra il 1740 e il 1743 e per perfezionare e firmare le convenzioni per la realizzazione degli organi della Casa dei Padri teatini e del convento delle monache benedettine. Il giorno 14 di quel mese si accorda, infatti, con padre Tommaso Valguarnera, preposito della Casa dei padri teatini, per la costruzione di un organo per l’attigua chiesa di San Lorenzo al Patrisanto, pregevolmente affrescata alcuni decenni prima dal pittore fiammingo Guglielmo Borremans>>. (F. PEZZELLA, Donato Del Piano, I.S.A., GRUMO NEVANO 2016, p. 63)

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Quadro di S. Bartolomeo Trigona in Cattedrale

Quadro di S. Bartolomeo Trigona, Cattedrale, Piazza Armerina

Particolare del quadro di S. Bartolomeo Trigona in Cattedrale

La città di Messina con la Torre del Faro in una stampa XVIII secolo, prima del terremoto 1783

L'altro giorno, l'articolo «Le opere d'arte tra l'umidità e usura» di Marta Furnari sul quotidiano LA SICILIA faceva notare come «Le pale d'altare e i dipinti della cattedrale di Piazza Armerina versano in cattivo stato di conservazione per l'usura del tempo e l'umidità che aggredisce alcuni ambienti del tempio sacro. Il bicentenario di fondazione della Diocesi piazzese [...] è l'occasione [...] per porre all'attenzione dell'intera comunità le condizioni di fatiscenza in cui si trovano le importanti opere d'arte». L'articolo era accompagnato da due foto di opere danneggiate e una di queste era il grande quadro sull'altare nella II cappella a dx rappresentante San Bartolomeo Trigona (nella foto in alto). Mi sono recato in Cattedrale e mentre scattavo alcune foto, dove si evidenzia oggettivamente lo stato penoso dell'opera, notavo come nella parte sottostante la figura del Santo, al di sotto dello stemma della famiglia Trigona (freccia n. 1), ci fosse una bellissima veduta di una città. Prima che scompaia del tutto, ho voluto dare un nome a questa città nel dipinto, ovviamente approfondendo la vita del Santo tanto caro alla famiglia Trigona del XVIII secolo, ma che lo storico Litterio Villari concluse, alla fine del suo studio Dell'origine del predicato di "TRIGONA" dato a San Bartolomeo di Simeri, monaco italo-greco, fondatore del SS. Salvatore dei Greci in Messina, Società Messinese di Storia Patria, Tip. D'Amico, 1956, «Che S. Bartolomeo di Simeri o di Trigona fu un greco-calabro e che non ebbe alcun legame di parentela con la normanna e nobile famiglia Trigona di Sicilia». Ritornando alla città rappresentata nel quadro in Cattedrale, è bene riportare parte della biografia di San Bartolomeo di Simeri eremita, fondatore e abate firmata da Antonio BORRELLI in www.santiebeati.it/dettaglio/92339. Qui riporto le parti che ci interessano specificamente: «Nacque verso la metà del secolo XI a Semeri (oggi Simeri) in provincia di Catanzaro e fu battezzato col nome di Basilio. I genitori Giorgio ed Elena lo consacrarono a Dio e gli diedero un'educazione improntata alla fede, alla pietà e alla scienza. Ancora giovane, Basilio volle lasciare la famiglia perché attratto dalla vita dei Padri eremiti nel deserto e avvertendo il desiderio di una maggiore perfezione nella vita, si recò quindi presso l'eremita Cirillo che viveva vicino al torrente Melitello. Da lui ricevè la tonsura e l'abito monastico, cambiando il nome di Basilio in Bartolomeo (in seguito sarà conosciuto anche col nome di 'Trigono' dall'omonimo monte, oggi Triangolo) [...] La potenza e la floridezza raggiunta dal monastero in Calabria, suscitò l'invidia di altre istituzioni monastiche e così verso il 1125 due monaci benedettini dell'abbazia di S. Angelo di Mileto, calunniarono il santo egumeno (abate) presso il conte Ruggero II (1095-1154) accusandolo di avere arricchito i propri parenti con i beni che lo stesso conte aveva donato al monastero. Bartolomeo fu chiamato a Messina per discolparsi, vi si recò con umiltà e invitato a difendersi non aprì bocca, per cui considerato colpevole fu condannato al rogo. Chiese ed ottenne prima dell'esecuzione di poter celebrare la Messa; davanti al re e alla corte egli iniziò la celebrazione, ma alla Consacrazione apparve una colonna di fuoco che dai suoi piedi si elevava fino al cielo, colpiti dal prodigio Ruggero II e i presenti si inginocchiarono e chiesero perdono all'abate dell'errore commesso. Il conte non lo lasciò ripartire, volle edificare a Messina un grande tempio con annesso un monastero, in onore del Ss. Salvatore, pregando Bartolomeo di organizzarne la vita e santificarlo con la sua presenza [...]¹. Questo grande monastero del Ss. Salvatore con la chiesa, fu terminato nel 1132 e divenne ben presto uno dei più celebri e fiorenti dell'Italia Meridionale, ad esso furono sottoposti una cinquantina di monasteri della Sicilia e della Calabria. L'abate e fondatore Bartolomeo di Simeri, morì santamente come era vissuto, il 19 agosto 1130 nel suo monastero del 'Patirion' di Rossano». Da tutto ciò si deduce che la città rappresentata ai piedi del Santo è Messina dove fondò il grande monastero e salta subito agli occhi, nel quadro in primo piano a dx, l'alta torre del faro per i naviganti (freccia n. 2) che ritroviamo nelle stampe del XVIII secolo (foto in basso) prima che il terremoto del 1783 distruggesse la città e gran parte del patrimonio artistico edilizio. Pertanto è chiaro che la realizzazione del quadro fu antecedente al terremoto e certamente grazie ai due alti ecclesiatici membri della famiglia Trigona, l'arcivescovo di Siracusa Matteo Trigona (1679-1753) e P. Vespasiano Trigona S.J. (1692-1761) che diffusero il culto del Santo in tutta la Sicilia orientale nel secolo XVIII. Un'altra cosa che riusciamo a individuare è l'immagine in alto a sinistra accanto a due angioletti che sembra senza alcun significato ma se si guarda attentamente rappresenta un cilindro verticale contornato da una luce gialla/arancione (freccia n. 3) ovvero «la colonna di fuoco che dai suoi piedi si elevava fino al cielo» che ricorda il miracolo sopra citato riproposta nello stemma al centro dell'arco sull'altare. Inoltre, la freccia n. 4 indica la mitra concessa anche agli abati non vescovi da papa Urbano II dal 1089. Chissà? Forse questa piccola spiegazione può servire a sollecitare il rapido quanto necessario restauro del quadro, visto che ormai la parte inferiore di esso è completamente al "buio" e con un grande squarcio a destra (freccia n. 5).

¹ «Questi dissapori con Roma indussero Ruggero a consolidare ancora di più la Cristianità greca in Sicilia. Già suo padre aveva incoraggiato con zelo il ripristino e la rifondazione di monasteri greci; il figlio seguì il suo esempio [...] egli si riconosce apertamente nella politica di suo padre riguardo ai monasteri. Rivestì un'importanza particolare la fondazione del monastero greco San Salvatore in lingua Fari a Messina, che ricade negli anni antecedenti al 1120. Il fondatore, Bartolomeo, abate di Santa Maria Hodegetria di Rossano, era stato accusato alla corte di Ruggero da due benedettini di Mileto di essere eretico, perché viveva secondo il rito greco. La risposta del conte fu la concessione per la fondazione del monastero a Messina! San Salvatore divenne più tardi il centro di una grande organizzazione che Ruggero, nella sua veste di re, diede a tutto il clero del suo Regno» (Erich Caspar, Ruggero II e la fondazione della monarchia normanna di Sicilia, Edizioni Laterza, Bari 1999, p. 49). «i nuovi conquistatori [i Normanni] spesso favorirono anche istituzioni ecclesiastiche greche (su tutte la fondazione di San Salvatore in lingua phari a Messina tra il 1131 e il 1134, che sarebbe servita come punto focale per rianimare il monachesimo greco dell'isola)» (Alessandro Vanoli, La Sicilia musulmana, Il Mulino, Bologna 2012, p. 203).

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Le vie di Piazza/N - O

Via Noto e via Silvia

Dal 20 ottobre 2016 ho iniziato ad elencare tutte le strade di Piazza Armerina, con scritto accanto da dove iniziano sin dove arrivano, per meglio localizzarle. Lo scopo principale è quello di far conoscere ai Piazzesi e non il nome sia delle strade conosciute, sia delle tante sconosciute ai più e con nomi particolari. Ogni post elencherà le vie in ordine alfabetico e, per quanto è possibile, accanto è stato messo a chi è stata intitolata. Si accettano segnalazioni di eventuali vie sfuggite nella compilazione.

N

Via NAPOLI, (famiglia) da via Mons. Sturzo a p.zza A. De Gasperi
C.le NASCA, (famiglia) nella via Giacomo Matteotti
S.ta NASCA, (famiglia) da via Cannizzo a via Stradonello
Via NEGRI ADA, (poetessa) da via Machiavelli a c.da S. Croce
Via NENNI PIETRO, (politico) da via Guido Grassi a via Col. Tuttobene
Vico NICOSIA, nel viale Della Libertà

Piazza NICOSIANO MICHELE, (sacerdote) da largo s. Martino/via Roccazzella a via S. Nicolò/via Campagna S. Martino
Via NOTO, da via Silvia a c.da Domartino
Via NORMANNI (DEI), 3^ traversa di via Papa Roncalli

O

Via OLIVERI, (Francesco, insegnante Retorica R. Liceo 1857) da via Carbone a via Pergola
Via OLMO, da via G. Matteotti a via S. Principato
Via ORFANOTROFIO, (Casa per Bambine Orfane del barone Marco Trigona) da via Monte a via Misericordia
Via ORLANDO ROBERTO, (maestro di musica) da via V. Alfieri a c.da Aldovino
Via ORLANDO VITTORIO EMANUELE, (politico) da via F. Guccio a via Mons. G. La Vaccara
Vico ORLANDO, (Andrea, caduto 1^ G.M.) da via Orfanotrofio a via Montalto
Via OTTO MARZO, (giornata internaz. della donna) da via A. Moro a via Col. Tuttobene

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Fontana c.da Portella/n. 57

Questa è la Fontana/abbeveratoio n. 57 e si trova in contrada Portella, a poche centinaia di metri dal bivio Villa Romana del Casale/Barrafranca sulla provinciale n. 15. Quello che incuriosisce non è tanto l'abbeveratoio, che sembra simile a tanti, quanto il nome della contrada "Portella" che indica un "piccolo varco in montagna che consente il passaggio". Sarebbe bello e intrigante approfondire il perché fu dato questo nome alla contrada. Ringrazio Filippo Rausa per la foto inviatami.

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