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Cronarmerina - Maggio 2016

Ricordi inediti su P. Carmelo Capizzi/1

Salvatore Capizzi, fratello di P. Carmelo S.J.

Nel mese di marzo scorso ho pubblicato 5 post sul Profilo bio-bibliografico del gesuita piazzese P. Carmelo Capizzi (1929-2002). A distanza di qualche mese vi propongo alcuni Ricordi e fatti inediti riguardanti sempre la vita di P. Carmelo, ma raccontati dal fratello minore Salvatore (nella foto). Questi, nato a Piazza Armerina il 26 maggio del 1939, 5° dei nove figli (il 6°, il 7° e l'8° sono morti durante la II Guerra Mondiale, mentre la 9^ ha 71 anni) dopo aver  studiato per prendere la licenza media a Catania presso il Collegio dei Gesuiti, si è arruolato nell'esercito per frequentare la scuola militare, prima a Spoleto e poi alla Caserma “Cecchignola” a Roma. Trasferito a Belluno, ha fatto la carriera di Sottufficiale col grado di Maresciallo Maggiore Aiutante nel corpo degli Alpini sino al 1991, quando è stato collocato in pensione. Sposato per 32 anni con una bellunese, dalla quale ha avuto due figli che gli hanno donato tre nipoti, adesso è vedovo da 19 anni e vive a Belluno.

Salvatore Capizzi attraverso la pubblicazione di questi ricordi e fatti inediti sulla vita del fratello maggiore Carmelo, gran parte dei quali venuti a sapere dalla propria madre perché lui era più piccolo di dieci anni, vuole fare conoscere ai propri concittadini oltre l'alta statura intellettuale e morale, anche la forte personalità e la profonda umanità che potrebbero non trasparire dal Profilo bio-bibliografico di P. Carmelo.

Ricordi e fatti inediti/1

La cicatrice perenne
Come risulta dall'autobiografia, mio fratello nacque a Piazza Armerina il 14 luglio del 1929, da famiglia povera, primo di nove figli. Nostro padre era bracciante agricolo e nostra madre casalinga. Quando Carmelo cominciò ad andare a scuola, si capì subito che era un bambino molto intelligente a cui piaceva tanto studiare e soprattutto leggere. Leggeva tutti i libri che gli capitavano sotto mano, memorizzava tutto grazie alla sua portentosa memoria visiva. Per poter acquistare qualche libro, escogitava qualsiasi espediente e da bambino, per guadagnare onestamente qualche soldo, andava persino a raccogliere le nocciole, dato che a quei tempi a Piazza abbondavano i noccioleti. Quando c’era la fiera del bestiame nella nostra città il 28 e il 29 maggio al piano Sant’ Ippolito, lui si procurava una brocca d'argilla, la riempiva d’acqua fresca e la portava in fiera per dare da bere ai mandriani in cambio di qualche soldo. Fu proprio in una di queste circostanze che, mentre mio fratello porgeva da bere a un signore in sella al suo cavallo, l'animale irrequieto con uno scatto repentino si girò dandogli un morso sul viso, provocandogli una ferita che iniziò a sanguinare copiosamente. Il mandriano, preoccupato dell'incidente, a grande velocità e con lo stesso cavallo, portò Carmelo all'ospedale, dove gli furono praticate le cure del caso dandogli tre punti di saturazione al mento. Quella cicatrice rimase perenne.

continua in Ricordi e fatti inediti su P. Carmelo Capizzi/2

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1925 I Commercianti a Piazza/16 e ultimo

L'ex Caffè MODERNO di Marino Calogero & Figlio oggi Caffetteria Marconi

(dal Post 15)

Siamo arrivati all'ultimo elenco delle Ditte presenti a Piazza nel 1925, compilato grazie al recupero di una copia dell'Annuario Generale Commerciale delle Ditte della Sicilia e delle Calabrie. Alla fine troviamo anche l'elenco dei Medici-Chirurghi che esercitavano nella nostra Città.

TORRONI

MINACAPELLI GAETANO & FIGLIO¹

nel riquadro sottostante

PREMIATA FABBRICA DI TORRONE

GAETANO MINACAPELLI & FIGLIO

via Garibaldi n. 22 - Piazza Armerina


CHINACAPELLI SALVATORE²

MARINO CALOGERO & FIGLIO³

nel riquadro sottostante

CALOGERO MARINO & FIGLIO

Piazza Armerina

Premiata Fabbrica Torrone e Gelati da campagna

Caffè Moderno - Pasticceria Sorbetteria


TRATTORIE

DI BENEDETTO PIETRO4

EXCELSIOR4

GALATI GIOVANNI4

nel riquadro sottostante

HOTEL E RISTORANTE EUROPA

Piazza Garibaldi - Piazza Armerina

Salsamenteria e generi alimentari Giovanni Galati


VETERINARI

MUSQARA' ROS. CAV. UFF.5


ZOLFI

MARINO B.

MARINO C.

MESSINA & c.


ESERCENTI DELLE MINIERE

SOCIETA' GENERALE DEI SOLFI

(Esercizio miniere zolfo di Grottacalda e Pietragrossa)

TRIGONA AVV. GIUSEPPE

(Proprietario miniere zolfo: Severino Tramontana, Severino Acquedotto, Severino Camerone, Severino Mezzogiorno, Severino VIII Sezione, Severino Sezioni Riunite in territorio di Castrogiovanni)


ESERCENTI INDUSTRIE METALLURGICHE E MECCANICHE

ACCARDI ROSARIO

(Costruzioni in ferro)

CALTAGIRONE SALVATORE

(Costruzioni in ferro)

MARINO GIUSEPPE

(Costruzioni meccaniche)

PRINCIPATO GIUSEPPE

(Costruzioni meccaniche)


MEDICI CHIRURGHI

Arena Carlo

Bonifazio Alessandro

Brighina Francesco

Giusto Pasquale

La Cara Annunziato

La Malfa Salvatore

Parisi Giuseppe

Ranfaldi Antonio

Roccella Federico

¹ Il figlio si chiamava Filippo. Gaetano l'abbiamo anche negli elenchi dei CAFFETTIERI. Poi si trasferirono in via Marconi 34 oggi "Tabacchi Santoro".

² Qui c'è un errore di stampa, doveva essere MINACAPELLI, lontano cugino di Filippo Minacapelli. L'abbiamo anche nell'elenco dei CAFFETTIERI.

³ Il figlio si chiamava Oreste e gestivano il BAR MODERNO che prima era in via Mazzini e poi si spostò in via Marconi 26/28, oggi "Caffetteria Marconi".

4 Li troviamo anche nell'elenco ALBERGHI.

5 Errore di stampa, doveva essere MUSCARA'. Forse era un parente del generale Achille Muscarà.

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Fontana Parco Ronza/n. 44

Questa è la Fontana del Parco Ronza n. 44 del censimento di cronarmerina. Si trova lungo il viale principale dopo l'ingresso al Parco della Ronza gestito dal Dipartimento Aziende Regionali Foreste Demaniali della Sicilia. Tutta in pietra, è stata costruita dai dipendenti del parco che è situato a 8 Km ca. da Piazza Armerina sulla S.S. 117bis a 800 metri sul livello del mare. La statale lo separa dall'ex stazione ferroviaria della tratta a scartamento ridotto Dittaino-Piazza-Caltagirone che era la prima stazione subito dopo la ripida salita dai 600 m s.l.m. di Valguarnera, quando la littorina era costretta a utilizzare la cremagliera. Il parco è costituito da varie piante, soprattutto eucalipti d'importazione che dovevano servire all'industria di produzione della carta. Le varie zone del parco offrono aree attrezzate con barbecue, tavole e panche in legno o pietra, altre aree per i più piccoli con altalene e dondoli, una grande voliera, diverse specie di animali in recinti e una grande vasca con tartarughe. A 700 m dall'ingresso, percorrendo la Regia Trazzera Portella-Ronza, si possono ammirare delle rocce calcaree scolpite dal tempo chiamate Pietre Incantate o Pietre Ballerine con sembianze umane. Ultima notizia: il parco si trova a metà strada, a 2 Km ca. in linea d'aria, dall'antico borgo Fundrò a Sud-Ovest e dall'altrettanto antico borgo Rossomanno, sul monte omonimo a 885 metri s.l.m. a Nord-Est. Da qualche mese il parco è chiuso per <<LAVORI DI MANUTENZIONE>> che non si sa quanto dureranno, lasciando per ora tanti amanti del picnic all'aperto, piazzesi e non, "orfani" di un gran bel polmone verde.

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I tre stemmi nel Monastero di Sant'Anna

Stemma Agostiniano sul portone principale esterno, Monast. Sant'Anna

Stemma Agostiniano sulla porta interna, Monast. Sant'Anna

Stemma della famiglia Trigona sull'arco absidale, chiesetta di Sant'Anna Vecchia

Nel Monastero di Sant’Anna a Piazza Armerina vi sono tre stemmi, uno appartenente alla famiglia Trigona sull’arco absidale dell’antica chiesetta di Sant’Anna Vecchia (foto in basso) prima segreteria delle Scuole Elementari, oggi Sala Conferenze, due appartenenti all’Ordine Agostiniano. Uno di questi ultimi è scolpito sulla pietra arenaria ed è posto sull’arco del portone d’ingresso principale (foto in alto), l’altro in stucco sull’arco di una porta interna (foto in mezzo). Per i due stemmi che si riferiscono all’Ordine Agostiniano, a cui appartenevano le monache del Monastero di Sant’Anna, originariamente dedicato alla Congregazione di Santa Brigida, c’è da dire che ognuno ha delle caratteristiche che non si trovano nell’altro. In quello esterno oltre al cuore fiammeggiante, rappresentante l’amore quale principio fondamentale della vita umana ed evangelica, e trafitto da una freccia, in riferimento all’espressione di Sant’Agostino nelle Confessioni <<hai ferito il mio cuore con il tuo amore>>, troviamo anche la mìtria (dal greco mìtra = fascia, benda per il capo) detta anche mitra o mitrea, usata dai Vescovi nelle celebrazioni liturgiche. In questo caso, la mìtria è sovrapposta allo stemma dell’Ordine, come simbolo di Dignità Ecclesiastica assegnata probabilmente quando il papa Urbano VIII diede, nel 1642, l’autorizzazione alla mutazione da Ritiro della Congregazione di Santa Brigida fondato nei primi anni del secolo, in Monastero di Agostiniane (il VII in Sicilia). Nello stemma all'interno, invece, si trovano oltre al cuore fiammeggiante trafitto, altri due elementi importanti per l’Ordine Agostiniano che non sono presenti nel primo. Uno è il libro in riferimento all’esperienza interiore di Sant’Agostino con effetto sconvolgente della Parola di Dio, visualizzata nella figura del Libro Sacro quale è appunto la Bibbia. Il secondo è la cintura (o cintola) di cuoio con fibbia. Nel XVI secolo si diffuse una leggenda che faceva risalire l'adozione della cintura a un episodio miracoloso che aveva come protagonista Santa Monica, madre di Agostino. Dopo la morte del marito Patrizio, si rivolse in preghiera a Maria mostrandole il desiderio di imitarla anche nel modo di vestire dopo l'ascesa al cielo di Gesù. La Vergine, accontendandola, le apparve coperta da un'ampia veste di stoffa dozzinale, dal taglio semplice e di colore scuro, ossia in un abito totalmente dimesso e penitenziale. La veste era stretta in vita da una rozza cintura in pelle che scendeva quasi sino a terra. Maria, slacciatasi la cintura, la porse a Monica per consolarla e sostenerla nelle ansie causate dalla vita piena di tribolazioni di suo figlio, Agostino. Inoltre, le raccomandò di portarla sempre, chiedendole, anche, di invitare tutti coloro che desideravano il Suo aiuto ad indossarla perché avrebbe garantito, a quanti l'avessero imitata, la sua protezione e consolazione in quanto simbolo di forza e costanza nella fede.  

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Passato e presente a Ciàzza

Carusétt anni Cinquanta

Oggi vi propongo una poesia scritta da un piazzese sino ad ora completamente sconosciuto nel contesto poetico gallo-italico ciaccës. Francesco MANTEO ci racconta come è cambiata a Piazza la vita sociale dopo quarant’anni, da quando era ragazzo nel 1957.  

PASSÀ E PR’SÉNT

Era l’ann cinquantassètt e jé era carusétt.
M’ truvàva o Ciàngh Marìngh cianà ‘nt’àrbu d’ pìngh.
Gghè na spéci d’ t’rràzza ch’ suvrasta tutt Ciàzza.

E s’tàit ‘n cav ‘na ràma m’ gudèva u panoràma.
Ciàzza avèa quàttr quartéri e assài gènt ntê cantunèri
e taliànn facciafrönt m’ paréa tucchè u Mönt.

S’ntèa vösg d’ giuv’nèddi ch’ fasgèvn’nu còm l’asgéddi.
S’ giuàva pi vanèddi  e ‘ngàgghi e chi ciappèddi,
ntê curtìcchi e ntê scalöi a fussètta chi buttöi.

Pöi ddumànn i ddampiöi cadèv’nu ntê dd‘nzöi...
A gènt s’ movèva ddènta e cu poch era cunténta.
Mùli e scècchi mènz a vìa ggh’era mènu battarìa.

Ggh’era a pözza du fumèr ch non fa ‘ntuss’cher:
s’ m’ntèva ntê cavàgni, p’ scalièlu ntê campàgni
e dda piànta dava frutti ch’ piàsgev’nu a tutti.

Quànn sunava Avamaria s’ pr’iàva mènz a vìa
e ntê càsi, o stìss oràri,
s’ d’sgèva u rusàri.

Cìni i crèsgi e u semenàriu tutti i giörni du lunàriu.
Òra su sempr vacànti, ggh’ r’stànu sö i santi.
S’ talìa a telev’siòngh, non s dìsg ciù n’oraziöngh.

S’ mangiàva pangh schìtt, però ggh’era ciù ‘p’tìtt.
Chi gaddìni ntê catöi, ovi fréschi a döi a döi.
Òra u béngh ch ggh’è ntê piàtti... non n’ vònu mànch i gàtti.

Cu travàggh d’ na giurnàda s’ fasgèva ‘na mangiàda.
Òra gghè cu sta a spàss e ch’ campa mènz u lùss.
Gènt chi càuzzi r’p’zzàdi ggh fasgèva tré annàdi.

Òra su cìni l’armàdi... föra mòda sènza usàdi.
S’ b’tàva ntê suffìtti, non ggh n’era càsi sfìtti.
Növ nt’ ‘na stanza còm sardi ntà nv'rnàda stav’nu càudi.

Òra n’ l’appartaménti gghè frèdd chi r’scaldaménti.
Ggh’era gént ciù sp’nz’ràta e cantàva a stràta stràta,
i ‘nnamuràdi a muciöngh s’ parràv’nu du f’n’ströngh,

e nu cörs da nuittàda s’ s’ntèva a s’r’nàda.
Òra fànu tréd’sg anni e vònu fè ciù di rànni.
S’ n’ngàvi u v’sgìngh, t’ mpr’stàva pangh e vìngh.

S’ non gghiù putìvi rènn, passàva o stìss, sènza offénn
e quànn purtàva i primi frùtti i fasgèva tastè a tutti.
S’ ggh’avìvi affl’ziöi, t’ truvava i soluziöi!

Òra gghè sèmpr ‘n’mìc ch t’uggia ‘nsìna u b’ddìcch.
S’ si ntô tàggh du vaddöngh, su prònti a dè ‘n mutöngh
e s’ìngh’nu i sciànchi s’ r’zzùddi ntê vaddànchi.

Òra s’ sta ntê palàzzi... cu iè iè s’ fa i so càzzi.
S’ s’ncòntra l’inquilìngh, non s’ scàngia u böngh mattìngh
e cu ggh’av u màu stè... pò murì e pò cr’pè!

Francesco Manteo, maggio 1995
(diplomando della 5^ Chimici anno 1967/68
all’I.T.I.S. di Piazza Armerina)

Traduzione
Era l’anno cinquantasette e io ero ragazzo.
Mi trovavo al Piano Marino salito su un albero di pino.
C’è una specie di terrazza che sovrasta tutto Piazza.

E seduto su un ramo mi godevo il panorama.
Piazza aveva quattro quartieri e assai gente nei cantoni
e guardando di fronte mi sembrava toccare il Monte.

Sentivo voci di giovinetti che facevano come gli uccelli.
Si giocava per i vicoli a prendersi e con le pietre piatte,
nei cortili e sui gradini a fossetta coi bottoni.

Poi  accendendo i lampioni cadevano nelle lenzuola…
La gente si muoveva lenta e con poco era contenta.
Muli e asini in mezzo alla via c’era meno rumore.

C’era la puzza del letame che non fa intossicare:
si metteva nei cesti, per spargerlo nelle campagne
e quella pianta dava frutti che piacevano a tutti.

Quando suonava l’Avemaria si pregava in mezzo alla via
e nelle case, allo stesso orario,
si diceva il rosario.

Pieni le chiese e il seminario tutti i giorni del calendario.
Ora sono sempre vuoti, vi rimangono solo i santi.  
Si guarda la televisione, non si dice più un’orazione.

Si mangiava pane semplice, però c’era più appetito.
Con le galline nei pianterreni, uova fresche a due a due.
Ora il bene che c’è nei piatti… non lo vogliono neanche i gatti.

Col lavoro di una giornata si faceva una mangiata.
Ora c’è chi è a spasso e chi vive in mezzo al lusso.
Gente coi calzoni rappezzati ci faceva tre annate.

Ora sono pieni gli armadi… fuori moda senza usati.
Si abitava nelle soffitte, non c’erano case sfitte.
Nove in una stanza come sarde in inverno stavano caldi.

Ora negli appartamenti c’è freddo coi riscaldamenti.
C’era gente più spensierata e cantava per le strade,
gli innamorati di nascosto si parlavano dai balconi,

e nel corso della nottata si sentiva la serenata.
Ora compiono tredici anni e vogliono fare i grandi.
Se chiedevi a un vicino, ti prestava pane e vino.

Se non glielo potevi rendere, era lo stesso, senza offesa
e quando portava i primi frutti li faceva assaggiare a tutti.
Se avevi dispiaceri, ti trovava la soluzione!

Ora c’è sempre un nemico che ti adocchia sino l’ombelico.
Se sei sull’orlo del vallone, sono pronti a darti una spinta
e si riempiono i fianchi se ruzzoli nel burrone.

Ora si sta nei palazzi… e chiunque pensa a se stesso.
Se s’incontra l’inquilino, non ci si scambia il buon mattino
e chi sta male… può morire e può crepare!

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Cavalieri di Santo Stefano

L'Ordine dei Cavalieri di Santo Stefano di Toscana fu istituito nel 1561 (la bolla pontificia è del 1562) da Cosimo de' Medici I Granduca di Toscana (1519-1574) in memoria della vittoria riportata contro Siena il 2 agosto del 1554, festa di S. Stefano papa e martire. Lo scopo era quello di combattere la pirateria turca nel Mediterraneo, specie nel mar Tirreno, dove Cosimo aveva da poco promosso il nuovo porto di Livorno. I Confratelli seguivano la Regola Benedettina e avevano i Granduchi di Toscana come Patroni e Maestri dell'Ordine. Il Quartier Generale dell'Ordine venne stabilito a Pisa e le sue galee collaboravano con quelle dei Cavalieri di Malta nel pattugliamento del Mediterraneo, partecipando nel 1571 con una forza di dodici galee alla decisiva Battaglia di Lèpanto. Nel 1587 l'Ordine assorbì i Cavalieri di San Giacomo d'Altopascio, continuando la lotta sul mare contro i pirati barbareschi con le ultime missioni compiute nel 1719. Alla fine del Settecento la riorganizzazione voluta dal granduca Pietro Leopoldo (1747-1792) eliminò la componente militaresca prediligendo quella della formazione della nuova classe dirigente. L'Ordine venne disciolto una prima volta nel 1809 con un Decreto di Napoleone, ma ripristinato nel 1817. Nel 1859 con l'unificazione della Toscana al Regno di Sardegna l'Ordine fu soppresso solo patrimonialmente, mentre religiosamente, dipendendo in "perpetuo" direttamente dal Papa, è a tutt'oggi pienamente operante.

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1874 La piazzese suor Angelica Marotta

Suor Angelica, al secolo Rachele Marotta (1874-1929)

Padre Angelico, al secolo Vincenzo Lipani (1842-1920)

Suor Angelica MAROTTA nacque a Piazza Armerina il 6 Settembre 1874 da Alfonso Marotta e Lucia Venturella e fu battezzata con il nome di Rachele. All'età di 10 anni si trasferì a Caltanissetta per essere una delle prime 12 ragazze accolte nell'Istituto Signore della Città fondato nel 1884 dal Francescano Cappuccino Padre Angelico, al secolo Vincenzo Lipani (CL 1842 – 1920)¹.
L'idea dell’Istituto era nata in P. Angelico a seguito di due eventi luttuosi che colpirono la città di Caltanissetta, la cui economia all'epoca era basata soprattutto sull'estrazione dello zolfo dalle numerose miniere della zona. La vita dei minatori era dura e poco remunerativa, le famiglie vivevano di stenti e spesso in condizioni di estrema povertà, tanto che, già a metà del XIX secolo, il Priore del  convento benedettino di S. Flavia, D. Giuseppe Benedetto Dusmet, si era molto prodigato per loro, arrivando persino a far costruire un intero quartiere, quello della Saccara (oggi Cozzarello), per togliere le favelas che proliferavano in città e per ospitare le famiglie che qui si trasferivano da altri paesi. A questo si aggiungevano frequentemente dei crolli nelle gallerie, che causavano numerose vittime lasciando tante famiglie prive dell'unico introito e costrette all'estrema indigenza. Furono proprio due tragedie minerarie, quella di Gessolungo nel 1881 e quella di Tumminelli nel 1882, rispettivamente con 65 e 41 vittime, a spingere P. Angelico alla fondazione di un'opera che potesse assistere coloro che più avrebbero pagato per quelle tragedie: le orfane dei minatori. Tre insegnanti terziarie con umiltà si recarono di casa in casa per chiedere, soprattutto ai più ricchi, un aiuto finanziario, che potesse servire alla realizzazione di una piccola casa per accogliere alcune orfanelle. Raccolsero 400 lire e con esse P. Angelico diede inizio, nel 1883, alla costruzione di pochi locali, su due piani, adiacenti la chiesetta del Signore della Città. Nel 1884 la struttura fu pronta e P. Angelico vi accolse le prime orfanelle affidandone l’istruzione oltre che alle prime tre terziarie anche ad altre due che, dopo il noviziato, divennero suore dando vita così alla Congregazione delle Suore Francescane del Signore. Anche Rachele Marotta appena diciassettenne si presentò a P. Angelico, insieme ad altre due compagne, per chiedere di essere ammessa nel cammino vocazionale per diventare suora. Però, non avendo il riconoscimento paterno, dovette attendere sino al 1898 per fare la professione nelle mani del Vescovo. Nel frattempo visse come suora assumendo il nome di suor Angelica da Piazza Armerina e si distinse, soprattutto, per la grande carità sia nei confronti delle orfanelle e delle ragazze accolte nell'Istituto, sia verso i bisognosi della città. Vendette l'oro regalatole dal padre per aiutare l'Istituto e appena sapeva di qualche sciagura o di qualche bisogno era la prima a soccorrere ed accorrere in aiuto. Lo stesso anno (1898) morì la prima Superiora della Congregazione, suor Veronica (al secolo Vincenza Melissa Guarneri o Guarnieri da Resuttano - CL) e nel 1899 suor Angelica fu nominata Superiora per dirigere l'Istituto con grande saggezza, pensando al bene sia delle suore che delle ragazze. Fu lei a ricevere nel 1920 il testamento del fondatore P. Angelico morente e a promettere, a nome di tutte le suore, che avrebbe percorso la via della santità. Durante gli anni del suo governo fu ingrandito l'Istituto con un'ampia zona ricreativa e furono aperte le prime due filiali a Sommatino (1924) e a Delia (1926). Dopo l'incidente del fulmine, caduto nel cortile dell’Istituto ove le orfanelle e altri bambini giocavano, che nel luglio del 1925 lasciò uccisi due bambini, la sua salute cominciò a declinare, fino a quando, sentendosi ormai stanca, chiese al Vescovo che il governo passasse a un’altra suora che l'aveva coadiuvata negli ultimi tempi. Il Vescovo accolse la sua richiesta ma Suor Angelica mantenne il titolo di Superiora dell'Istituto di Caltanissetta. Colpita da ictus, morì all'alba del 5 Luglio 1929. Si disse di lei: <<Era una madre per le suore, per le orfane, per i vicini e per tutti... Era bella, giovane, "sciacquata" e "tunna", era una madre per tutti>>.

¹ Nel 1997 la Congregazione delle Suore Francescane del Signore, tramite il Postulatore Generale Francescano, ha inoltrato al Vescovo di Caltanissetta la domanda per l’apertura della fase diocesana del Processo di canonizzazione. Nel 2001 il Vescovo ha chiuso il processo diocesano sulla vita e sulle virtù del Servo di Dio P. Angelico Lipani, consegnando gli esemplari autenticati delle testimonianze di 55 persone da presentare alla Congregazione per le Cause dei Santi a Roma. Quest’ultima nel 2008 ha dichiarato valido il Processo diocesano e, pertanto, l’iter di canonizzazione (per la Santità) è tuttora in corso.

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Edicola n. 37

Questa è l'Edicola Votiva n. 37 del mio censimento che io chiamerei Edicola Votiva Roccabianca. Più che di un'edicola, veramente si tratta di una lapide dove, dentro una bella cornice ovale c'è la scritta «VIVA LA MADRE DI DIO MARIA CONCETTA SENZA PECCATO ORIGINALE 1692»¹ scolpita su una lastra di pietra arenaria, tipica della nostra zona. Di forma rettangolare grande cm 60x70 ca., da qualche anno protetta da un tettuccio metallico è situata tra i numeri civici 33 e 35² a ca. tre metri di altezza sul muro di un vecchio palazzo, esattamente di fronte l'Edicola Votiva n. 36, lungo a stràta màstra (strada maestra) del quartiere più antico della città, il Monte. Il palazzo fa da angolo tra la via Monte e la piazza Gen.le Giunta, con ingresso principale al n. 2 di quest'ultima. Davanti il portone il cartello turistico indica "palazzo Roccabianca (sec. XVII)" di cui, a ricordarcelo com'era, sono rimasti soltanto i portali dell'ingresso principale, di alcuni vani a pianoterra e le belle mensole³, scolpite con figure umane, dei balconi posti al secondo piano e agli angoli dell'enorme fabbricato prospicenti la piazza, le vie Monte e Montalto. Dalle esigue fonti sappiamo che la costruzione del palazzo iniziò nei primi decenni del XVII secolo. Ammesso che la lapide sia stata sempre dove si trova oggi e non proveniente da altro sito, forse fu affissa dai proprietari dell'edificio, per ricordare ai posteri qualche grazia ricevuta e il particolare culto dei Piazzesi per la SS. Vergine. In quel periodo dei primi del Seicento a Piazza non vi erano titolari del feudo Roccabianca4, c'era però Trigona Ottavio (1600-1645) II barone di S. Cono e Budonetto dal quale sarebbe disceso, tramite la figlia Elisabetta sposa di Trigona Giovanni Maria I marchese di Dainammare, il pronipote Giuseppe Trigona La Restia barone di S. Cono e III marchese di Dainammare e Canicarao che, sposandosi all'inizio del Settecento con Isabella Vanni Assali marchesa di Roccabianca, sarebbe diventato nel 1720 anche marchese di Roccabianca. Da tenere presente che in via Brunaccini, traversa di via Monte, c'è un altro antico palazzo (forse del XVIII sec.) dei marchesi di Roccabianca che, restaurato di recente dai nuovi proprietari, è stato adibito a Hotel e B&B. 

¹ Il Villari nella sua opera Storia Ecclesiastica del 1988 a p. 228 ci conferma che si tratta del 1692 e non 1622, come potrebbe sembrare a una prima osservazione.

² Il Villari, sempre su Storia Ecclesiastica del 1988 a p. 228 ci indica i umeri civici 35 e 37.

³ A Piazza Armerina in gallo-italico la mensola o modanatura è chiamata "guzzöngh" da "guzzone". Altri termini sono: modiglione, beccadello, cagnolo. Quest'ultimo è un termine del dialetto veneziano usato dai muratori per indicare appunto le mensole, i beccadelli o beccatelli, i peducci, i piumacciuoli ovvero pezzi di travi affissi nella muraglia atti a sostenere altre travi e cornici (cfr. Giuseppe BOERIO, Dizionario del Dialetto Veneziano, Tip. A. Santini & Figlio, VENEZIA 1879, p. 84). Nel giugno del 2021 ho appreso che a Salemi (TP) le mensole vengono chiamate "attuni" che deriva da "attu" gatto, uno degli animali riprodotti nelle mensole dei balconi. Per lo stesso motivo anche a Racalmuto (AG) sono chiamate "gattuni".

4 Forse feudo nei pressi dell'odierna c.da Roccabianca a Marineo (30 Km ca. a sud di Palermo).

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1925 I Commercianti a Piazza/15

(dal Post 14)

Sull'Annuario Commerciale del 1925 ancora queste sottoelencate Ditte di Piazza Armerina

TABACCHI

CONTI

DI CARLO

LO JACONO

MANCUSO

MESSINA

RIZZO

SCROPPO


TAPPEZZERIE

UNIONE MECCANICA DEL LEGNO - Viale Costantino¹


TEGOLE

CONTI CONCETTO²

CONTI VINCENZO³

ZALFINO FRATELLI4


TESSUTI

CIRRONE CARMELO5

CIRRONE LUIGI5

CRISTIANO FRANCESCO6

DE FRANCISCI GAETANO

GRAZIANO RUGGERO7

MERCOLA GIACOMO

NOCERA RAFFAELE8

PELLICANI ROSARIO9

SAVARESE AIELLO GAET.8


TIPOGRAFIE

BOLOGNA STEFANO10

GIOVENCO eredi Pietro11

¹ La troviamo anche nell'AMMOBIGLIAMENTI COMPLETI.

² Anche nelle STOVIGLIE.

³ Lo troviamo anche tra i CEREALI e nella FRUTTA SECCA.

4 Doveva essere ZAFFIRO e li troviamo anche nei LATERIZI e nelle STOVIGLIE.

5 Erano fratelli, il negozio di Luigi, che era compare di battesimo di mio nonno Tatano Marino, era in via Umberto 40. Quello di Carmelo era in via Umberto 41/43.

6 Era originario di San Michele di Ganzaria e il negozio l'aveva in via Umberto 39.

7 Il negozio era in via Umberto 47, dove poi ci fu quello del signor Guardabasso.

8 Il suo negozio era in via Umberto 41/43 dove c'era stato quello del Sig. Savarese Aiello Gaetano. Successivamente Nocera si trasferì in via Roma 70 per aprire una piccola pellicceria.

9 Il cognome esatto è PELLICANO e il suo negozio si trovava in via Umberto 17. Fu il primo a Piazza a possedere un'auto "Balilla" nel 1937. In seguito il negozio venne gestito dal sig. Lo presti.

10 Forse la tipografia si trovava già in Largo Sant'Onofrio, nell'edifico del Monastero di Sant'Anna.

11 La tipografia si trovava in via Sant'Anna (notizia tratta da una pagina di giornale datato 1903).

(continua)

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